Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21116 del 07/10/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 21116 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA
sul ricorso 16598-2013 proposto da:
A.N.M. – AZIENDA NAPOLETANA MOBILITA’ S.P.A.
(06937950639) in persona dell’amministratore unico e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
GERMANICO 96, presso lo studio dell’avvocato LUCA DI PAOLO,
rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO CASTIGLIONE,
giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente contro
IAZZETTA BIAGIO, ALABISO ALBERTO, CAIAZZA
GIUSEPPE, IZZO ALFONSO, RUSSO ANTONIO, elettivamente

Data pubblicazione: 07/10/2014

domiciliati in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentati e difesi dall’avv. VINCENZO RICCARDI, giusta
mandato a margine del controricorso;

– controricorrenti avverso la sentenza n. 7424/2012 della CORTE D’APPELLO di

NAPOLI del 27/11/2012, depositata 1’11/01/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
dell’1/07/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA
MAROTTA;
udito per la ricorrente l’Avvocato FRANCESCO CASTIGLIONE che
si riporta agli scritti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I lavoratori intimati nel presente giudizio di legittimità, dipendenti
della Azienda Napoletana Mobilità S.p.A. (A.N.M.) come conducenti di
autobus di linea senza l’ausilio del bigliettaio, chiedevano al Tribunale
del lavoro di Napoli che venisse dichiarato il loro diritto alla
corresponsione mensile della voce “agente unico” in misura pari a 20
minuti della retribuzione normale di autista di 7 livello con tre scatti di
anzianità a far tempo dal 1990 (indennità che non era stata adeguata nel
tempo) e condannata l’azienda alle differenze retributive da quantificarsi
in separato giudizio. L’A.N.M. si costituiva ritualmente ed eccepiva la
prescrizione quinquennale contestando, nel merito, la fondatezza della
domanda. Il Tribunale di Napoli accoglieva le domande condannava
l’A.N.M. a corrispondere, con quantificazione in diverso giudizio, le
differenze retributive spettanti a ciascun lavoratore a titolo di
adeguamento della indennità di agente unico in misura pari a 20 minuti
delle retribuzione normale dell’autista di 7 livello con tre scatti di
anzianità, tenendo conto dei successivi inquadramenti contrattualmente
Ric. 2013 n. 16598 sez. ML – ud. 01-07-2014
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t

corrispondenti a tale qualifica. A seguito di ricorso della società, la Corte
di appello di Napoli, con sentenza n. 7424/2012 dell’11/1/2013,
confermava la decisione di primo grado. La Corte territoriale ricostruiva
in motivazione la complessa vicenda contrattuale conseguita al processo
di soppressione della figura del bigliettaio ed alla conseguente istituzione

campana aveva nel 1986 determinato l’indennità spettante
(all’agente unico per il fatto di essere l’unico operatore presente nel
condurre l’autobus, cui si aggiunge un’ulteriore indennità nel caso in cui
lo stesso agente “unico” operi anche da bigliettaio) nella misura della
paga pari a 20 minuti spettanti ad un autista di settimo livello con 3
scatti di anzianità, all’epoca corrispondenti a L. 2.397 lorde giornaliere.
Nell’Accordo regionale del 1988 fu prevista la detta indennità nella
misura della paga pari a 20 minuti spettanti ad un autista di settimo
livello con 3 scatti di anzianità dall’1/1/1990 pur nella consapevolezza
che gli inquadramenti erano in corso di modifica per via della ricordata
soppressione generalizzata della figura di bigliettaio. Per la Corte di
appello era da escludere che si volesse cristallizzare l’importo nella
misura fissata all’i /1/1990 senza tener conto della successiva
evoluzione contrattuale e retributiva, come peraltro già stabilito da
questa Corte di cassazione con le decisioni n. 3775/2004 e n.
4257/2004 (in cui era stato esaminato il caso in cui l’agente percepiva le
due indennità operando anche da bigliettaio), affermando principi
mutuabili perfettamente anche alla fattispecie in esame. Ad avviso dei
giudici di appello, inoltre, il comportamento tenuto dalle parti sociali
non poteva togliere efficacia ad un disposto contrattuale chiarissimo ed
inequivoco. Riteneva, infine, la Corte territoriale che tale ricostruzione
ermeneutica non potesse trovare ostacolo nelle disposizioni
dell’Accordo nazionale del 2/10/1989 (e del successivo del 1995, di
Ric. 2013 n. 16598 sez. ML – ud. 01-07-2014
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della figura dell’agente unico. Rilevava, poi, che la Giunta regionale

analogo tenore) considerando che l’indennità di agente unico era ormai
da tempo divenuta una voce della retribuzione normale, essendo
corrisposta con cadenza mensile e pur in assenza di ogni attività
aggiuntiva legata alla biglietteria, così da non essere soggetta al limite del
congelamento posto dalla contrattazione nazionale.

motivi.
Resistono i lavoratori con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378
cod. proc. civ..

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società denuncia: “Violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 6 del c.c.n.l. degli auto ferrotranvieri e
internavigatori del 23/7/1976, dell’art. 1 del c.c.n.l. del 12/3/1980,
dell’art. 18 dell’Accordo nazionale del 2/10/1989, dell’art. 3
dell’Accordo nazionale del 27/11/2000, nonché degli artt. 36 Cost. e
2109 cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.)”. Si duole del fatto che la
Corte territoriale non abbia tenuto conto della decisiva portata, ai fini
della risoluzione della controversia de qua, rivestita dall’Accordo
nazionale del 2/10/1989 (che al punto 8. così recita: <>). Evidenzia che il contenuto di tale disposizione,
espressamente richiamato dalla società in sede di ricorso in appello, oltre
a fornire significativo di indice del comportamento delle parti sociali,
non poteva che confutare l’esistenza stessa di un elemento costitutivo
della domanda proposta dai lavoratori deponendo chiaramente nel

senso della corresponsione della indennità in questione in misura fissa e
non, come preteso, soggetta a variazione in rapporto all’adeguamento
della paga oraria di riferimento (cfr. punto V dell’Accordo regionale del
15 marzo 1988: <>). Rileva che,
contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, un determinato
emolumento può farsi rientrare nell’alveo della retribuzione normale
(non sussistendo alcun principio di onnicomprensività) solo a seguito di
espressa previsione della contrattazione collettiva, a prescindere dalle
modalità di corresponsione dell’emolumento stesso. Richiama a
fondamento dell’assunto il disposto dell’art. 3 dell’Accordo nazionale
del 27/11/2000 il quale elenca una serie di elementi retributivi,
sancendo che essi <>.
2. Con il secondo motivo la società denuncia: “Violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 cod. civ. in riferimento
all’interpretazione dell’Accordo del 13 marzo 1988 (art. 360, n. 3, cod.
proc. civ.)”. Assume che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte
territoriale, dall’indicato Accordo regionale non emergeva la volontà
delle parti contrattuali di volere determinare un meccanismo di
adeguamento automatico per il futuro. L’Accordo del 1988 era un dato
empirico, non un riferimento parametrico; era un limite massimo tenuto
,,

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conto della Delib. di Giunta del 1986; la qualifica di riferimento non era
più presente nel sistema di inquadramento del personale dell’A.N.M..
Nessuna protesta era poi intervenuta dopo la denegazione del preteso
diritto per circa 15 anni.
3. Con il terzo motivo la società denuncia: “Violazione e/o falsa

come modificata dalla L.R. 15 marzo 1984, n. 13 (art. 360, n. 3, cod.
proc. civ.) nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio,
già oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.)”.
Evidenzia che il compenso era stato definito in cifra fissa, il che
comprovava come non fosse destinato a mutare in via automatica, ma
certamente non era stato escluso che potesse aumentare per via di una
nuova determinazione. Nel 1990 vi era stato un aumento dovuto però al
convergere all’1/1/1990 di A.N.M. e C.T.P. verso un unico importo
ricavato da quello che era stato per anni il comune indicatore dei costi
standards dei servizi resi dalla aziende per il trasporto pubblico urbano.
4. Il primo motivo è infondato.
Parte ricorrente incentra i propri rilievi sulla erronea valutazione da
parte della Corte territoriale dell’Accordo nazionale del 2/10/1989 e di
quello del 27/11/2000 il cui contenuto (“snodo-chiave” della presente
causa) consentirebbe di ritenere che l’emolumento oggetto di
rivendicazione era stato “cristallizzato” in cifra fissa. Evidenzia, in
particolare, che l’art. 3 dell’Accordo nazionale del 27/11/2000,
elencando gli elementi retributivi che costituiscono la retribuzione
normale, consentirebbe di escludere che l’indennità di cui si discute
possa essere ricompresa nell’ambito di tale retribuzione normale,
restando così fuori del previsto congelamento. A fronte di tale motivo, i
lavoratori controricorrenti hanno eccepito che, invero, ai suddetti
Accordi la Corte di merito non avrebbe potuto in ogni caso fare
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applicazione dell’art. 4, comma 1, lett. a L. Reg. Campania 25/1/1983

riferimento trattandosi di disposizioni pattizie introdotte in causa dalla
società solo in sede di giudizio di secondo grado, e dunque,
tardivamente, così come tardiva era stata la relativa produzione
documentale (si ricorda, sul punto, che la parte totalmente vittoriosa nel
giudizio di appello non è tenuta a proporre ricorso incidentale diretto

potendo tale correzione essere ottenuta mediante la semplice
riproposizione delle difese nel controricorso o attraverso l’esercizio del
potere correttivo attribuito alla Corte di cassazione dall’art. 384 cod.
proc. civ. – così ex multis Cass. 24 marzo 2010, n. 7057; Cass. 24 marzo
2006, n. 663 -). In effetti è la stessa società ad ammettere che a tali
Accordi era stato fatto riferimento solo in sede di ricorso in appello.
In via preliminare, occorre ricordare che, come di recente chiarito da
Cass. n. 6335 del 19 marzo 2014 e da Cass. n. 7385 del 28 marzo 2014,
la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei “contratti o accordi
collettivi di lavoro” è stata aggiunta dall’art. 2 d.lgs. n. 40/2006
(sostitutivo del precedente testo dell’art. 360 cod. proc. civ. ed in
particolare modificativo del suo primo comma, n. 3) a quella delle
“norme di diritto”: così parificando i primi alle seconde sul piano
processuale.
E tale disposizione, che si accompagna all’introduzione dell’art. 420
bis cod. proc. civ. (ad opera dell’art. 18 d.lgs. cit.), in coerente simmetria
con quanto già previsto dagli artt. 63, quinto comma, e 64 d.lgs.
165/2001, in materia di controversie nel lavoro pubblico
contrattualizzato, segna il punto di approdo del movimento di distacco
(sul piano processuale) del contratto collettivo dallo schema del negozio
giuridico con conseguente allontanamento dall’assolutismo legislativo”
ed estensione della funzione nomofilattica della Corte di cassazione a
quella che è stata definita quale “tutela dello svolgimento ragionevole e
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soltanto alla modifica della motivazione della sentenza impugnata

ragionevolmente prevedibile dell’intero ordinamento della collettività, in
tutte le sue espressioni normative”.
Ciò comporta, come è stato precisato, la necessità di ascrivere la
doglianza all’errore di diritto, direttamente denunciabile per cassazione
senza (più) la necessità di indicazione, a pena di inammissibilità della

civ.), così come analoga indicazione non è necessaria per le altre norme
di diritto (con riferimento, in particolare, all’art. 12 disp. prel. cod. civ.) cfr. le citate Cass. n. 6335 del 19 marzo 2014 e da Cass. n. 7385 del 28
marzo 2014 che, con un percorso argomentativo coerente con
l’allontanamento dall’assolutismo legislativo” di cui sopra si è detto, si
pongono, invero, in contrasto rispetto al diverso orientamento espresso
da Cass. nn. 9070 e 9054 del 15 aprile 2013, Cass. n. 17168 del 9 ottobre
2012 e da Cass. n. 13242 del 31 maggio 2010, secondo cui
l’interpretazione di una norma contrattuale, com’è quella contenuta in
un contratto collettivo di diritto comune, è operazione che si sostanzia
in un accertamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito ed
incensurabile in cassazione se non per vizi attinenti ai criteri legali di
ermeneutica o ad una motivazione carente o contraddittoria -.
Di certo la parificazione, sul piano processuale, dei “contratti o
accordi collettivi di lavoro” alle “norme di diritto” ad opera dell’art. 2
d.lgs. n. 40/2006 comporta che la cassazione per violazione del c.c.n.l.
dà luogo all’enunciazione del principio di diritto ai sensi dell’art. 384,
primo comma, cod. proc. civ. ed alla decisione della causa nel merito, ai
sensi del secondo comma, quando non siano necessari ulteriori
accertamenti di fatto.
A tale enunciazione la Corte di legittimità può pervenire anche
esaminando altre clausole (diverse da quella specificamente oggetto di

Ric. 2013 n. 16598 sez. ML – ud. 01-07-2014
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doglianza stessa, del criterio ermeneutico violato (artt. 1362 ss. cod.

fondi su di essa, che venga anche prodotta in uno con il ricorso stesso
(art. 369, n. 4, cod. proc. civ.).
Fatte queste premesse va ritenuto, alla luce delle stesse, che il
motivo, per come formulato, superi il vaglio di ammissibilità (non
essendo, peraltro, censurata una erronea interpretazione da parte del

l’assenza di ogni considerazione di tale norma) e rappresenti, altresì, un
elemento di novità rispetto alle questioni esaminate nelle decisioni di
questa Corte citate nella sentenza impugnata.
Va, poi, considerato che, se pure è vero che la Corte di legittimità,
nell’esercizio del potere di interpretare i contratti collettivi nazionali,
deve potere disporre di tutti gli elementi occorrenti per la ricostruzione
della volontà contrattuale, per decidere una volta per tutte
sull’interpretazione delle clausole, onde assicurare quell’uniformità e
certezza che è lo scopo dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., come
attualmente formulato, tuttavia vi è un diverso atteggiarsi del concetto di
“conoscibilità” della fonte normativa (quanto ad esistenza e a
contenuto) – che, in ragione delle sopra espresse considerazioni, non
sembra possa essere considerato più un “fatto”, almeno nel giudizio di
cassazione -, da parte del giudice esclusivamente con mezzi propri (iura
novit curia) a seconda che si versi in una ipotesi di violazione del c.c.n.l.
privatistico rispetto ad una in cui le questioni attengano ad un c.c.n.l. del
pubblico impiego. Ed infatti, a differenza della legge e dei contratti
collettivi del pubblico impiego (pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale), il
c.c.n.l. privatistico non è conoscibile se non con la collaborazione (onere
di allegazione e di produzione) delle parti. Rilevante è, dunque, che la
fonte normativa possa essere conosciuta dal giudice a prescindere
dall’iniziativa di parte la quale, laddove necessaria (come nel caso del

Ric. 2013 n. 16597 sez. ML – ud. 01-07-2014
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giudice di merito della norma pattizia denunciata bensì lamentata

collettivi del pubblico impiego (pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale), il
c.c.n.l. privatistico non è conoscibile se non con la collaborazione (onere
di allegazione e di produzione) delle parti. Rilevante è, dunque, che la
fonte normativa possa essere conosciuta dal giudice a prescindere
dall’iniziativa di parte la quale, laddove necessaria (come nel caso del

distribuzione dell’onere della prova e sul contraddittorio.
Se è vero, poi, che ai sensi dell’art. 420, comma 5, cod. proc. civ. il
giudice può richiedere alle associazioni sindacali il testo dei contratti e
accordi collettivi di lavoro, anche aziendali, da applicare nella causa, tale
potere non può che essere esercitato in base alle allegazioni e deduzioni
delle parti, restando la relativa eventualità pur sempre nell’ambito di
applicazione del principio dispositivo e permanendo l’onere delle parti
che vogliano far valere l’applicazione di un determinato contratto
collettivo di provarne l’esistenza e di produrlo in giudizio (si tratta,
dunque, di una discrezionalità limitata alla rilevanza del contratto o
accordo collettivo ai fini della decisione e solo il giudizio positivo di
rilevanza dà luogo ad un dovere di acquisizione).
Esaminati i rilievi della ricorrente e quelli dei controricorrenti alla
luce degli indicati princìpi, deve, allora, ritenersi che, nello specifico, alla
suddetta “conoscibilità” degli Accordi nazionali del 2/10/1989 e del
20/11/2000 fosse di ostacolo la assolutamente tardiva allegazione e
deduzione e la originaria mancanza di ogni contraddittorio in ordine alle
questioni sollevate in relazione agli stessi.
Non poteva, dunque, la Corte territoriale prendere in considerazione
gli Accordi predetti atteso che la causa andava decisa sulla sola base
delle deduzioni, in fatto ed in diritto, così come delineate e delimitate
dalle posizioni assunte dalle parti nel corso del giudizio di primo grado.

Ric. 2013 n. 16598 sez. ML – ud. 01-07-2014
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c.c.n.l. privato), resta assoggetta alle regole processuali sulla

Né questa Corte può esaminare il contenuto di tali Accordi in virtù
del principio iura novit curia che, come detto, presuppone una
conoscibilità della fonte normativa rispetto alla quale non risultino di
ostacolo preclusioni allegative e deduttive già verificatesi.
La motivazione della decisione impugnata va, dunque, corretta in

5. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono infondati alla luce
dell’orientamento di questa Corte già espresso nelle decisioni n. 3775 del
25 febbraio 2004 e n. 4257 del 2 marzo 2004 (citate nella sentenza
impugnata) e nella più recente Cass. n. 13406 del 29/05/2013.
Il thema decidendum, prescindendo dai rilievi di cui sopra si è detto, é
se l’Accordo regionale del 15 marzo 1988 abbia offerto un parametro
per determinare il compenso spettante al conducente unico o invece
abbia indicato una cifra determinata, incrementabile ma solo con una
nuova deliberazione ad hoc. La Corte di appello, dopo aver ricostruito
l’evoluzione del sistema contrattuale e retributivo del settore a seguito
del varo della figura dell’agente unico” (eventualmente con mansioni
anche di bigliettaio) e ricordato che la L.R. n. 13 del 1983 e la Delib.
Giunta campana 2 dicembre 1986, istituenti limiti di bilancio (da tenere
in considerazione), non potevano incidere nella determinazione in
concreto dell’ammontare dell’indennità concessa all’agente unico
demandata alla contrattazione collettiva, ha poi riprodotto il tenore
letterale del citato Accordo regionale del 15 marzo 1988 nel quale era
stato pattuito che <>. Per la Corte
territoriale le parti collettive non potevano non sapere (anche per
l’incontro del 2 marzo 1986 presso il Ministero dei Trasporti e per
Ric. 2013 n. 16598 sez. ML – ud. 01-07-2014
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parte qua nei termini sopra illustrati.

l’Accordo nazionale del 24 aprile 1987 che disciplinava in sede di prima
applicazione il passaggio alla qualifica di agente di movimento di quinto
livello) del mutamento degli inquadramenti in atto con la soppressione
della qualifica di bigliettaio: se pure si era utilizzata la terminologia
contrattuale recepita dalla Giunta regionale nel 1986 era evidente che si

operativi al momento dell’Accordo. La Corte territoriale ha, così,
sottolineato che le somme erogate dal 1990 non erano computate sul
compenso di L. 2397 previsto dalla Delib. del 1986, ma sul compenso di
L. 3280 “corrispondente esattamente ai venti minuti di retribuzione del
lavoratore che, precedentemente inquadrato come autista del 7 livello
con tre scatti di anzianità, alla data dell’1/1/1990 percepiva la maggiore
retribuzione relativa all’anno in corso”. Per la Corte, dunque, non vi era
stata alcuna cristallizzazione del compenso con riferimento a quanto
stabilito dalla Delibera del 1986, avendo voluto le parti aggiornare il
compenso con decorrenza 1/1/1990 tenuto conto dei mutamenti
intervenuti nella contrattazione collettiva e del paramento scelto già nel
1986 (venti minuti di retribuzione di un agente), con quella determinata
qualifica e quella determinata anzianità di servizio. Ad avviso dei giudici
partenopei, si era insomma consentito al compenso di lievitare, tenuto
conto della fisiologica dinamica salariale, ma solo nei limiti stabiliti dal
paramento già ricordato. La Corte territoriale ha anche ricordato le due
già citate sentenze di questa Corte (Cass. n. 3775/2004 e Cass. n.
4257/2004) che hanno affermato principi rafforzativi dell’orientamento
come sopra espresso in una controversia in cui conducenti che
svolgevano mansioni anche di bigliettaio reclamavano il compenso di 20
minuti più un altro compenso di venti minuti per il “doppio incarico”.
In tali decisioni questa Corte di legittimità ha affermato che il
riferimento a venti minuti di paga oraria è un tipico criterio di
Ric. 2013 n. 16598 sez. ML – ud. 01-07-2014
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fosse voluto far riferimento ai nuovi inquadramenti ormai maturati ed

determinazione parametrica sensibile alle variazioni della retribuzione
parametro, al pari di quello espresso in misura percentuale.
Pertanto l’interpretazione della clausola dell’Accordo regionale accolta
dalli Corte di appello è congruamente e logicamente motivata e
risponde ai canoni ermeneutici codicistici posto che parte da una

motivo) cui aggiunge una valutazione di natura sistematica che tiene
conto dell’evoluzione contrattuale derivata da fasi di ristrutturazione
produttiva che aveva portato alla creazione dell’agente unico” e da
ultimo è sorretta da elementi direttamente tratti dalla prima applicazione
dell’Accordo del 1988 che portò ad una commisurazione del compenso
riferito al parametro scelto ma aggiornato alla luce dell’evoluzione
salariale e di inquadramento intervenuta dal 1988 al 1990. A ciò si deve
aggiungere che la soluzione offerta appare coerente con i principi già
fissati da questa Corte in controversie di natura analoga riguardanti
l’istituzione dell’agente unico e la determinazione del suo compenso (nel
caso in cui avesse operato anche da bigliettaio). La soluzione
interpretativa adottata secondo la quale si è scelto un riferimento
parametrico per stabilire il compenso e non si è invece stabilito un mero
dato empirico da rinegoziare e rideterminare ha, quindi, alla base
elementi di natura letterale, sistematica, legati alla prassi applicativa
dell’Accordo in parola ed infine trova conforto in principi già affermati
da questa Corte perfettamente applicabili alla fattispecie (molto simile
nei suoi contorni) in esame.
Con riguardo alle ulteriori doglianze, va rilevato, sempre in
conformità a quanto ritenuto da Cass. n. 13406 del 29/05/2013, che
non appare sussistere alcuna violazione della disciplina regionale che
fissava solo un limite massimo per il 1986, poi non più aggiornato
attraverso Delibere di Giunta; ad avviso della Corte territoriale – per le
Ric. 2013 n. 16598 sez. ML – ud. 01-07-2014
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interpretazione di natura letterale (come è riconosciuto nello stesso

ragioni già dette – l’Accordo del 1988 ha introdotto un riferimento
parametrico per il compenso che trova riscontro – come hanno
accertato gli stessi giudici di appello – nella prima applicazione
dell’Accordo stesso determinandosi l’importo già riferito al valore dei
“20 minuti”, come stabilito nel 1986 sulla base di un inquadramento

pari di quanto riscontrato da questa Corte nei precedenti già citati e che
riguardano la medesima vicenda di un nuovo inquadramento
professionale del personale addetto alla guida di automezzi – ed al
soppresso servizio di biglietteria -), globalmente considerato. Del resto
la lettera della clausola contrattuale – ha correttamente osservato la Corte
– milita senz’altro per l’indicazione di un parametro piuttosto che di una
mera cifra fissa in quanto, se davvero le parti contrattuali avessero
voluto indicare un compenso in cifra fissa e cristallizzarlo sino a
successive determinazioni, l’avrebbero indicato direttamente in una certa
somma senza passare attraverso formule di più complessa e
inevitabilmente controversa lettura.
6. Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.
7. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in
base a quanto previsto dal d.m. n. 55 del 10 marzo 2014 (art. 28),
devono essere poste a carico della parte soccombente.
8. Il ricorso è stato notificato il 24/6/2013, dunque in data
successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di
stabilità del 2013 (art. 1, comma 17 della legge 24 dicembre 2012, n. 228
del 2012), che ha integrato l’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando
l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata
inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a
versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
Ric. 2013 n. 16598 sez. ML – ud. 01-07-2014
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non più operante, secondo un principio di adeguamento automatico (al

dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art.
1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei
presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge
al momento del deposito dello stesso”.
Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente

conformità.

P. Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al
pagamento, in favore della controparte, delle spese del presente giudizio
di legittimità che si liquidano in euro 100,00 per esborsi, nonché in euro
4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso
forfettario in misura del 15%. Dichiara dovuto dalla ricorrente l’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 luglio 2014.

impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in

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