Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21101 del 19/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 19/10/2016, (ud. 13/09/2016, dep. 19/10/2016), n.21101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. DE MARCHI ALBENGO P. G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12904-2014 proposto da:

G.R., M.F.A., MO.FR.,

M.M., domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

MASSIMILIANO GASPARI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

FBS SPA, nella sua qualità di procuratore speciale di UNIPOL BANCA

SPA nelle persona degli avvocati B.D. e MO.CR.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E. CESI 44, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO PILATO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CLAUDIA DOMENICHINI giusta procura speciale

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4187/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/09/2016 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito l’Avvocato MASSIMILIANO GASPARI;

udito l’Avvocato LUCA DI GREGORIO per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La UGF Banca s.p.a. propose azione ex art. 2901 c.c. per sentir dichiarare l’inefficacia di due atti di compravendita con cui (nel mese di (OMISSIS)) i fratelli F.A. e M.M. avevano trasferito un immobile ciascuno alla rispettiva moglie; dedusse che i M. erano fideiussori della Melco s.r.l., di cui erano soci, e che le cessioni erano state effettuate nella consapevolezza dell’esistenza di una rilevante esposizione debitoria della società garantita ed in pregiudizio della possibilità della banca di soddisfare il proprio credito.

A tal fine, convenne in giudizio i predetti M. e G.R. (moglie di F.A.) e Mu.Fr. (moglie di M.), che si costituirono resistendo alla domanda.

Nel giudizio propose intervento volontario la Società Gestione Crediti B.P., aderendo alle richieste dell’attrice.

Il Tribunale di Lodi rigettò le domande e condannò, la società attrice – in solido con l’intervenuta – al pagamento delle spese di lite.

Pronunciando sul gravame proposto dalla Unipol Banca (già UGF Banca), la Corte di Appello di Milano ha riformato integralmente la sentenza, dichiarando l’inefficacia degli atti di compravendita nei confronti dell’appellante. Ricorrono per cassazione i M., la G. e la Mu., affidandosi a cinque motivi; resiste la Unipol Banca tramite la sua procuratrice speciale FBS s.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo (“violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 331 e 332 c.p.c. e/o all’art. 335 c.p.c.”), i ricorrenti rilevano che avverso la sentenza di primo grado erano stati proposti due distinti atti di appello (l’uno da parte dell’intervenuto Banco Popolare e l’altro da parte della Unipol Banca) e si dolgono che la Corte di Appello abbia provveduto sul gravame della Unipol Banca senza procedere alla preventiva riunione dei due procedimenti; evidenziano il rischio che si determini un contrasto di giudicati e concludono per la cassazione della sentenza con rinvio al giudice di appello perchè provveda a “ordinare l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c.” o – nel caso in cui la causa sia ritenuta di natura scindibile – a “ordinare la notificazione dell’impugnazione” ai sensi dell’art. 332 c.p.c. o – in ogni caso – perchè disponga la riunione delle due cause, in applicazione dell’art. 335 c.p.c..

1.1. Premesso che non si pone alcuna esigenza di integrazione del contraddittorio (giacchè – per quanto emerge dallo stesso ricorso – la sentenza è stata impugnata da entrambe le società soccombenti e nei confronti di tutte le controparti), deve escludersi che la mancata riunione dei due procedimenti abbia spiegato un qualche effetto invalidante, alla luce del principio secondo cui “qualora più cause scindibili siano state definite in primo grado con unica sentenza ed i rispettivi soccombenti abbiano proposto separatamente appello, il fatto che il giudice di secondo grado pronunci soltanto su uno dei gravami, senza osservare l’obbligo di riunione di cui all’art. 335 c.p.c., non spiega effetti invalidanti sulla relativa decisione, in difetto di specifica comminatoria” (Cass. n. 6292/1990; conforme Cass. n. 273/2001; cfr. anche Cass. n. 19693/2008).

2. Col secondo e col terzo motivo (che prospettano – rispettivamente – la violazione dell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 1 e la violazione dell’art. 2729 c.c., comma 2), i ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto accertato il requisito della scientia damni in capo ai venditori: evidenziano che gli elementi valorizzati dalla Corte sono del tutto insufficienti a comprovare la consapevolezza che gli atti di disposizione patrimoniale recassero pregiudizio ai creditori (tenuto conto anche del fatto che il “padre-padrone” della società era il padre dei due M. e che la società “si trovava in buone condizioni, quanto meno dal punto di vista commerciale”) e – inoltre – che è priva di qualunque rilevanza presuntiva la circostanza che gli atti siano stati stipulati durante il periodo delle festività di fine anno e a rogito del medesimo notaio.

Il quarto motivo – che prospetta la violazione dell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 2 e dell’art. 2709 c.c. (rectius: art. 2729 c.c.) – censura la Corte per aver ritenuto provata la consapevolezza del pregiudizio anche nelle acquirenti, e ciò perchè, “in assenza della benchè minima prova della conoscenza diretta delle ragioni che avrebbero motivato i rogiti, ha dato rilevanza decisiva a presunzioni che non rivestivano le qualità imposte” dalla norma dell’art. 2729 c.c..

L’ultimo motivo (il quinto, benchè indicato col n. 4) deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed insiste sul tema della buona fede delle terze acquirenti, evidenziando che la Corte aveva – per un verso – attribuito rilevanza a circostanze prive di univoco significato e – per altro verso – aveva trascurato significativi elementi di segno contrario.

2.1. I motivi – da esaminare congiuntamente-vanno disattesi in quanto, anche laddove prospettano violazioni in iure, si risolvono nella contestazione dell’apprezzamento degli elementi sulla base dei quali la Corte ha ritenuto provata la scientia damni sia nei venditori che nelle acquirenti, apprezzamento che è riservato al giudice di merito e che non risulta censurabile in sede di legittimità ove sia – come nel caso – adeguatamente e congruamente motivato (cfr. Cass. n. 6181/2009).

Va considerato, in particolare, quanto alla dedotta violazione dell’art. 2729 c.c., che “non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità” (Cass., S.U. n. 9961/1996) e che la Corte ha mostrato di avere valutato i vari elementi alla luce del complessivo contesto (come previsto da Cass. n. 6181/2009), dando preminente rilievo alla qualità di soci della società garantita rivestita dai venditori e al rapporto di coniugio esistente fra ciascun venditore e la rispettiva acquirente, al fine di desumerne la plausibile conclusione della sussistenza della scientia damni.

3. Le spese di lite seguono la soccombenza.

4. Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 7.800,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso delle spese forfettarie e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2016

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