Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21107 del 13/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/10/2011, (ud. 23/06/2011, dep. 13/10/2011), n.21109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27392/2006 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIULIO

VENTICINQUE 23, presso lo studio dell’avvocato MASI RAFFAELLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato CAMPANILE Massimo Nicola, giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 105/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 18/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/06/2011 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e

in subordine rigetto dei motivi da 1 a 3, inammissibilità del 7

motivo, rigetto dei motivi da 4 a 6.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.S., esercente una ditta individuale, proponeva due distinti ricorsi avverso gli atti di accertamento per l’Irpef relativa agli anni d’imposta 1995 e 1996 – oltre Erogazione di sanzione – emessi a seguito di verifica e conseguente processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, nel quale risultavano contestati maggiori ricavi e minori costi. Deduceva il difetto di motivazione; l’illegittimità dell’accertamento induttivo per difetto dei presupposti di legge; l’invalidità e/o erroneità dei criteri di accertamento induttivo utilizzati per difetto dei requisiti di gravità, precisione e concordanza della prova per presunzioni e per erroneità dei criteri di ricarico utilizzati;

l’esistenza di un giudicato penale favorevole; l’eccessività delle sanzioni applicate.

La Commissione Tributaria Provinciale, riuniti i ricorsi, li rigettava.

Contro tale decisione il contribuente proponeva appello ribadendo le proprie deduzioni; l’ufficio resisteva.

La Commissione Tributaria Regionale rigettava l’appello.

Avverso tale ultima sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione fondato su sette motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVAZIONE

1. Con il primo motivo del ricorso in esame il contribuente denuncia il vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, costituito dal difetto di motivazione dell’atto impositivo.

1.1 La censura è infondata. Invero, come si ricava dall’impugnata sentenza, il giudice dell’appello ha correttamente e congruamente motivato rilevando che l’atto impositivo risultava motivato per relationem con richiamo al processo verbale della Guardia di Finanza e che quest’ultimo era stato regolarmente notificato al contribuente.

2. Con il secondo motivo il contribuente deduce il vizio di motivazione dell’impugnata sentenza sull’eccezione di carenza dei presupposti D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, non essendo la percentuale di ricarico da sola sufficiente a garantire l’esistenza dei caratteri di precisione, gravità e concordanza richiesi da tale norma.

2.1 La doglianza è inammissibile in quanto denuncia come vizio di motivazione un presunto vizio di diritto, e comunque è infondata avendo il giudice dell’appello correttamente motivato in virtù dei principi enucleati dalla assolutamente prevalente giurisprudenza di questa Corte (tra le molte: Cass. n. 6852 del 2009; più restrittiva solo n. 20201 del 2010) secondo i quali “in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, per presumere l’esistenza di ricavi superiori a quelli contabilizzati ed assoggettati ad imposta, non bastano semplici indizi, ma occorrono circostanze gravi, precise e concordanti (così come, per le presunzioni semplici, dispone l’art. 2729 cod. civ.), sicchè non è legittima la presunzione di ricavi, maggiori di quelli denunciati, fondata sul raffronto tra prezzi di acquisto e di rivendita operato su alcuni articoli anzichè su un inventario generale delle merci da porre a base dell’accertamento”.

3. Con il terzo motivo il contribuente denuncia il vizio di motivazione dell’impugnata sentenza sull’eccezione di invalidità e/o erroneità dei criteri di accertamento utilizzati, in particolare per aver utilizzato il criterio del “ricarico medio” in luogo di quello “ponderato” e per aver rivalutato le giacenze di magazzino senza fornire la prova che il maggior valore attribuito corrispondesse al valore di mercato alla chiusura dell’esercizio e senza tener conto del principio secondo il quale la valutazione va fatta in base al minor prezzo tra quello d’acquisto o di costo e quello desunto dall’andamento del mercato.

3.1 La doglianza, come proposta, è infondata alla luce del pacifico e condiviso principio, (Cass. SS.UU. n. 5802 dell’11.6.1998) secondo cui il vizio di motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale desumibile dalla sentenza, sia ravvisabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può, invece, consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, posto che la citata norma conferisce alla Corte di Cassazione solo il potere di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui spetta individuare le fonti del proprio convincimento, scegliendo tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Il motivo, inoltre, è inammissibile in virtù del consolidato principio affermato da questa Corte: (Cass. n. 15952/2007) “Il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito”.

Nel caso di specie il ricorrente assume di aver evidenziato nei propri scritti difensivi una serie di eccezioni sulle modalità del calcolo sia con riferimento al ricarico che alle giacenze di magazzino, ma, in violazione del principio dell’autosufficienza e nel silenzio sul punto dell’impugnata sentenza, avrebbe dovuto indicare specificamente gli atti processuali e riportare testualmente i brani degli stessi attestanti quanto sopra, onde dare la possibilità a questa Corte di svolgere il suo compito istituzionale di controllo di legalità.

4. Con il quarto motivo il contribuente denuncia il vizio di motivazione sull’efficacia vincolante ex art. 654 c.p.c., del giudicato penale di assoluzione perchè il fatto non sussiste.

5. Con il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., per mancata pronuncia sull’eccezione relativa all’efficacia vincolante del giudicato penale di cui sopra.

6. Con il sesto motivo denuncia 1 a violazione dell’art. 654 c.p.p..

6.1 I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente prospettando tre diversi vizi, tutti dipendenti dall’esistenza di un giudicato penale di assoluzione.

Le tre censure devono ritenersi infondate: invero, come questa Corte ha già affermato (Cass. n. 3724 del 2010): “Ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen., che ha implicitamente abrogato il D.L. n. 429 del 1982, art. 12 (convertito nella L. n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 25, l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare”.

Nel caso di specie il giudice dell’appello, pronunciandosi specificamente sul punto, con motivazione logica ed esauriente, anche se stringata, ha fatto un corretto uso del principio sopra riportato affermando l’ininfluenza del giudicato penale sul processo tributario “in quanto gli elementi richiesti dalla legge per la sussistenza del reato sono diversi da quelli richiesti per la sussistenza della violazione tributaria”. Da tanto ha correttamente fatto derivare la immodificabilità della motivazione già svolta nella sentenza sugli altri capi dell’appello.

7. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia il vizio di motivazione sulla eccessività delle sanzioni.

7.1 La censura, a prescindere dai profili di inammissibilità per carenza di autosufficienza, è infondata stante il contenuto,anche se limitato alla mera essenzialità, della motivazione dell’impugnata sentenza che richiama il disposto normativo sul punto.

8. In virtù di quanto fin qui esposto il ricorso deve pertanto essere rigettato. Le spese vengono liquidate come in dispositivo in applicazione del principio della soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di giudizio che liquida in Euro 6.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2011

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