Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21101 del 13/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/10/2011, (ud. 07/06/2011, dep. 13/10/2011), n.21101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27929/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

BURA DI BURA LUIGI & C. SNC;

– intimato –

sul ricorso 32217/2006 proposto da:

BURA SNC in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA, 63,

presso lo studio dell’avvocato MARIO CONTALDI, rappresentato e difeso

dall’avvocato INGRASSIA MARIA CLOTILDE, delega in atti;

– controricorrente a ricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3 9/2005 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 16/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito per il resistente l’Avvocato INGRASSIA, che ha chiesto il

rigetto del ricorso principale, accoglimento ricorso incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 18 dicembre 2003 la CTP di Torino, in parziale accoglimento del ricorso avanzato dalla soc. BURA il 23 maggio 2002 avverso l’avviso d’accertamento notificato il 28 marzo 2002 e relativo a IVA e IRAP per l’anno d’imposta 1998, ha ridotto a 182.987,19 Euro il maggior utile di esercizio accertato in danno della ricorrente e a 36.578,85 Euro l’IVA non dichiarata e non versata.

Hanno proposto appello principale la società e impugnazione incidentale l’ufficio; la CTR – Piemonte, con pronunzia del 16 settembre 2005 e in parziale accoglimento del gravame della contribuente, ha rideterminato nel 17,98% per l’anno 1998 “il ricarico medio ponderato complessivamente determinato relativo agli articoli considerati dall’Ufficio”.

Ha motivato la decisione ritenendo, in primo luogo circa la legittimità dell’operato dell’amministrazione, che sussistevano una serie di circostanze, costituenti presunzioni gravi, precise e concordanti, tali da giustificare il ricorso all’accertamento induttivo. In particolare, a fronte della rilevazione di un conto cassa di L. 389.641.975 e di un c/c bancario con saldo passivo di L. 117.360.487, la contribuente aveva addotto che tale anomalia contabile era derivata dall’omissione, da parte di chi materialmente redigeva la contabilità, delle registrazioni di “scarico della cassa” dal 31/8 al 2/11/1998.

Di contro, la CTR ha constatato che: a) il conto cassa presentava al 31/12/1998 un saldo attivo di L. 389.641.975 dopo due operazioni per prelievo utili (L. 14.505.124) e rimborso prestito soci (L. 38.500.000); b) l’e/c del c/c allegato agli atti era relativo al solo mese di dicembre (dal 28 al 31/12/1998); c) nell’inventario del conto economico risultava, tra gli oneri finanziari, l’iscrizione di interessi passivi di c/c bancari per L. 2.283.117. Ne è conseguita, secondo il giudice d’appello, l’impossibilità di verificare se si trattava di “omissione” o di “voluti mancati versamenti”.

Ha, invece, ritenuto fondati i rilievi della contribuente circa la rideterminazione della percentuale di ricarico. Il ricalcolo della società appellante si è basato sulle fatture dei prodotti acquistati e venduti nell’anno e – correggendo i dati per frigoriferi, televisori, videoregistratori e lasciando invariati i ricarichi applicati dall’Ufficio per cucine, lavastoviglie, lavabi e lavatrici – ha determinato un ricarico medio ponderato del 17,46%, a fronte del 42,85% stimato dall’Ufficio sulla scorta di tutte le fatture di acquisto regolarmente registrate. Indi, la CTR ha ritenuto condivisibile l’elaborazione della contribuente in quanto: a) dal calcolo secondo i dati, iscritti in bilancio, relativi alle rimanenze iniziali, agli acquisti, alle rimanenze finali, alle vendite, si ricavava un ricarico medio ponderato più vicino a quello determinato dalla società; b) dal listino si rilevava che il ricarico era diverso a seconda delle tre categorie (ri-ven. 5%; banche; vendita);

c) l’Ufficio non aveva contestato i dati presi per il ricalcolo della società. Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’Agenzia delle entrate; la società contribuente resiste con controricorso e ricorso incidentale, affidato a unico motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, l’Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione (a) del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, art. 52 e seg., art. 36, art. 112 c.p.c., (b) degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., (c) del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, nonchè (d) vizio di motivazione (omessa o insufficiente), in ordine alla esistenza di acquisti e vendite “in nero” e alla relativa prova per presunzioni. L’Agenzia afferma: “E’ vero che la CTR (…) ricorda che l’Ufficio presumeva acquisti e vendite in nero e alla fine del paragrafo parla di legittimo uso dello strumento dell’accertamento induttivo; ma (…) non afferma che (…) bene l’Ufficio abbia fatto a ritenere l’esistenza di acquisti e vendite in nero (…). In realtà il giudice di primo grado (…) aveva affermato esservi ragioni di inattendibilità delle contabilità di controparte legittimanti l’uso dell’accertamento induttivo (…) ;

controparte impugnò il dictum, negando che vi fossero siffatte condizioni; la CTR sembra proprio far riferimento al saldo del conto cassa e al saldo del conto banca (ed alla vicenda del mutuo) solo per riaffermare (…) l’esistenza delle condizioni di uso dell’accertamento induttivo (…)”.

1.2. – Con il secondo motivo, l’Agenzia denuncia (a) violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., art. 112 c.p.c. e (b) dei principi generali in materia di prove e di efficacia dimostrativa di atti delle P.A., nonchè (b) vizio di motivazione (omessa o insufficiente), in ordine alle percentuali di ricarico rideterminate: dal giudice d’appello.

L’Ufficio assume che la percentuale era stata determinata nel p.v.c. sulla scorta dei tipi di merce maggiormente commercializzati dalla contribuente ed era stata applicata al solo costo del venduto, tenendo conto del listino e dello sconto d’uso dichiarati dalla controparte. Lamenta che la CTR, invece, non avrebbe considerato ciò, avendo dato credito alla percentuale indicata dalla società in sede di ricorso, il tutto in base ad argomentazioni incongrue.

1.3. – Con l’unico motivo di ricorso incidentale, la contribuente denuncia (a) violazione e falsa applicazione degli artt. 2691, 2727 e 2729 c.c., nonchè (b) vizio di motivazione (omessa o insufficiente).

La controricorrente afferma che non sarebbero conferenti gli elementi posti a fondamento della decisione sul legittimo ingresso all’azione accertativa dell’Ufficio: (i) circa stipulazione del mutuo, sostiene che non vi sarebbe alcuna connessione con la denunciata eccedenza di cassa; (ii) circa la passività bancaria di oltre 100 milioni di lire, afferma ne sarebbe stata appurata l’inesistenza; (iii) circa la disponibilità di cassa, rileva che tale disponibilità non vi era in quanto vi erano stati “errori presumibilmente di redazione della contabilità nel periodo 31/8 – 2/11/1998”.

2.1. – Le doglianze dell’Agenzia paiono indirizzate, più che a censurare veri e propri errori di diritto commessi dai giudici d’appello, a denunciare in sostanza evidenti sconnessioni logiche nella struttura dimostrativa della decisione di seconde cure. In tali termini e nei limiti di seguito esposti, il ricorso principale va accolto con assorbimento di quello incidentale.

2.2. – Va premesso che, in sede di p.v.c. e nel dibattito processuale, è emerso che il conto cassa della contribuente presentava un anomalo e rilevante saldo positivo, tanto più che la società era pesantemente esposta verso il ceto bancario per cospicuo saldo negativo di conto corrente e oneri di rimborso di un mutuo contemporaneamente acceso (quest’ultimo costituente dato sì di sfondo ma indirettamente rivelatore di capacità contributiva della parte mutuataria, contrariamente all’assunto della controricorrente).

Nella fattispecie, a fronte della rilevazione di un saldo di cassa largamente attivo (L. 389.641.975) e di un saldo bancario, invece, fortemente passivo (L. 117.360.487), la contribuente aveva addotto – e tuttora adduce – che tale anomalia contabile sarebbe derivata dall’omissione, da parte di chi materialmente redigeva la contabilità, delle registrazioni di “scarico della cassa” dal 31/8 al 2/11/1998.

Di contro, la CTR ha constatato l’impossibilità di verificare se si trattava di “omissione” o di “voluti mancati versamenti” e ha fornito una serie di elementi di dubbio sopra riassunti in narrativa.

Ne deriva che, per espressa ammissione della stessa controricorrente, vi fossero gravi inesattezze nella tenuta della contabilità protrattesi per parecchi mesi, delle quali non è mai stata fornita una chiara spiegazione. Il che di per sè è sufficiente a legittimare l’azione accertatrice con metodo induttivo da parte dell’amministrazione secondo i parametri legali indicati dalla giurisprudenza di legittimità (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39; cfr. ex plurimis Cass. n. 1938 del 29/01/2008).

2.3.-Inoltre, ne deriva, secondo criteri logici e di normalità, che verosimilmente la contribuente facesse figurare in cassa somme utilizzate per l’acquisto di merce in nero. Tale inferenza, negata dalla CTP, è trascurata dalla CTR, che incorre nel dedotto vizio di o-messa o insufficiente motivazione, sussistente in quanto nel ragionamento complessivo dei giudici d’appello, quale risulta dalla sentenza, è riscontrabile il mancato o deficiente esame di uno dei punti decisivi della controversia, quello sull’acquisto di merce in nero, il che rileva anche sugli ulteriori profili in contestazione.

3.1.-L’Ufficio, infatti, esattamente rileva che la CTR ha dato credito alla percentuale di ricarico indicata dalla società in sede di ricorso in base ad argomentazioni nelle quali sono ravvisabili evidenti sconnessioni logiche.

Nella sentenza d’appello, non solo, si afferma e non si dimostra che in un preteso listino vi erano prezzi di vendita distinti per categorie (secondo punto della motivazione), ma la CTR pare non avvedersi neanche del fatto che il costo medio di acquisto sia stato determinato dalla contribuente tenendo conto delle sole fatture della merce acquistata e venduta nell’anno 1998 (2 della motivazione), invece di tutte le fatture. il tutto la CTR fa senza peraltro accertare che la stessa contribuente potesse realmente identificare le fatture per la merce effettivamente venduta nel 1998. In proposito, i giudici d’appello hanno omesso qualsiasi verifica concreta per escludere che la società abbia estrapolato le sole fatture che le consentissero di determinare un prezzo medio di acquisto più elevato di quello accertato dai verificatori.

3.2.-La CTR, inoltre, non da conto del perchè, per stimare il valore del ricarico medio ponderato, abbia acriticamente preso per buoni gli unilaterali dati, i-scritti in bilancio, relativi alle rimanenze iniziali, agli acquisti e alle rimanenze finali (primo punto della motivazione). Si può, infatti, solo ipotizzare che il prezzo medio di vendita sia stato calcolato, dalla contribuente e riconosciuto dalla CTR, in pratica dividendo i ricavi risultanti dal bilancio per ciascun tipo di bene per il numero di beni venduti.

La CTR pare essersi così appiattita sui prezzi risultanti dal bilancio, che potrebbero anche essere non veritieri, senza considerare i prezzi eventualmente dichiarati dalla contribuente ai verificatori. Peraltro, essendo improbabile che in bilancio s’inseriscano indicatori di evasione, risulta logicamente incongruo, ai fini del decidere, il fatto che i dati di bilancio siano sovrapponibili ai calcoli offerti dalla società.

4.1.-Infine, costituisce evidente travisamento affermare, come fanno i giudici d’appello (terzo punto della motivazione), che l’Ufficio non ha contestato l’esattezza dei dati presi a base del calcolo della società, poichè l’Ufficio ha chiesto in appello, che venisse riconosciuta la validità delle determinazione del ricavo medio ponderato complessivo nella ricostruzione dei ricavi, così come è specificato nella stessa sentenza d’appello (pag. 2).

5.1.-Quanto all’unico motivo del ricorso incidentale della contribuente, esso deve essere disatteso per le assorbenti considerazioni svolte riguardo alle censure motivazionali sopra accolte.

La sentenza impugnata deve, dunque, essere cassata in relazione alle censure motivazionali accolte e rinviata, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della CTR competente.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale nei limiti di cui in motivazione e, assorbito il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della CTR – Lombardia.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2011

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