Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21106 del 12/09/2017


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Cassazione civile, sez. un., 12/09/2017, (ud. 21/02/2017, dep.12/09/2017),  n. 21106

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. DIDONE Antonio – Presidente di sez. –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di sez. –

Dott. PETITTI Stefano – Presidente di sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24770-2014 proposto da:

M. Rag. V. S.R.L., VESULUS IDROELETTRICA S.R.L., in

persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA E.Q. VISCONTI 99, presso lo

studio degli avvocati ILARIA CONTE ed ERNESTO CONTE, che le

rappresentano e difendono;

– ricorrenti –

contro

REGIONE PIEMONTE, in persona del Presidente della Giunta Regionale

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO

BERTOLONI 44, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI DE VERGOTTINI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRA

RAVA;

– controricorrente –

e contro

PROVINCIA DI CUNEO, ENTE DI GESTIONE DELLE AREE PROTETTE DEL PO

CUNESE;

– intimati –

avverso la sentenza del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE,

depositata in data 17/06/2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/02/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

uditi gli Avvocati Ernesto Conte e Valeria Morra per delega

dell’avvocato Giovanni De Vergottini;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Basile Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 17/6/2014 il TSAP ha in sede di giurisdizione diretta respinto il ricorso proposto dalla società M. Rag. V. s.r.l. e dalla società Vesulus Idroelettrica s.r.l. in relazione alla Det. Dirig. 13 maggio 2013, n. 202 della Provincia di Cuneo, di decadenza dalla concessione di derivazione ad uso idroelettrico dal fiume Po, per la mancata realizzazione delle opere previste e per il mancato uso della risorsa idrica.

Avverso la suindicata pronunzia del TSAP le società M. Rag. V. s.r.l. e Vesulus Idroelettrica s.r.l. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la Regione Piemonte, che ha presentato anche memoria.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo le ricorrenti denunziano violazione del R.D. n. 1933 n. 1775, art. 55, art. 32 Reg. Regionale 10/R approvato con D.P.G.R. 29 luglio 2003, nonchè “dei principi fondamentali in materia di decadenza da concessioni amministrative”.

Si dolgono non essersi considerato che la decadenza de qua “non è automaticamente connessa al mancato rispetto dei termini” ma a un’autonoma valutazione in proposito della P.A., sicchè “non è consentito alla P.A. di dichiarare la decadenza da una concessione di derivazione di acqua se non dopo aver ponderato circa l’interesse pubblico alla attuazione della derivazione idrica e circa i motivi ostativi alla sua realizzazione, adeguatamente motivando al riguardo”.

Lamentano che mentre l’art. 32 del regolamento regionale 10/R dispone che la decadenza può essere dichiarata dall’autorità concedente, nella motivazione dell’impugnata sentenza “il TSAP si esprime con il tempo indicativo, affermando in forma perentoria che l’autorità concedente “dispone la decadenza””, a tale stregua alterando “il letterale tenore della norma regolamentare” ed erroneamente ritenendo che “il potere esercitato dalla Provincia di Cuneo nel dichiarare la decadenza non fosse di natura discrezionale, e che quindi… non avesse nè il dovere di valutare la situazione sotto il profilo del pubblico interesse, nè quello di motivare al riguardo”.

Con il 2^ motivo denunziano violazione degli artt. 13 Direttiva 2009/28/CE, art. 117 Cost., D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 12 e delle Linee guida approvate con decreto 10 settembre 2010 del Ministero dello Sviluppo economico per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.

Si dolgono che il TSAP non abbia considerato che in base alla disciplina dettata nelle suindicate Linee guida “possono essere realizzati esclusivamente impianti idroelettrici destinati alla autoproduzione”, a tale stregua ponendosi in “insanabile contrasto con il contenuto dell’art. 13 della direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, direttamente applicabile”, “anacronistica ed ingiustificata” appalesandosi “la discriminazione tra centraline idroelettriche destinate all’autoproduzione e quelle la cui produzione viene immessa sul mercato”, ai fini “della relativa localizzazione”.

Lamentano che, pervenendo a giustificare “l’anomala prescrizione delle menzionate norme tecniche di attuazione del Piano d’Area del Parco Fluviale del Po, affermando per la prima volta… che le norme tecniche in argomento dovevano essere interpretate come se affermassero che il sito non era idoneo ad accogliere impianti di produzione d’energia da fonti rinnovabili”, il TSAP ha violato sia la direttiva comunitaria, sia le disposizioni legislative e regolamentari richiamate in rubrica, le quali dettano precisi criteri per l’identificazione dei c.d. “siti non idonei””.

Si dolgono non essersi considerato che “con il D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 lo Stato italiano ha dato attuazione alla direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”, e che dalle disposizioni delle linee guida approvate con decreto 10 settembre 2010 del Ministero dello Sviluppo economico “emerge con evidenza che l’identificazione dei siti non idonei alla localizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili non è lasciata all’arbitrio dell’amministrazione, ma può essere effettuata dalle Regioni soltanto attraverso un’apposita istruttoria correlata all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio storico e artistico, alle tradizioni agro-alimentari locali e alla biodiversità”. Istruttoria della quale nella specie “il TSAP si è totalmente disinteressato”.

Chiedono che venga pertanto sottoposta in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia la questione se l’art. 13 Direttiva 2009/28/CE “debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una disposizione del parco fluviale del Po, secondo la quale, all’interno delle zone classificate “N2 ed N3″, è consentita unicamente la costruzione di centraline idroelettriche destinate all’autoproduzione”.

Con il 3^ (subordinato) motivo denunziano violazione del R.D. n. 1933 n. 1775, art. 55,L. n. 241 del 1990, artt. 21 quinquies, 21 octies e 21 nonies, art. 100 c.p.c., nonchè “del principio di legittimità dell’azione amministrativa”.

Si dolgono non essersi considerato che l’impugnato provvedimento di decadenza ha “valenza sanzionatoria”, diversamente dall’annullamento d’ufficio o dalla revoca dell’atto amministrativo, sicchè il “TSAP ha… violato le disposizioni legislative… allorquando ha negato l’interesse delle ricorrenti ad ottenere l’esatta applicazione delle disposizioni medesime, attese le diverse conseguenze giuridiche scaturenti per legge dalla applicazione di ciascuna di esse”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

E’ rimasto nel caso accertato che la concessione di derivazione ad uso idroelettrico dal fiume Po, rilasciata dalla Provincia di Cuneo in favore della società GSE in data 2/7/1996 (all’esito di pregresso contenzioso tra quest’ultima, la Regione Piemonte e il Comune di (OMISSIS)) è stata successivamente ceduta alla società M. Rag. V. s.r.l., cessionaria di ramo d’azienda della GSE s.n.c., con subentro riconosciuto dalla Provincia di Cuneo giusta Det. Dirig. n. 274 del 2004.

In pendenza del procedimento autorizzatorio delle opere inerenti l’impianto idroelettrico, la società M. Rag. V. s.r.l. ha ceduto a sua volta i diritti concessori alla società Vesulus Idroelettrica s.r.l.

Richiesto il subingresso della società Vesulus nel rapporto concessorio de quo all’esito di quest’ultima cessione, con provvedimento n. 200 del 14/5/2013 (confermativo del preavviso del 27/11/2012) la Provincia di Cuneo ne ha peraltro dichiarato l’improcedibilità, stante la declaratoria (con Det. Dirig. 13 maggio 2013, n. 202) di decadenza della società M. Rag. V. s.r.l. dalla concessione di derivazione ad uso idroelettrico in argomento, per mancata realizzazione delle opere previste e per mancato uso della risorsa idrica.

L’impugnazione di tale provvedimento di decadenza è stata dal TSAP rigettata con la sentenza oggetto del presente ricorso.

Il rigetto è stato motivato argomentando dal rilievo che, “seppur ad efficacia costitutiva, la declaratoria di decadenza dalla concessione non è espressione d’una potestà discrezionale”, e che in ogni caso “non v’era e non v’è ragione per non delibare subito i presupposti della decadenza de qua e per provvedervi di conseguenza”.

Orbene, atteso che in attuazione della L.R. Piemonte n. 61 del 2000 (recante “Disposizioni per la prima attuazione della legge legislativo 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque) è stato emanato il Regolamento regionale 29 luglio 2003, n. 10/R (recente “Disciplina dei procedimenti di concessione di derivazione di acqua pubblica”) che, nel classificare gli “usi delle acque pubbliche” ha disciplinato il procedimento di concessione (art. 3) (v. Cass., Sez. Un., 21/5/2015, n. 10452), va anzitutto osservato che, al di là della censurata affermazione secondo cui “la declaratoria di decadenza della concessione non è espressione d’una potestà discrezionale”, nell’impugnata sentenza il TSAP ha dato atto invero che il provvedimento di decadenza della concessione di derivazione de qua è stato nella specie in effetti adottato all’esito dell’accertamento della sussistenza dei relativi presupposti, e cioè in ragione della mancanza di elementi che potessero indurre “la Provincia ad assumere qualche misura soprassessoria”, in difetto di un'”iniziativa modificativa certa e seria”, all’uopo “non bastando le dichiarazioni d’intenti formulate dall’Ente gestore del Parco fluviale”.

Correttamente tale giudice, alla stregua di siffatto accertamento, ne ha quindi tratto il corollario dell’insussistenza “dell’interesse attoreo a dolersi dell’insufficienza o della mancata proroga d’un termine evidentemente di grazia, in sè comunque insufficiente a realizzare i risultato per il quale fu accordato”.

Atteso che allorquando le Sezioni Unite di questa Corte svolgono funzioni di giudice di legittimità rispetto ad un giudice speciale -ponendosi al vertice dello specifico sistema giurisdizionale-si applicano tutte le norme che regolano il giudizio innanzi ad esse ed i poteri della Corte (cfr., Cass., Sez. Un., 21/5/2015, n. 10452; Cass., Sez. Un., 7/5/2014, n. 9830, con riferimento alla applicabilità dell’art. 384 c.p.c., comma 2,. Cfr. altresì, Cass., Sez. Un., 24/3/2010, n. 6994), in ragione della funzione nomofilattica ad essa attribuita (v. Cass., Sez. Un., 2/2/2017, n. 2731), risultando alla stregua di quanto sopra rilevato ed esposto nella specie il dictum conforme a diritto si appalesa invero sufficiente farsi luogo alla correzione ex art. 384 c.p.c., u.c., della motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., 2/2/2017, n. 2731), con l’eliminazione della sopra riportata erronea affermazione (secondo cui “la declaratoria di decadenza della concessione non è espressione d’una potestà discrezionale”), invero contrastante con il principio affermato da queste Sezioni Unite in base al quale le ipotesi e le modalità di pronunzia della decadenza dalle concessioni di utilizzazione e derivazione di acque pubbliche sono determinate e regolate dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 55 (alla cui lettera f) si prevede la possibilità di farsi luogo al provvedimento di decadenza “per il decorso dei termini stabiliti nel decreto e nel disciplinare entro i quali il concessionario deve derivare e utilizzare l’acqua concessa”) nel senso che per la declaratoria di tale decadenza è necessario un provvedimento motivato, avente natura costitutiva, e, quindi, espresso, con la conseguenza che la decadenza non è automaticamente connessa dalla norma al mancato rispetto dei detti termini, bensì ad un’autonoma valutazione in proposito della P.A. (in tali termini v. Cass., Sez. Un., 12/1/2011, n. 504 (e, conformemente, Cass., Sez. Un., 10/2/2014, n. 2908), ove si precisa che la medesima norma attribuisce alla P.A. il potere, non limitato dall’avvenuta scadenza dei termini in questione, qualora non ritenga di dover dichiarare la decadenza, di prorogarli, evitando -in relazione alla persistenza dell’interesse pubblico sotteso- la perdita di efficacia del provvedimento concessorio).

Quanto al 2^ motivo va posto in rilievo come il TSAP abbia escluso che, “quantunque accordino la costruzione di centraline per la sola autoproduzione d’energia idroelettrica”, le Norme Tecniche d’Attuazione del Piano d’area per il Parco Fluviale del Po, nell'”attuale formulazione”, possano “dirsi in patente ed irriducibile contrasto con l’art. 13 della dir. n. 2009/28/CE sì da giustificarne la disapplicazione, in quanto la norma, colà contenuta nell’art. 2.4) va letta a guisa d’indicazione di sito non idoneo, in tutto o in parte (è questo il caso di specie), ad accogliere impianti di produzione d’energia da fonti rinnovabili”.

A fronte di tale statuizione le odierne ricorrenti lamentano che, avendo “per la prima volta” ritenuto doversi interpretare le norme tecniche di attuazione del Piano d’Area del Po “come se affermassero che il sito non era idoneo ad accogliere impianti di produzione d’energia da fonti rinnovabili”, il TSAP ha violato in particolare l’art. 13 della Direttiva 2009/28/CE del 23 aprile 2009 (sulla promozione dell’energia derivante da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle Direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE) (secondo cui “1. Gli Stati membri assicurano che le norme nazionali in materia di procedure di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze applicabili agli impianti e alle connesse infrastrutture della rete di trasmissione e distribuzione per la produzione di elettricità, di calore o di freddo a partire da fonti energetiche rinnovabili e al processo di trasformazione della biomassa in biocarburanti o altri prodotti energetici siano proporzionate e necessarie. Gli Stati membri assicurano che:… d) le norme in materia di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze siano oggettive, trasparenti, proporzionate, non contengano discriminazioni tra partecipanti e tengano pienamente conto delle specificità di ogni singola tecnologia per le energie rinnovabili”), in quanto le suindicate norme tecniche di attuazione (art. 2.4., comma 4) verrebbero a tale stregua a realizzare “un’ingiustificata discriminazione tra impianti della medesima fonte idroelettrica e della medesima dimensione; dimensione correlata irragionevolmente alla destinazione (autoconsumo o vendita) dell’energia prodotta”.

Chiedono pertanto di sottoporre con rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia il quesito se il suindicato art. 13 della Direttiva “debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una disposizione del parco fluviale del Po, secondo la quale, all’interno delle zone classificate “N2 ed N3″, è consentita unicamente la costruzione di centraline idroelettriche destinate all’autoproduzione”.

Orbene, atteso che come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare (in materia di concessioni per derivazioni idroelettriche, relativamente al D.Lgs. n. 387 del 2003 attuativo della Direttiva 2001/77/CE -poi sostituita dalla Direttiva 2009/28/CE – sull’incremento della produzione di energia derivante da fonti rinnovabili), porre limiti al rilascio – in una determinata zona – di nuove concessioni per derivare acqua a scopo idroelettrico non significa impedire la produzione di fonti rinnovabili (v., con riferimento ai limiti alle nuove concessioni previsti dall’art. 75 delle norme tecniche di attuazione del Piano di tutela delle acque della Regione Lombardia, Cass., Sez. Un., 2/2/2017, n. 2731), emerge evidente come alla stregua di tale formulazione del quesito non sia dato invero evincere, avuto riguardo alla riportata disciplina comunitaria in argomento, i termini della paventata discriminazione, e della denunziata irragionevolezza che la caratterizzerebbe.

Ne consegue che esso si prospetta come non rilevante ai fini della decisione del presente giudizio (cfr. Cass., Sez. Un., 2/4/2007, n. 8095. Cfr. altresì in tema di atto chiaro, Cass., 18/2/2000, n. 1804, e, da ultimo, Cass., 16/6/2017, n. 15041).

In ordine al 3^ (subordinato) motivo va infine osservato che, come anche dalle stesse odierne ricorrenti riconosciuto nei propri scritti difensivi, gli invocati rimedi dell’annullamento e della revoca dell’atto di concessione di derivazione de qua hanno presupposti altri e diversi rispetto a quelli propri del provvedimento nella specie ex art. 32 Regolamento regionale 29 luglio 2003, n. 10/R. adottato di decadenza per non uso del bene per un triennio consecutivo.

Presupposti legittimanti la relativa emissione la cui effettiva ricorrenza nel caso non risulta peraltro dalle medesime nemmeno allegata.

All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente Regione Piemonte, seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione nei confronti degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre spese a generali ed accessori come per legge, in favore della controricorrente Regione Piemonte.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2017

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