Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21116 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/10/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 02/10/2020), n.21116

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6838/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

Q.R., con domicilio eletto in Roma, via Riccardo Grazioli

Lante 76 presso l’Avv. Pietro Sciubba, che lo rappresenta e difende

con l’Avv. Roberto Venturoli;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Liguria, n. 48/1/2011 depositata il 26 aprile 2011, non notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 12 febbraio 2020

dal consigliere Dott. Gori Pierpaolo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 48/1/11 depositata in data 26 aprile 2011 la Commissione tributaria regionale della Liguria accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza n. 114/3/09 della Commissione tributaria provinciale di La Spezia, la quale a sua volta aveva accolto il ricorso proposto da Q.R., contro un avviso di accertamento per IRPEF, IRAP e IVA oltre sanzioni 2004.

– In particolare, a seguito di accertamenti bancari, l’Agenzia qualificava come mediazione immobiliare la tipologia dell’attività di impresa svolta dal contribuente, in quanto accertava l’acquisto da parte del contribuente nel 2004 di due cespiti immobiliari, la loro ristrutturazione, il frazionamento in tre appartamenti più un box e la vendita nel medesimo periodo di imposta di due unità abitative, mentre la restante e il box venivano venduti l’anno successivo.

– L’Ufficio rideterminava così i proventi da cessione degli immobili in reddito d’impresa – al netto dei costi – e considerava i beni non venduti nel corso dell’anno di imposta come rimanenze finali per un valore corrispondente al costo di acquisto aumentato dei relativi costi di ristrutturazione. Per l’effetto, tenuto anche conto delle risultanze degli accertamenti bancari condotti, il reddito di impresa accertato risultava incrementato rispetto al reddito dichiarato dal contribuente nel periodo di imposta e l’Agenzia recuperava ad imposizione anche i costi di ristrutturazione dichiarati dal contribuente, pari ad Euro 30.000, perchè non supportati da regolare fattura.

– La CTR condivideva in larga parte la decisione di primo grado, ritenendo che il contribuente avesse assolto l’onere della prova, avendo dimostrato l’avvenuta tassazione degli importi oggetto di accertamenti bancari ovvero l’estraneità dei medesimi dall’imposizione. Tuttavia, riteneva non accoglibile la prospettiva del contribuente circa i costi da ristrutturazione, per carenza di regolare fattura e, in parte qua, confermava la ripresa.

– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo tre motivi. Il contribuente resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato a tre motivi, che illustra con memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo di ricorso principale l’Agenzia deduce – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità della sentenza in violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi la CTR pronunciata sulla ricostruzione, contenuta nell’avviso di accertamento, dei maggiori componenti positivi di reddito derivanti dalle compravendite immobiliari nell’esercizio di impresa per un totale di Euro 83.460,60, di cui Euro 48.992 imputabili a rimanenze finali.

– In via preliminare il Collegio ritiene che non sia accoglibile l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione derivata da inammissibilità dell’atto di appello per difetto di specificità, in quanto la sentenza impugnata tratteggia adeguatamente le varie riprese portate dall’avviso di accertamento, come si evince dal fatto processuale che identifica con precisione anche i capi su cui la CTR non si è pronunciata, nè sono riprodotti in controricorso elementi circostanziati a sostegno della prospettazione.

– Neppure Le eccezioni preliminari di inammissibilità del primo motivo contenute in controricorso trovano ingresso. A differenza di quanto argomenta il contribuente, con compiuta autosufficienza il ricorso a pagg.6 e 7 ha riportato i passaggi in cui in appello la questione oggetto del primo motivo era stata riproposta. Nè, infine, trova spazio la tesi della quaestio iuris già risolta per parziale decisione implicita dal momento che l’omissione di pronuncia denunciata non riguarda una questione preliminare ma l’oggetto stesso di una fondamentale ripresa, costituente capo di domanda di appello.

– Il motivo è fondato. Va premesso che l’avviso di accertamento è stato emesso sul presupposto che il contribuente nel periodo di imposta svolgesse attività di impresa di mediazione immobiliare, in quanto autore di plurime compravendite di immobili in un breve periodo di tempo. Con l’atto impositivo l’Agenzia ha quindi rideterminato i proventi da cessione degli immobili quali reddito d’impresa – al netto dei costi – ed ha considerato i beni non venduti nel corso dell’anno di imposta come rimanenze finali per un valore corrispondente al costo di acquisto aumentato dei relativi costi di ristrutturazione. Per l’effetto, il reddito di impresa accertato è risultato, come si legge nell’esposizione del fatto processuale a pag.2 della sentenza impugnata, pari ad Euro 165.827,00, corrispondente alla somma del reddito dichiarato nel periodo di imposta di Euro 17.496, cumulato con i maggiori ricavi derivanti da indagini bancarie per Euro 64.870, col valore delle rimanenze finali pari ad Euro 48.992, oltre che con la differenza tra i ricavi ed i costi relativi agli immobili ceduti.

– La motivazione della decisione è però poi incentrata sulla sola ripresa dei ricavi derivanti da indagini bancarie (Euro 64.870) e sui costi da ristrutturazione immobiliare (Euro 30.000). La CTR non si è in alcun modo pronunciata sull’autonomo capo di domanda sottoposto al suo esame, in merito alla ricostruzione di componenti positive di reddito per rimanenze finali derivanti dalle compravendite immobiliari nell’esercizio di impresa, la cui entità – Euro 48.992 – è considerevole in relazione alla materia del contendere, essendo pari a metà del valore della controversia dichiarato in ricorso.

– Alla luce di quanto precede, la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato determina la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

– L’accoglimento del primo determina l’assorbimento del secondo motivo di ricorso principale, con cui l’Agenzia censura – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omessa motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sulle circostanze già poste a base del primo mezzo di impugnazione.

– Con il terzo motivo l’Agenzia censura – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’insufficiente e contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, circa la ripresa per maggiori elementi positivi di reddito a seguito di indagini finanziarie, per aver il giudice d’appello accolto la prospettazione del contribuente nonostante questi non avesse fornito una giustificazione precisa e puntale delle operazioni finanziarie attive e passive contestate.

– Il motivo non è inammissibile come eccepito in controricorso, in quanto non è diretto ad una mera rivalutazione del merito, ma a far valere vizi logici della motivazione per mancato confronto con le prove e gli elementi di fatto della fattispecie, ed è fondato.

– Va reiterato che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 (in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività.” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4829 del 11/03/2015, Rv. 635057 – 01; conforme, quanto alle riprese IVA Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20981 del 16/10/2015, Rv. 636960 – 01).

-Orbene, l’Agenzia per compiuta autosufficienza alle pagg. 9-11 del ricorso ha riportato le parti rilevanti dell’atto impositivo, in cui si legge tra l’altro che: “In ordine alle movimentazioni passive contestate (pari ad Euro 37.870,00) il contribuente, relativamente ai prelevamenti (per assegni o contante) effettuati per un totale di Euro 22.870, si è limitato ad asserire che si trattava di prelevamenti per esigenze familiari (…) Per la restante parte di operazioni finanziarie passive il contribuente ha prodotto unicamente dichiarazione di certo Gasparotti (…) In ordine alle movimentazioni finanziarie attive per Euro 12.000 si evidenzia come nessuna prova documentale sia stata fornita (…)”.La motivazione della CTR non si confronta con tali elementi di fatto potenzialmente decisivi e contrari, e anche di ciò va tenuto conto in sede di rinvio.

-Con il primo motivo di ricorso incidentale il contribuente lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. con riferimento al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, per aver la CTR dato per presupposto il fatto che il contribuente esercitasse un’attività di impresa di compravendita immobiliare, pur in assenza di prova a riguardo da parte dell’Agenzia delle contestate ripetute compravendite immobiliari, non essendo stati prodotti atti o documenti a riguardo. Nella memoria autorizzata il contribuente insiste sul mancato rispetto del canone di riparto dell’onere della prova da parte del giudice d’appello.

– Il motivo è fondato. Va reiterato che “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricomprende tanto quello di violazione di legge, ossia l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, quanto quello di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione.” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 23851 del 25/09/2019, Rv. 655150 – 02). Orbene, premesso che anche un’unica attività di compravendita immobiliare, se rilevante, può essere idonea a determinare il riconoscimento dello svolgimento di attività di impresa, la CTR in sentenza dà conto nella parte del “fatto” che la qualificazione di attività di impresa in capo al contribuente è controversa, ma non dà conto degli elementi della fattispecie concreta che la portano alla conclusione affermativa, circostanza che incide anche sulla ampiezza degli accertamenti bancari applicabili alle movimentazioni in entrata ed in uscita, nel rispetto della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014.

– Con il secondo motivo di ricorso incidentale il contribuente deduce – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi la CTR pronunciata sulla specifica eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per omessa allegazione della documentazione richiamata e non conosciuta dal contribuente.

– Il motivo è infondato. Va rammentato che “Non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte.” (Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 20718 del 13/08/2018, Rv. 650016 – 01). Dal momento che quella di nullità dell’avviso per mancata allegazione di documentazione è un’eccezione preliminare alla disamina del merito, il fatto che la CTR si sia pronunciata sul merito, sia pure in modo incompleto, in senso parzialmente favorevole all’Agenzia appellante comporta l’implicito rigetto dell’eccezione preliminare sollevata dal contribuente appellato.

-Con il terzo motivo del ricorso incidentale il contribuente deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un fatto controverso con riferimento alla pretesa attività di impresa, per escludere la detrazione di Euro 30.000 di costi relativi a tale attività e, sempre con riferimento all’esclusione di spese detraibili, per aver illogicamente ritenuto l’esclusione un’automatica conseguenza dell’omessa fatturazione delle prestazioni da parte del beneficiario del pagamento.

-Il motivo è fondato. Va premesso che contraddittoriamente, la sentenza impugnata nella parte motiva a pag. 3 ragiona di “deduzione” quali passività dei costi di ristrutturazione di Euro 30.000,00, come pure le parti nei propri atti, mentre nel dispositivo afferma di non riconoscere tali costi ai fini della “detrazione”, e così pure fa il contribuente, a pag.24 del ricorso nel primo senso e poi a pag. 2 della memoria scrive di “deduzione di spese documentate per Euro 30.000”. Al proposito, in ogni caso la Corte rammenta che, non si può escludere la detraibilità del costo per effetto solo della mancata fatturazione, come insegna la giurisprudenza della Corte del Lussemburgo, secondo la quale “Il principio fondamentale della neutralità dell’IVA esige che la detrazione dell’IVA pagata a monte venga riconosciuta se sono soddisfatti i requisiti sostanziali, quand’anche taluni requisiti formali siano stati disattesi dal soggetto passivo, ma una diversa soluzione può imporsi qualora l’inosservanza di tali requisiti formali abbia l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali.” (Corte di Giustizia 7 marzo 2018, Dobre, C-159/17, in particolare p.p.31 e 35).

– A conclusione non difforme si giunge ove la ripresa per i 30.000 Euro sia per la disconosciuta deduzione del costo da ristrutturazione ai fini delle imposte dirette sul reddito, dal momento che l’esistenza della fattura non è di per sè indispensabile. Affinchè siano deducibili, infatti, i costi possono essere dimostrati con ulteriori documenti prodotti dalla parte purchè consentano di valutare se il costo sia inerente, determinato o determinabile, imputato al periodo d’imposta corretto e sia stato effettivamente sostenuto. Va rammentato al proposito il canone già indicato da questa Corte secondo cui “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa. ” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 13300 del 26/05/2017, Rv. 644248 – 01).

– Anche sul punto è dunque necessaria una nuova ponderazione del quadro probatorio da parte del giudice d’appello in relazione alla presenza o meno dei requisiti sostanziali nel caso concreto per fruire della detrazione e deduzione dell’IVA.

– Per l’effetto, la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla CTR della Liguria, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profilo e per la liquidazione delle spese di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il primo e terzo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, e il primo e terzo motivo del ricorso incidentale, rigettato il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Liguria, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo e per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 2 ottobre 2020

 

 

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