Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21103 del 19/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 19/10/2016, (ud. 13/09/2016, dep. 19/10/2016), n.21103

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. DE MARCHI ALBENGO P. G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1377-2013 proposto da:

N.A., (OMISSIS), NE.AL. (OMISSIS), quali

chiamati R.G.N. 1377/2013 all’eredità di N.B.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ASIAGO 8, presso lo studio

dell’avvocato ELEONORA MOSCATO, rappresentati e difesi dall’avvocato

PAOLO NATALI ELMI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E. Q. VISCONTI

99, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CIAURRO, rappresentata e

difesa dagli avvocati MARCELLO CAVALLO, CLAUDIO PINNELLINI giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

N.P., NE.PA., B.M. DECEDUTO E PER ESSO IL

CURATORE EREDITA’ GIACENTE AVV. T.T.;

– intimati –

Nonchè da:

N.P., NE.PA., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

ALFREDO FUSCO 59/A, presso lo studio dell’avvocato CAMILLO LORIEDO,

rappresentati e difesi dall’avvocato PIETRO NENCINI difensore di sè

medesimo giusta procura speciale a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

NE.AL. (OMISSIS), N.A. (OMISSIS),

B.M. DECEDUTO E PER ESSO IL CURATORE EREDITA’ GIACENTE AVV.

T.T., B.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1052/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 25/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/09/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato STEFANO SANTARELLI per delega;

udito l’Avvocato PIETRO NENCINI in proprio e per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e per l’inammissibilità in subordine rigetto del ricorso

incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.M. adiva il Tribunale di Siena con domanda di accertamento negativo del credito di Lire 80.000.000 vantato nei suoi confronti da N.B. e portato da assegno bancario; in pendenza del giudizio N.B. richiedeva ed otteneva – per il medesimo credito – decreto ingiuntivo munito di formula esecutiva.

P. e Ne.Pa. – subacquirenti di un immobile, originariamente di proprietà del B., e che erano stati convenuti, in un distinto giudizio, da N.B. con azione di simulazione degli acquisti dei loro danti causa e con azione revocatoria dell’acquisto dissimulato, ex art. 2901 c.c., domande entrambe accolte dal giudice di merito, con sentenza passata in giudicato -: a) intervenivano nella causa di accertamento negativo del credito introdotta dal B. -il quale aveva, successivamente, rinunciato agli atti del giudizio – chiedendone la prosecuzione, e b) proponevano inoltre, “anche in via surrogatoria ex art. 2900 c.c.”, opposizione al decreto ingiuntivo, risultando soccombenti in entrambe le cause per difetto di legittimazione attiva. La prima causa veniva, pertanto, definita con sentenza dichiarativa della estinzione del giudizio ex art. 306 c.p.c.; la seconda con sentenza dichiarativa della inammissibilità della opposizione proposta dai non legittimati.

Le sentenze di primo grado emesse dal Tribunale di Siena n. 33/2005 (opposizione a decreto ingiuntivo) e n. 294/2009 (accertamento negativo), venivano impugnate dalle parti avanti la Corte d’appello di Firenze che, previa riunione delle cause, con sentenza 25.7.2012 n. 1052, in totale riforma delle decisioni impugnate, riteneva P. e Ne.Pa. legittimati ad agire in entrambi i giudizi, avendo gli stessi fatto valere un’autonoma pretesa, direttamente nei confronti del creditore N.B., volta ad impedire la formazione del titolo esecutivo e la eventuale azione esecutiva sull’immobile da essi acquistato; dichiarava estinto, alla stregua delle prove orali e della c.t.u., il credito vantato da N.B. in virtù di compensazione dal medesimo attuata con la riscossione delle somme, spettanti al B., per canoni locativi di immobili di cui entrambi erano comproprietari, non essendo stata fornita prova della parziale diversa imputazione di tali somme a remunerazione di altro credito vantato dal N. per la occupazione di fatto di uno degli immobili da parte del B., nè di accordi verbali in tal senso stipulati tra il B. ed il N..

In conseguenza i Giudici di appello condannavano N.B. alle spese del doppio grado, nonchè – come richiesto da P. e Ne.Pa. – alla restituzione delle somme che questi ultimi avevano sborsato a titolo di spese liquidate in primo grado, oltre gli interessi al tasso legale decorrenti, ai sensi dell’art. 2033 c.c., dalle singole date dei pagamenti.

Avverso la sentenza di appello, notificata in data 2.11.2012, hanno proposto ricorso per cassazione Al. ed N.A., n.q. di eredi di N.B. deducendo nove motivi.

Hanno resistito con controricorso P. e Ne.Pa. proponendo contestuale ricorso incidentale affidato a due motivi.

Ha resistito anche B.E., evocata n.q. di chiamata alla eredità di B.M., deceduto in data (OMISSIS), che ha eccepito di avere rinunciato alla eredità con dichiarazione resa in data 26.1.2011 ai sensi dell’art. 519 c.c.

Questa Corte, rilevato che B.M. aveva assunto la posizione di litisconsorte necessario, quale debitore surrogato, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, proposto da P. e Ne.Pa., con ordinanza 28.10.2015 ha rinviato la causa a nuovo ruolo assegnando termine per la integrazione del contraddittorio nei confronti di eventuali chiamati all’eredità del B.. A tanto hanno provveduto Al. ed N.A. con atto ritualmente notificato il 26.2.2016 all’avv. T.T. in qualità di curatore dell’eredità giacente, nominato con decreto del Tribunale di Firenze in data 10.2.2016, che non ha spiegato difese.

La causa è quindi pervenuta alla discussione alla odierna udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

A- Ricorso principale proposto da A. ed Ne.Al. (n.q. di eredi di N.B.).

A1) motivi inerenti la causa iscritta al RG. 2309/2005/A della Corte appello di Firenze (relativa ad opposizione a decreto ingiuntivo).

p.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 645 c.p.c. per avere la Corte d’appello riconosciuto la legittimazione attiva degli opponenti al decreto ingiuntivo, sebbene soggetti distinti dal debitore ingiunto ( B.M.), unico legittimato ad essere parte in tale giudizio, come da costante orientamento giurisprudenziale del Giudice di legittimità.

Con il secondo motivo viene dedotto il vizio di violazione dell’art. 2900 c.c. avendo la Corte d’appello omesso di considerare che il debitore ingiunto B., non avendo proposto opposizione al decreto monitorio, aveva manifestato la volontà di prestare acquiescenza al provvedimento, difettando, pertanto, i presupposti per l’azione surrogatoria.

I motivi sono proposti in via alternativa e condizionata in quanto gli stessi ricorrenti dubitano sulla esatta “ratio decidendi” posta a sostegno dell’affermazione della legittimazione degli opponenti contenuta nella sentenza di appello.

La Corte d’appello, infatti, ha esaminato congiuntamente la posizione processuale assunta da P. e Ne.Pa. in entrambi i giudizi, rispettivamente, di accertamento negativo del credito (nel quale avevano spiegato intervento litisconsortile, qualificato “autonomo” dal Giudice di appello) e di opposizione a decreto ingiuntivo (introdotto in qualità di opponenti “in proprio” ed “anche ex art. 2900 c.c.”), ritenendo che gli stessi fossero titolari di un autonomo e distinto interesse all’accertamento della insussistenza del credito vantato da N.B., che era stato fatto valere in entrambi i giudizi, “per conseguire una pronuncia da valere tra loro stessi ed il preteso creditore N.B.”, dovendo in conseguenza ritenersi legittimati x i predetti anche alla proposizione dell’atto di opposizione ex art. 645 c.p.c., atteso che anche in tal caso era stato “introdotto autonomo giudizio con il quale fare accertare (analogamente a quanto richiesto nell’altro giudizio) l’inesistenza delle ragioni creditorie di N.B.” (cfr. sentenza appello, in motivazione, pag. 9).

1.1. Occorre premettere in fatto che, come emerge dalla sentenza impugnata (motiv. pag. 6), nelle more della causa revocatoria ex art. 2901 c.c. avanti il Tribunale di Siena (iscritta al RG n. 394 dell’anno 1991, definita in primo grado con sentenza in data 21.3.2002 n. 10, confermata in grado di appello con sentenza n. 1283/2005 e passata in giudicato a seguito della sentenza di questa Corte n. 4212 in data 13.1.2011), P. e Ne.Pa., con atto notificato al debitore ingiunto ed al creditore monitorio in data 21 e 22.10.2002, hanno proposto “opposizione” al decreto ingiuntivo – emesso nei confronti di B.M. ed avente ad oggetto il credito di Lire 80.000.000 vantato da N.B. -, sia “in proprio”, sia dichiarandosi “anche ai sensi dell’art. 2900 c.c. quali creditori in surrogatoria di B.M. per il potenziale regresso” chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo (sentenza appello, motiv. pag. 8).

In relazione alla questione della “legitimatio ad causam”, sia degli “opponenti” a decreto ingiuntivo che degli “interventori” nella causa di accertamento negativo del credito promossa dal B., il nucleo essenziale del percorso logico seguito dalla Corte territoriale per pervenire all’affermazione della legittimazione attiva, va ravvisato dunque nella individuazione dell’autonomo interesse, giuridicamente rilevante, di P. e Ne.Pa. a “sentir accertato il pagamento del credito vantato da quest’ultimo (ndr N.B.) verso il B., onde sottrarre il bene immobile all’esecuzione”.

Da tale premessa, volta a delimitare anche l’oggetto del giudizio tra P. e Ne.Pa., da un lato, e N.B., dall’altro, la Corte d’appello perviene a statuire sul merito del diritto controverso, dichiarando, nel dispositivo “la inesistenza e quindi la non opponibilità….ai fini della esecuzione che dovesse essere intrapresa sull’immobile da essi acquistato – e in relazione al quale è stata dichiarata in via definitiva la inefficacia della compravendita nei confronti di N.B. – del credito da questi vantato nei confronti del B. posto a fondamento del decreto ingiuntivo….”, e precisando in motivazione che, con tale pronuncia, veniva ad esaurirsi la tutela del diritto fatto valere nel giudizio dagli “opponenti/intervenienti”, rimanendo estranei all’oggetto di entrambi i giudizi, tanto l’eventuale accertamento di importi eccedenti il ridetto credito, percepiti indebitamente dal N. e dei quali il B. avrebbe avuto diritto alla restituzione, quanto la pronuncia sulla revoca del decreto ingiuntivo (cfr. sentenza in motivazione, pag. 11).

La Corte d’appello afferma quindi che: 1-) l'”atto di opposizione” proposto da P. e N.P. non deve qualificarsi come opposizione ex art. 645 c.p.c., quanto piuttosto come “autonomo atto introduttivo del giudizio” per accertare la insussistenza dello specifico titolo (credito portato dal decreto divenuto esecutivo) che Bruno N. avrebbe potuto azionare esecutivamente ex art. 602 c.p.c., in virtù del giudicato revocatorio ex art. 2901 c.c., sull’immobile di cui si erano resi acquirenti; 2-) che tale interesse giuridicamente rilevante veicola la introduzione di un giudizio nei confronti di N.B. avente ad oggetto l’accertamento di un rapporto “diverso” rispetto sembra doversi intendere – a quello attinente il rapporto debito – creditorio tra B.M. e N.B.; 3-) che la situazione giuridica della quale gli opponenti/intervenienti hanno chiesto la tutela non si estende all’accertamento di eventuali crediti restitutori vantati dal B. nei confronti del N., nè alla revoca del decreto ingiuntivo emesso nei confronti del B. e che, pertanto, deve ritenersi divenuto irrevocabile, per mancata opposizione da parte del debitore ingiunto.

1.2 Orbene rileva il Collegio che se la Corte d’appello, come è dato evincere dalla lettura della sentenza impugnata, ha riconosciuto la legittimazione attiva di P. e N.P., non in relazione ad un atto di “opposizione a decreto ingiuntivo” diretto ad impugnare il provvedimento monitorio ed a chiederne la nullità o la revoca (in tal senso deve, infatti, intendersi la esplicita mancata pronuncia della revoca del decreto nonostante l’accertamento della estinzione per compensazione del credito: la Corte territoriale in tal modo ha ritenuto di escludere tanto una legittimazione “propria”, quanto una legittimazione “surrogatoria”, di P. e N.P. a propone l’atto di opposizione ex art. 645 c.p.c.), ma in relazione alla proposizione di un autonomo giudizio di accertamento negativo (che gli interessati avrebbero cioè potuto introdurre anche con “atto di citazione” anzichè con formale “atto di opposizione”) avente ad oggetto il riconoscimento del diritto a non subire la espropriazione forzata dell’immobile, ex art. 602 c.p.c., in base al titolo esecutivo formatosi sul credito (in conseguenza della irrevocabilità del decreto ingiuntivo non opposto nel termine perentorio dal debitore ingiunto B.), ne segue che sia le censure formulate con il primo motivo di ricorso per cassazione -concernenti la individuazione delle parti legittimate a propone ed a resistere alla opposizione ex art. 645 c.p.c. – che le censure formulate con il secondo motivo di ricorso – concernenti i presupposti legali per la proposizione della opposizione ex art. 645 c.p.c. in luogo del debitore ingiunto surrogato ex art. 2900 c.c. -, debbono dichiararsi tutte inammissibili in quanto, essendo rivolte unicamente a denunciare violazioni del modello processuale del procedimento di opposizione al provvedimento monitorio e la dinamica “creditore monitorio-debitore ingiunto” interna a quel procedimento, non investono la “ratio decidendi” della sentenza impugnata che, prescindendo del tutto dall’indicato modello processuale, ha ritenuto invece di qualificare il giudizio introdotto da P. e N.P. come “autonomo giudizio ordinario di cognizione”, del tutto distinto dal giudizio di “opposizione al decreto ingiuntivo” non coltivato dal debitore ingiunto B..

p.2. Con il terzo motivo i ricorrenti principali censurano la sentenza di appello per vizio di nullità processuale, ex art. 112 c.p.c., avendo omesso i Giudici di merito di pronunciare sulla eccezione proposta dal creditore-opposto N.B., volta a dedurre ulteriori crediti vantati nei confronti del B. e che avrebbero dovuto essere considerati ai fini dell’esatta determinazione del dare ed avere.

2.1 Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

I ricorrenti affermano che la eccezione venne proposta dal N. nella comparsa di costituzione del giudizio in primo grado della causa di opposizione a decreto ingiuntivo, ma nulla deducono in ordine alla riproposizione ex art. 346 c.p.c. di tale eccezione da parte dell’opposto-appellato nella comparsa di costituzione in secondo grado, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) (cfr. Corte cass. Sez 2, Sentenza n. 26234 del 02/12/2005; id. Sez. L, Sentenza n. 14561 del 17/08/2012; id. Sez. 2, Sentenza n. 17049 del 20/08/2015). Ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell’art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito, dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca ma solo ad una verifica degli stessi (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 6361 del 19/03/2007; id. Sez. 2, Sentenza n. 21226 dei 14/10/2010; id. Sez. L, Sentenza n. 15367 del 04/07/2014).

p.3. La soccombenza dei ricorrenti principali, sui motivi di ricorso scrutinati, determina il passaggio in giudicato della statuizione della sentenza di appello impugnata che “dichiara la non esistenza e, quindi, la non opponibilità a P. e Ne.Pa., ai fini della esecuzione che dovesse essere intrapresa sull’immobile da essi acquistato ed in relazione al quale è stata dichiarata in via definitiva l’inefficacia della compravendita nei confronti di N.B., del credito da questo vantato nei confronti del B. in forza dell’assegno di Lire 80.000.000 posto a fondamento del decreto ingiuntivo oggetto della opposizione svolta nel giudizio iscritto nel presente grado al n. RG 2309/2005”, non venendo inficiata tale statuizione dalle altre censure mosse in relazione all’altra causa iscritta al RG. 2700/2009/A della Corte appello di Firenze (concernente la domanda di accertamento negativo proposta da B.M. nei confronti di N.B.), come di seguito, partitamente, esaminate.

A2) motivi inerenti la causa iscritta al RG. 2700/2009/A della Corte appello di Firenze (introdotta da B.M. nei confronti di N.B.).

p.4. Con il quarto motivo i ricorrenti principali deducono il vizio di violazione dell’art. 105 c.p.c. avendo erroneamente la Corte territoriale qualificato come autonomo anzichè come adesivo-dipendente l’intervento spiegato da P. e Ne.Pa. nel “giudizio di accertamento negativo del credito” promosso da B.M. nei confronti di N.B..

4.1 Il motivo è inammissibile per difetto di interesse in quanto, l’eventuale diversa qualificazione giuridica dell’intervento spiegato da P. e Ne.Pa. nel giudizio promosso dal debitore, come “intervento adesivo dipendente” anzichè come intervento litisconsortile, precluderebbe – attesa la rinuncia del B., parte adiuvata, agli atti di tale giudizio ex art. 306 c.p.c. – l’accesso all’esame nel merito della richiesta di tutela della situazione giuridica degli intervenienti formulata “in quel giudizio”, ma non impedirebbe comunque il passaggio in giudicato della statuizione della sentenza della Corte d’appello che tale analoga richiesta ha ritenuto correttamente veicolata dall’atto introduttivo dell’autonomo giudizio di accertamento negativo proposto da P. e Ne.Pa. nella forma della opposizione a decreto ingiuntivo, e sulla quale ha pronunciato nel merito dichiarando la inefficacia relativa del titolo esecutivo (decreto ingiuntivo non opposto) conseguito da N.B. in quanto non utilizzabile per la espropriazione dell’immobile oggetto dell’acquisto revocato.

p.5. Con il quinto motivo si denuncia la violazione dell’art. 2734 c.c.. Sostengono i ricorrenti che la Corte d’appello, fondando l’accertamento del controcredito opposto in compensazione dal B. esclusivamente sulla confessione resa da Bruno N. nell’interrogatorio formale deferitogli, avrebbe disatteso la regola secondo cui la efficacia probatoria delle affermazioni confessorie non può essere disgiunta dalle altre circostanze riferite dal confitente e volte ad infirmare il fatto confessato, o a modificarne od estinguerne gli effetti (nella specie il confitente infatti aveva riferito anche ulteriori circostanze di fatto a sè favorevoli).

5.1 Il motivo è infondato.

Diversamente da quanto ipotizzato dai ricorrente la Corte d’appello ha, infatti, fondato la decisione impugnata, non sulla dichiarazione confessoria, ma sugli estrinseci elementi di riscontro probatorio emergenti dalle risultanze istruttorie e vagliati, tanto in riferimento ai fatti confessati dal N. ed a sè sfavorevoli (percezione dei canoni locativi di spettanza del B.), quanto alle altre circostanze aggiunte, a sè favorevoli (parziale occupazione dell’immobile da parte del B. che avrebbe concordato con il N. di cedergli a corrispettivo i propri canoni locativi), pervenendo a ritenere raggiunta la prova del fatto ammesso, in quanto confermato da numerosi testimoni escussi, non risultando al contrario comprovata, in difetto di riscontri, la circostanza aggiunta relativa alla occupazione di fatto dell’immobile da parte del B. e dell’accordo verbale intervenuto tra loro in ordine ai canoni di locazione.

p.6. Con il sesto motivo si cura la sentenza per non aver considerato che la circostanza della parziale occupazione di fatto dell’immobile da parte del B. doveva ritenersi non contestata ai sensi dell’art. 167 c.p.c..

6.1 Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza atteso che l’affermazione secondo cui “le contropartì avrebbero assunto una condotta processuale incompatibile con la contestazione della occupazione dell’immobile da parte del B., fatto allegato nella comparsa di costituzione e risposta di N.B., non è supportata, in violazione dell’onere di autosufficienza del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, dalla trascrizione del contenuto degli atti difensivi degli intervenuti e dell’attore B.M. il quale, successivamente, ha rinunciato agli atti del giudizio, condotta processuale ex se neutra che non comporta alcun atto dispositivo del diritto di credito in contesa, nè tanto meno il riconoscimento del fatto della occupazione dell’immobile allegato dal creditore. Deve infatti ribadirsi il principio enunciato da questa Corte secondo cui, ove con il ricorso per cassazione si ascriva al Giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 15961 del 18/07/2007; id. Sez. 5, Ordinanza n. 17253 del 23/07/2009).

p.7. Con il settimo motivo si censura la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per non aver rilevato il Giudice di appello che il CTU aveva risposto anche al quesito subordinato, calcolando l’importo delle somme – in ipotesi – dovute dal B. al N. per la occupazione di fatto di parte dell’immobile in comproprietà.

7.1 Il motivo è inammissibile in quanto rivolto a contestare una mera proposizione avulsa dal contesto motivazionale: le affermazioni del Giudice di appello secondo cui la istruttoria non aveva dissipato le incertezze in ordine alla mancata conoscenza della “consistenza” dei locali occupati ed alla mancata “conoscenza” del corrispondente valore di mercato del canone, trovano coerenza se riferite – come debbono – al risultato complessivo dell’attività di valutazione probatoria compiuta dal Giudice, da cui era emersa l’assenza di prove dimostrative della occupazione dell’immobile da parte del B. e “di un qualsivoglia accordo tra le parti”, sicchè la risposta fornita dal CTU al “quesito subordinato” (formulato su richiesta della difesa del N.) circa il valore locativo della “ipotetica” occupazione parziale dell’immobile, è stata considerata dal Giudice di appello irrilevante ai fini dell’accertamento del residuo importo del credito risultante dalla compensazione, atteso che “questa seconda impostazione peritale non può essere accolta e condivisa in quanto non si dispone di prova che la sostenga” (cfr. sentenza appello, motiv., pag. 11).

p.8. Con l’ottavo motivo si critica la sentenza per avere aderito pedissequamente alle conclusioni peritali, senza tenere conto delle critiche mosse alla c t u in violazione dell’art. 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

8.1 Il motivo è inammissibile sotto plurimi profili.

I ricorrenti ritengono che il Giudice di appello avrebbe commesso un errore processuale assumendo per corretto il calcolo, effettuato dal CTU – nella relazione depositata in primo grado -, degli importi dei reciproci crediti del B. e del N. per i quali è stata operata la compensazione, senza tener conto delle osservazioni critiche formulate con “memoria del 28 gennaio 2008” depositata in primo grado che evidenziava errori di conteggio dell’ausiliario. Orbene va ribadito al riguardo che nel giudizio d’appello rimangono estranee al dibattito processuale le considerazioni critiche, mosse dalla parte al consulente tecnico d’ufficio sulla base delle osservazioni del proprio consulente, che non siano state trasfuse in specifici motivi di impugnazione della sentenza, formulati nel rispetto delle prescrizioni stabilite dall’art. 342 c.p.c., dovendosi le argomentazioni critiche dell’appellante contrapporre non alla relazione di perizia espletata in primo grado, ma al fondamento logico-giuridico su cui è fondata la decisione impugnata (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 3302 del 12/02/2013). Nella specie la consulenza tecnica, svolta nel corso del giudizio di primo grado, non ha spiegato alcuna rilevanza perchè il giudizio è stato dichiarato estinto dal primo giudice per rinuncia agli atti ex art. 306 c.p.c.. Orbene se, avuto riguardo alla definizione in rito della causa di primo grado, alcun onere gravava sul N., destinatario dell’appello incidentale proposto da P. e Ne.Pa., di “riproporre” la questione, ex art. 346 c.p.c., non integrando le osservazioni critiche alla c.t.u., al pari delle altre allegazioni ed argomenti difensivi della parte, una “eccezione in senso proprio”, occorre tuttavia evidenziare che, nell’ambito del “devolutum” che caratterizza i limiti alla cognizione del Giudice di appello, non rientrano in modo automatico tutti gli argomenti critici (siano essi strettamente giuridici ovvero di natura tecnica) esposti dalle parti nel giudizio di primo grado, laddove questi non vengano esplicitamente nuovamente sottoposti al Giudice del gravame, anche mediante richiamo alla memoria difensiva nella quale sono stati svolti (e che dovrà risultare allegata in copia al fascicolo di ufficio, o in originale al fascicolo di parte, rispettivamente acquisiti o prodotti in grado di appello), atteso che spetta alla parte, nell’esercizio del proprio potere dispositivo, inteso in senso lato, decidere se insistere o meno nella proposizione delle tesi giuridiche o dei rilievi critici formulati in memorie difensiva depositate nel grado precedente. La memoria difensiva di parte – ove contenga rilievi critici alla c.t.u. – non forma elemento integrante la relazione depositata dall’ausiliario (nella disciplina processuale, applicabile ratione temporis, anteriore alla riforma dell’art. 195 c.p.c. disposta dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 5), con la conseguenza che il Giudice del gravame, ove la parte interessata non abbia esplicitato negli atti difensivi del grado d’appello il rinnovo delle critiche alla c.t.u. formulate nel corso del primo grado, non è tenuto ad esaminarle ex officio, potendo limitarsi ad aderire alle risultanze peritali ove le ritenga logiche e convincenti.

8.2 Nella specie i ricorrenti hanno allegato che era stata depositata la memoria di parte in primo grado, ma hanno del tutto omesso di specificare nel motivo di ricorso se ed in quale atto del giudizio di appello, siano state richiamate esplicitamente le critiche svolte alla c.t.u. espletata in primo grado, chiedendone l’esame al Giudice di appello.

8.3 Inoltre il motivo appare anche generico ed impreciso: i ricorrenti assumono che “un teste” (peraltro non identificato) avrebbe riferito di aver corrisposto i canoni al N. dal 1990 e non dal 1986, ma omettono del tutto di evidenziare, non trascrivendo il contenuto della c.t.u., se ed in che modo tale circostanza si sia risolta in un errore dell’ausiliario; assumono ancora che dal 7.10.1994 il N. avrebbe acquisito la proprietà esclusiva sull’immobile (sicchè da tale data non potevano conteggiarsi in compensazioni canoni non più spettanti pro quota al B.): ma se, da un lato, gli stessi ricorrenti inducono incertezze nella individuazione della data di cessazione della comproprietà dell’immobile (dalla memoria, parzialmente trascritta, risulterebbe infatti un’altra data: “dai conteggi sopra effettuati emerge con chiarezza che, al 31.12.1994 data di scioglimento della comunione….”: motivo pag. 20), dall’altro non evidenziano affatto l’errore sul punto commesso dall’ausiliario o dalla Corte d’appello, laddove convengono nel ritenere che la Corte territoriale avrebbe correttamente recepito quale dies ad quem della stima, la data di scioglimento della comunione avvenuta il 7.10.1994 (cfr. motivo pag. 21), ed inoltre omettono del tutto di individuare i criteri di calcolo adottati dal CTU, asseritamente errati, e di indicare i diversi criteri che, invece, dovrebbero ritenersi corretti, non trascrivendo il contenuto dell’elaborato peritale e limitandosi, soltanto, a riportare il totale degli importi, indicati nella memoria di parte, relativi ai reciproci crediti opposti in compensazione, non consentendo in tal modo alla Corte di effettuare alcun riscontro indispensabile ai fini della verifica dell’asserito errore di calcolo.

p.9. Con il nono motivo la sentenza di appello viene censurata per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1 (nel testo applicabile ratione temporis introdotto dal D.L. n. 83 del 2012 conv. in L. n. 134 del 2012) per non aver considerato il Giudice di merito che erano state discusse tra le parti le questioni concernenti il pagamento dei canoni dovuti dal B. per la occupazione di fatto, la data di cessazione della comproprietà al momento dello scioglimento della comunione e gli errori di calcolo della c.t.u. svolta in primo grado.

9.1 Il motivo è palesemente inammissibile.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, nella nuova formulazione introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”), che ha sostituito il n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate successivamente alla data dell’11 settembre 2012), è venuto a delimitare l’errore di fatto all’ “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

9.2 Il controllo del vizio di legittimità (lino ad allora esteso anche al processo logico argomentativo fondato sulla valutazione dei fatti allegati assunti come determinanti in esito al giudizio di selezione e prevalenza probatoria, potendo essere censurata la motivazione della sentenza, oltre che per “omessa” considerazione di un fatto controverso e decisivo dimostrato in giudizio, anche per “insufficienza” e per “contraddittorietà” della argomentazione) rimane, pertanto, circoscritto alla verifica del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – secondo cui tale requisito minimo non risulta soddisfatto esclusivamente qualora ricorrano quelle stesse ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si risolvono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità. Al di fuori delle ipotesi indicate (attinenti alla “esistenza” del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale) residua ormai soltanto l’omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (cfr. Corte cass. SS.UU. in data 7.4.2014 n. 8053; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).

9.3 La censura ripropone, sotto il diverso profilo del vizio motivazionale, le stesse argomentazioni svolte nel precedente motivo, che si esauriscono nella mera indicazione di un differente risultato di conteggio, volto ad evidenziare un ammontare complessivo del credito vantato dal N. maggiore di quello accertato in sentenza, omettendo del tutto di indicare il “fatto decisivo” dimostrato in giudizio (e non la questione venuta in discussione tra le parti) che la Corte di appello avrebbe del tutto pretermesso nella valutazione delle risultanze istruttorie, e riproponendo le medesime questioni (occupazione di fatto dell’immobile da pane del B.; cessazione della comunione; omesso esame delle osservazioni critiche alla c.t.u.) già dedotte nei precedenti motivi di ricorso.

p.10. Il ricorso principale deve, pertanto essere rigettato.

B-) ricorso incidentale proposto da P. e Ne.Pa..

p. 11. Con il primo motivo viene dedotto il vizio di omessa pronuncia sulla domanda proposta alla udienza di precisazione delle conclusioni (verbale udienza 2.2.2012), avente ad oggetto la restituzione delle somme – per complessivi Euro 9.644,52 – versate dai soccombenti a N.B. a titolo di spese di lite liquidate in primo grado nella causa n. 2700/2009, sebbene il versamento risultasse da prova documentale.

11.1 Il motivo è inammissibile, per inosservanza del requisito di autosufficienza. La Corte d’appello ha deciso, sul punto, riferendosi alle spese di lite del giudizio liquidate in primo grado, senza ulteriore specificazione: la parte ricorrente era pertanto onerata 1-della trascrizione del verbale di udienza, così da individuare esattamente la domanda formulata, con riferimento al titolo ed all’importo, sul quale la Corte d’appello era stata chiamata a pronunciare; 2-dal fornire la specifica indicazione del documento probatorio, attestante la somma pagata, asseritamente prodotto in secondo grado ed erroneamente obliterato dalla Corte d’appello.

p.12. Con il secondo motivo i ricorrenti incidentali si dolgono della omessa pronuncia sulla domanda di condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., comma 1, proposta nei confronti di N.B. a verbale di udienza di precisazione delle conclusioni in data 2.2.2012.

12.1 La Corte d’appello non ha esaminato la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c., incorrendo, pertanto, nel vizio denunciato.

12.2 Il rilevato vizio di omessa pronuncia, tuttavia, non determina per ciò stesso la cassazione della sentenza impugnata e la conseguente rimessione della causa al giudice di rinvio affinchè pronunci sulla questione pretermessa, allorquando la Corte, non occorrendo procedere a verifiche in fatto – essendo stata dedotta con il motivo di gravame una questione di mero diritto -, è posta in condizione di esaminare direttamente la questione pretermessa e di pronunciare su di essa nel merito, trovando fondamento tale conclusione nell’esercizio dei poteri conferiti alla Corte in funzione nomofilattica secondo una interpretazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2 costituzionalmente orientata ai principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost. (cfr. Corte cass. 2 sez. 1.2.2010 n. 2313; id. 1 sez. 22.11.2010 n. 23581; id. sez. lav., 3.3.2011 n. 5139; id. Sez. 3, Sentenza n. 15112 de/ 17/06/2013; id. Sez. 1, Sentenza n. 28663 del 27/12/2013; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21257 de! 08/10/2014; id. Sez. L, Sentenza n. 23989 del 11/11/2014 che estende l’intervento correttivo ex art. 384 c.p.c., u.c. finanche al vizio di nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente).

12.3 Orbene la domanda di condanna per responsabilità processuale aggravata è manifestamente infondata, in quanto in disparte l’accertamento dell’elemento soggettivo della condotta, i ricorrenti incidentali hanno del tutto omesso di indicare gli elementi circostanziali in fatto indispensabili per poter procedere in concreto alla liquidazione del danno con criterio equitativo, limitandosi soltanto a richiamare i precedenti di questa Corte che riconoscono la legittimità della applicazione del criterio equitativo di liquidazione. In difetto di prova del danno la domanda va, pertanto, rigettata (cfr. Corte cass. Sez. U, Ordinanza n. 7583 del 20/04/2004; id. Sez. U, Ordinanza n. 1140 del 19/01/2007; id. Sa. 3, Sentenza n. 21798 del 27/10/2015).

p.13. Anche il ricorso incidentale deve, in conseguenza, essere rigettato.

p. 14. In conclusione entrambi i ricorsi principale ed incidentale debbono essere rigettati. Alla reciproca soccombenza segue la integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità, tra A. ed Ne.Al., da un lato, ed A. ed Ne.Al., dall’altro. Avuto riguardo alla complessità della materia trattata, debbono dichiararsi compensate anche le spese tra i ricorrenti principali e B.E., nulla dovendo disporsi invece quanto alla curatela della eredità giacente di B.M. che non ha svolto difese nel presente giudizio.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che dispone l’obbligo del versamento per il ricorrente principale e per il ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nel caso in cui la loro impugnazione sia stata integralmente rigettata, essendo iniziato il procedimento in data successiva al 30 gennaio 2013 (cfr. Corte Cass. SU 18.2.2014 n. 3774).

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale;

– dichiara interamente compensate le spese del giudizio di legittimità tra A. ed Ne.Al., da un lato, ed A. ed N.A., dall’altro, nonchè tra i ricorrenti principali ed B.E.;

– dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e dei ricorrenti incidentali, della somma prevista dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2016

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