Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21117 del 16/09/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 21117 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: PICCIALLI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso 4226-2013 proposto da:
TUMBARELLO

ROSA

TMBRS043E54E974P,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MONTE DELLE GIOIE 13, presso
lo studio dell’avvocato VALENSISE CAROLINA,
rappresentata e difesa dall’avvocato LONGO MARCO;
– ricorrente contro

2013
1746

ANGILERI

MARIA

CRISTINA

C.F.NGLMCR50S64E974P,

MEZZAPELLE SALVATORE C.F.MZZSVTA26E974E, MEZZAPELLE
VITA

C.F.MZZVTI39E9741,

MEZZAPELLE

C.F.MZZVCN44D09E974F, NELLA QUALITA’

VINCENZO

DI EREDI DI

Data pubblicazione: 16/09/2013

ANGILERI FRANCESCA, elettivamente domiciliati in ROMA,
P.LE CLODIO 14, presso lo studio dell’avvocato
GRAZIANI ANDREA, rappresentati e difesi dall’avvocato
PELLEGRINO STEFANO GIUSEPPE MARIA;
– con troricorrenti.

ANGILERI FRANCESCA DECEDUTA E PER ESSI EREDI
MEZZAPELLE SALVATORE VITA & VINCENZO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 401/2012 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 19/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/06/2013 dal Consigliere Dott. LUIGI
PICCIALLI;
udito l’Avvocato Valensise con delega depositata in
udienza dell’Avv. Marco Longo difensore della
ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e
la rimessione in termini;
udito l’Avv. Angelo Colucci con delega depositata in
udienza dell’Avv. Pellegrino Stefano G.M. difensore
dei controricorrenti che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per il rigetto del primo e l’accoglimento del quinto e
sedicesimo motivo del ricorso e l’assorbimento degli

nonchè contro

a lt r
i.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 21.9.1987 Maria Cristina Angileri e Francesca Angileri citarono al
giudizio del Tribunale di Marsala Rosa Tumbarello,lamentando che la stessa, edificando
su un proprio fondo a confine,aveva occupato anche le superfici di un “frustolo” di terreno
di circa mq 35 (in catasto partita 139,mappale 136) di esclusiva proprietà comune delle
,

comunione ad esse attrici ed alla convenuta,proponendo pertanto domanda di demolizione
del nuovo fabbricato nella parte invasiva e per risarcimento dei danni.
La domanda fu contestata dalla convenuta, che assumendosi esclusiva proprietaria,per
titolo derivativo o in subordine per possesso continuo, risalenti al 1953, dell’uno e
dell’altro suolo, chiese in via riconvenzionale la relativa declaratoria.
All’esito dell’espletata consulenza tecnica,con sentenza del n. 194 del 2001,l’adito
Tribunale,in parziale accoglimento della domanda principale e disattesa la riconvenzionale,
condannò la convenuta alla parziale demolizione dell’edificio,oltre che alle spese.
Proposto gravame dalla soccombente,nella resistenza delle appellate ed, in seguito alla
morte di Francesca Angileri,degli eredi della medesima,Salvatore,Vita e Vincenzo
Mezzapelle, la Corte d’Appello di Palermo,dopo avere ammesso ed espletato la prova
testimoniale richiesta dall’appellante ed una nuova consulenza tecnica di ufficio,con
sentenza del 2/9 marzo 2012,rigettava l’impugnazione, confermando la sentenza di primo
grado e condannando la Tumbarello alle spese del grado. I giudici di appello confermavano
che,in base ai titoli addotti dalle attrici,preminenti su quelli vantati dalla convenuta,le due
piccole porzioni di suolo risultavano l’una di proprietà delle Angileri,l’altra comune alle
medesime ed alla Tumbarello,e che quest’ultima soltanto nel 1980,occupando le stesse con
il proprio edificio,ne avesse spossessato le attrici. Peraltro,anche a voler considerare le
risultanze della prova testimoniale,che era stata espletata anche con riferimento al periodo
antecedente a tale anno, oltre i limiti di ammissibilità costituiti dall’articolazione di primo
1

istanti,e di un “piano colonico” (censito con la partita 140, mappale 326), appartenente in

grado (limitata al periodo successivo al l 980),donde la revoca in parte qua dell’ordinanza
ammissiva,le stesse non venivano comunque ritenute sufficienti a comprovare,quanto al
“frustolo” (risultato di mq. 33),che nel riferito continuo e risalente possesso esclusivo ad
oggetto del maggior fondo (di mq. 2.500) goduto dalla dante causa della convenuta fosse
compresa detta striscia di terreno; quanto al “piano colonico”,neppure era risultato che

diritto,inequivoci atti di esclusione di queste ultime dall’esercizio del compossesso.
Contro tale sentenza,notificatale il 6.12.2012 la Tumbarello propose ricorso per cassazione
con atto,consegnato all’UNEP presso la Corte di Palermo il 31.1.2013 per la notifica,che
tuttavia,come da relazione dell’ufficiale giudiziario del 1.2.2013,ebbe esito negativo,
essendo il domiciliatario avv. Antonio Atria,risultato trasferito dallo studio, già indicato
nel giudizio di appello e confermato all’atto della notificazione della sentenza.
Conseguentemente la ricorrente notificò l’impugnazione a ciascuna delle controparti,in
data 11.2.2013,presso la cancelleria della Corte d’Appello di Palermo,ed il 20.2.2013
presso lo studio in Marsala dell’avvocato Stefano Giuseppe Pellegrino,che le aveva
rappresentate e difese,unitamente ad altro poi deceduto,nel giudizio di appello.
A tali notifiche fecero seguito il controricorso degli intimati,notificato il 15.3.2013,ed una
istanza ,depositata il 20.2.2013,del difensore della Tumbarello di rimessione in termini.
E’ stata infine depositata una memoria illustrativa per la ricorrente
MOTIVI DELLA DECISIONE
La prima questione da affrontare attiene all’ammissibilità del ricorso,del quale i
controricorrenti hanno eccepito la tardività,contestando la fondatezza della richiesta di
rimessione in termini.
L’eccezione va disattesa,risultando per converso fondate le ragioni della richiesta
rimessione in termini,sulla quale,peraltro,non vi è luogo all’emissione di ulteriori
provvedimenti,considerato che il ricorso,per quanto si dirà innanzi,deve ritenersi utilm nte
2

fossero stati posti in essere da tale dante causa,pur nel disinteresse delle altre aventi

notificato. Va,a1 riguardo rilevato, sulla scorta dei dati riferiti in narrativa, che il
procedimento notificatorio,tempestivamente attivato con la consegna all’ufficiale
giudiziario prima del decorso del termine breve per proporre l’impugnazione, non si è
perfezionato entro tale termine per fatto non imputabile alla notificante,costituito dal non
comunicato trasferimento dello studio professionale dell’avvocato domiciliatario,i1 cui

agli effetti dell’art. 330 co I c.pc.,all’ atto della notifica della sentenza,così legittimando la
controparte a notificare l’impugnazione presso quel domicilio. L’impugnante,a seguito del
mancato reperimento del domiciliatario nel luogo indicato si è poi tempestivamente
attivata, con le successive attività notificatorie, compiute entro un ragionevole (di venti
giorni) arco di tempo,con l’ultima delle quali,quella del 20/2/2013 eseguita presso lo
studio del difensore della controparte,venuto così a legale conoscenza della proposizione
del ricorso,i1 procedimento deve considerarsi utilmente perfezionato. Al riguardo soccorre
l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte( v. S.0 17352/09 e,tra le altre,le
successive Cass. nn. 21154/10,18074/12),che in siffatti casi ritiene che l’incolpevolezza
dell’istante nel vano esito del primo tentativo e la mancanza di apprezzabile soluzione di
continuità tra le attività diligentemente compiute comportino la sostanziale unicità del
procedimento notificatorio, con conseguente utile effetto (in conformità al,principio
costituente ormai ius receptum,

derivante dalle ben note pronunzie della Corte

Costituzionale) al momento iniziale, segnato della prima consegna dell’atto all’ufficiale
giudiziario.
Passando all’esame del ricorso, articolato su ventisette motivi di impugnazione, dei quali
buona parte risultano illustrati congiuntamente o contenenti censure analoghe,va
premesso che si procederà al relativo esame mediante raggruppamento di quelli connessi
o ripetitivi.

3

recapito,già indicato negli atti del giudizio di appello,era stato espressamente confermato,

Con il primo motivo si lamenta il mancato rilievo di ufficio della nullità della sentenza di
primo grado,in quanto pronunziata in composizione monocratica,anziché collegiale,in
ritenuta violazione dell’art. 12 dell’art. 90 co VI L.26.11.1990 n. 353.
La doglianza è infondata,considerato che con l’art. 12 della L. 22.7.1997 n. 276 era stato
previsto che,in deroga a quanto stabilito dall’art. 90 co. 1 e 5 L. 353/90,come sostituito

u.c. dell’ordinamento giudiziario di cui al R.D. n. 12 del 1941,come sostituita dall’art. 88
L. 353/90 (prevedente che il Tribunale giudica in composizione monocratica, eccettuati i
casi di collegialità espressamente previsti ),avrebbe trovato applicazione anche ai giudizi
pendenti alla data del 30/4/1995,con la sola esclusione di quelli già assunti in decisione e
non rimessi in istruttoria con ordinanza collegiale. Correttamente,pertanto, nel caso di
specie,nel quale non ricorreva alcuna delle ipotesi di collegialità elencate dall’art. 48 co. 2
dell’ordinamento giudiziario,come sostituito dall’art. 88 della L. 353/90,1a causa,assunta in
decisione per la prima volta dal giudice del Tribunale nel Marsala nel 2001,venne decisa
in composizione monocratica.
Con il secondo e terzo motivo si deduce,rispettivamente,ai sensi dell’art. 360 n.4 e n. 5,
nullità della sentenza ,derivante da violazione e falsa applicazione degli artt. 112,341 e 345
c.p.c.,”per mancato riesame dell’intera causa decisa dal giudice di primo grado”.
Si premette che nel caso di specie,costituente un giudizio instaurato prima dell’entrata in
vigore della “novella” n. 353 del 1990,che avrebbe comportato la trasformazione del
processo di appello da novum iudicium«revisio prioris instantiae,i1 giudice di secondo
grado non avrebbe potuto limitare l’esame della causa ai soli motivi di appello e rigettarli,
ma avrebbe dovuto procedere al riesame pieno e totale del merito della controversia,
pronunziando una decisione comunque sostitutiva di quella di primo grado.
Con il quarto motivo si lamenta che la corte territoriale abbia omesso,in violazione
dell’art. 112 c.pc.,di esaminare tutti i motivi di appello,segnatamente con riferimento
4

dall’art. 9 D.L. 432/95 conv. con modd. nella L. n. 534/95,1a disposizione di cui all’art. 48

all’inosservanza dell’onere probatorio (probatio diabolica) da parte delle attrici,
all’inidoneità dei titoli prodotti dalle medesime e,per converso,alla idoneità di quelli
prodotti dalla Tumbarello,alla sussistenza dell’usucapione ed alla ingiusta condanna della
medesima alle spese,nonostante la parziale soccombenza delle controparti,la cui domanda
risarcitoria non era stata accolta.

tutto corrette (nella parte in cui si sostiene che nel rito anteriore alla “novella” del 1990
l’appello,costituendo un novum iudicium,avrebbe comportato un riesame totale della
controversia e non solo,ex artt. 342 e 345 c.p.c., una revisio prioris instantiae,strettamente
limitata alle questioni rimesse in discussione con gli specifici motivi di gravame: al
riguardo v. S.U. n.3033 del 2013),sono fondate nella parte in cui lamentano l’omessa
pronunzia da parte del giudice di appello sulla questione principale, decisa in primo
grado,costituita dalla prova dei rivendicati diritti dominicali sulle due particelle,
espressamente contestati dalla convenuta e fatti oggetto di specifici motivi gravame,come
si rileva dall’esame testuale (consentito in ragione della natura processuale della censura),
dove si era lamentato che nel caso in esame,in cui avrebbe dovuto compiersi un esame
comparativo dei titoli prodotti dalle parti,della relativa continuità e risalenza,non fosse
“possibile dall’esame dei titoli delle attrici risalire ad un acquisto a titolo originario sulle
proprietà oggetto del giudizio,né alla prova dell’avvenuta usucapione dei fondi da parte
delle Angileri”,che sarebbe stata al riguardo “insufficiente e lacunosa” (v. pag. 5).
Orbene,di tale motivo di gravame,deducente la mancanza di probatio diabolica da parte
delle attrici,che ne erano onerate in un contesto processuale nel quale la stessa risultava
necessaria,non versandosi in ipotesi di provenienza dei titoli in conflitto da un comune
dante causa, tale da attenuare il noto rigore probatorio richiesto dall’art. 948 c.c.,manca del
tutto l’esame nell’impugnata sentenza di secondo grado,la cui motivazione risulta

5

Le censure contenute nei suesposti motivi,pur partendo da premesse di principio non del

esclusivamente dedicata alla disamina e reiezione della domanda riconvenzionale di
usucapione proposta dalla convenuta.
L’accoglimento del quarto motivo (e dei connessi profili del secondo e terzo) comporta
l’assorbimento di quelli, chiaramente dipendenti, successivamente numerati quali
dodicesimo, tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo,con i quali,

controparti,si lamenta,sotto vari profili ,processuali e sostanziali,i1 mancato rilievo da parte
del giudice di appello che le risultanze di prova fornita dalla attrici non sarebbero state
sufficienti ad accoglierne la domanda,in riferimento all’uno ed all’altra striscia di terreno
controversi.
Fondato e da accogliere risulta anche il quinto motivo,con il quale si lamenta ex art. 360
co.I n. 4 in rel. 112 c.p.c.,l’omessa pronunzia sulla carenza di legitimatio ad causam di
Francesca Angileri,questione dedotta in grado di appello sulla documentata circostanza che
tale attrice avesse alienato,prima della instaurazione del giudizio,i1 maggior fondo di cui le
due particelle rivendicate si assumevano costituire pertinenze. Anche su tale questione,
sebbene espressamente ribadita nella precisazione delle conclusioni,trascritte nell’epigrafe
della sentenza di secondo grado,quest’ultima risulta del tutto silente.
Restano conseguentemente assorbiti il sesto e settimo motivo,contenenti censure attinenti al
merito della suddetta questione.
Con i motivi ottavo,nono,decimo ed undicesimo la ricorrente censura,sotto vari profili, la
revoca da parte della corte di merito dell’ordinanza ammissiva della prova testimoniale,
nella parte di cui si è riferito in narrativa.
La doglianza,pur teoricamente fondata, laddove deduce falsa applicazione dell’art. 345
c.p.c.,trattandosi di controversia instaurata prima del 30.4.1995 e,pertanto,regolata dal testo
originario dell’articolo medesimo che consentiva l’ammissione in gradigdi appello anche di
prove non dedotte in primo grado,risulta tuttavia concretamente irrilevante e pertanto
6

sviluppando ulteriormente la tesi della mancanza di prova dei diritti rivendicati dalle

inammissibile per difetto d’interesse,tenuto conto dell’esistenza dell’alternativa

ratio

decidendi ,con la quale il secondo giudice ha esaminato dette risultanze e ritenuto,con
valutazione adeguata ed incensurabile, per quanto si dirà innanzi, che le stesse non fossero
comunque tali da conferire fondamento alla domanda riconvenzionale di usucapione,con
riferimento all’uno ed all’altro cespite.

insufficiente motivazione e per violazione degli artt. 115,116 c.p.c.,in relazione al rigetto
della domanda riconvenzionale di usucapione,sia per aver ritenuto la Tumbarello gravata
dall’onere probatorio del possesso sulle particelle in contestazione,che le controparti non
avrebbero contestato,sia per non aver tenuto conto delle risultanze istruttorie,segnatamente
testimoniali,dalla medesima addotte, che se adeguatamente valutate avrebbero dovuto
indurre a ritenere il possesso esclusivo,dalla propria dante causa esercitato anteriormente al
1980, a partire quanto meno dal 1953,comprensivo anche delle strisce di terreno contese,
come sarebbe stato desumibile,quanto alla particella n. 139, anche dalla disposta
consulenza tecnica, confermante che la stessa di fatto non avrebbe avuto alcuna autonomia,
facendo parte del più ampio terreno coltivato a vigneto,già posseduto dai genitori della
convenuta.
I motivi vanno respinti,anzitutto per la manifesta infondatezza della premessa di
principio,alla luce dei criteri di riparto probatorio di cui all’art. 2697 c.c.,secondo cui la
convenuta,attrice in riconvenzionale,era sicuramente gravata,in un contesto nel quale era
ella tenuta a provare la possessio ad usucapionem ,essendo in contestazione la proprietà di
beni, la cui illegittima occupazione le attrici avevano lamentato con riferimento
all’impossessamento posto in essere nel 1980 con l’invasiva occupazione, circostanza
nr
4(1
chiaramente implicante c e in recedenza le due particelle fossero state dalla convenuta
possedute in via esclusiva.

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Con i motivi diciassettesimo e diciottesimo si censura la sentenza impugnata per omessa o

Per il resto i motivi si diffondono in palesi censure in fatto,proponendo una pretesa
rivalutazione delle risultanze istruttorie,inammissibile nella presente sede di legittimità,a
2fonte di una motivazione che risulta esente da lacune o illogicità testuali,essendo fondata
sull’analisi critica della prova testimoniale,dal cui tenore non era dato desumere con
certezza che le facoltà dominicali asseritamente esercitate prima del 1980,a dire di un

comprensive anche del “flustolo”,di soli mq. 35, in contestazione. Né il riportato tenore
testuale della deposizione,chiaramente di tipo formulare e riproduttiva,con la premessa “è
vero”,della circostanza oggetto di articolazione,è tale da indurre a ritenere ingiustificata
siffatta valutazione,tenuto conto che l’affermazione dell’unico teste,su cui fa affidamento
la ricorrente, genericamente riferente dell’esercizio “in maniera pacifica ed indisturbata”
degli assunti “possesso e godimento ” dello “spezzone “e del “piano colonico”,si è risolta
nella sostanziale formulazione di un apprezzamento o giudizio,privo di precisi riferimenti
fattuali, non fornendo alcuna concreta spiegazione sulle effettive e materiali modalità di
esplicazione di tali facoltà,né chiarendo se le stesse fossero state esclusive.
Quanto alla circostanza, riferita dal c.t.u.,della mancanza di una propria individualità della
particella n. 139,trattasi di una circostanza che non risulta riferita ad un periodo
anteriore,quanto meno di un ventennio,all’inizio della controversia,e pertanto irrilevante,
così come non decisivo,per analoga ragione (insufficienza del periodo dedotto,tenuto conto
che la causa ebbe inizio nel settembre 1987),è il richiamo ai rilievi aerofotogrammetrici,
peraltro oggetto di controversa interpretazione,riflettenti un periodo compreso tra il 1968
ed il 1978.
Altrettanto infondati sono i motivi ventunesimo e ventiduesimo,con i quali si lamenta
violazione o falsa applicazione dell’art. 1158 c.c ed omessa,insufficiente e contraddittoria
motivazione,in relazione specifica della domanda di usucapione ad oggetto del “piano
colonico”,mappale n. 140.
8

fratello della convenuta, dai comuni genitori sul fondo esteso mq 2500,fossero

Per quanto attiene ai profili di censura comuni a quelli dedotti con riferimento alla
domanda relativa alla particella n. 139,valgano le precedenti considerazioni.
Per il resto va osservato che correttamente la corte di merito ha ritenuto non sufficiente,ai
fini dell’usucapione,la sola circostanza che le attrici si fossero concretamente disinteressate
del bene comune,lasciando che lo stesso venisse di fatto goduto soltanto dall’altra

giurisprudenza di questa Corte,secondo cui in tema di compossesso la mera inerzia di
alcuno degli aventi diritto non è sufficiente a determinarne la dismissione,con relativa
instaurazione di possesso esclusivo da parte di chi invece continui ad esercitarlo, essendo
invece indispensabile a tal fine un preciso ed inequivoco comportamento idoneo a
sovvertire stabilmente la precedente situazione, escludendo gli altri dal godimento del bene
comune,mediante il compimento di attività incompatibile con la continuazione
dell’esercizio delle concorrenti facoltà ai medesimi spettanti (v.,tra le altre Cass. nn.
12260/02,11149/03, 19748/07, 17462/09);del che,come evidenziato dalla corte, con
incensurabile apprezzamento di merito,è mancata la prova.
Inammissibili,perché contenenti censure relative a questioni che non risultano esposte
nell’atto di appello,sono il diciannovesimo ed il ventesimo motivo,deducenti
rispettivamente “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sull’idoneità degli atti
prodotti Da Rosa Tumbarello al fine di rivendicare la proprietà delle particelle in relazione
alla identità tra il magazzino citato nell’atto di donazione in favore di Maggio di Giovanni
del 1923 e l’area di risulta del casolare per cui è causa”,e “nullità della sentenza per omessa
pronuncia sull’eccezione di acquisto a domino di Amato Anna da Maggio Giovanni delle
particelle rivendicate”
Del pari inammissibili per novità sono il ventitreesimo e ventiseiesimo motivo,deducenti
nullità della sentenza,per omessa pronunzia sulle domande,rispettivamente,di “accessione

9

contitolare, essendosi al riguardo conformata ad un consolidato principio della

invertita” ex art. 938 c.c. e di applicazione alla fattispecie dell’art. 936 c.c.,a termini del
quale la rimozione dell’opera costruita sul suolo altrui sarebbe stata tardiva.
Né l’una,né l’altra questione risultano dedotte in primo grado o,comunque, con l’atto di
appello, mentre la prima (integrante una domanda riconvezionale di natura costitutiva ed
implicante un accertamento di fatto,ad oggetto del requisito della buona fede

conclusioni in secondo grado;sicchè il giudice di appello non era tenuto ad esaminarle.
Non miglior sorte meritano il ventiquattresimo e venticinquesimo motivo,rispettivamente
denuncianti l’omessa pronunzia sull’usucapione “speciale” ex art.1159 bis e su quella
decennale ex art. 1159 c.c.,nonché la relativa omissione di motivazione,censure che ancor
prima che manifestamente infondateenuto conto che il possesso esclusivo era risultato
provato soltanto a partire dal 1980,anno dell’acquisto da parte della Tumbarello e della
successiva costruzione dell’immobile,con conseguente insufficienza ai fini dei rispettivi
periodi di 15 e 10 anni richiesti dalle due disposizioni) sono radicalmente
inammissibili,anche sotto il limitato profilo di eccezioni riconvenzionali,non essendo state
le relative questioni proposte con l’atto introduttivo di appello,ma soltanto in sede di
precisazione delle conclusioni.
Assorbito,infine,è il ventisettesimo ed ultimo motivo,relativo al regolamento delle spese,cui
dovrà provvedere ex novo

la diversa sezione della corte palermitana,quale giudice di

rinvio,cui si demanda anche quello delle spese del presente giudizio di legittimità,all’esito
della parziale cassazione in relazione alle censure come in precedenza accolte.
P.Q.M.
La Corte accoglie,nei limiti di cui in motivazione,i1 ricorso,cassa parzialmente la sentenza
impugnata,in relazione alle censure accolte,e rinvia,anche per le spese del presente
giudizio,ad altra sezione della Corte d’Appello di Palermo.
Così deciso in Roma il 26 giugno 2012.

nell’occupante ) è stata inammissibilmente proposta soltanto in sede di precisazione delle

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