Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21099 del 13/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/10/2011, (ud. 24/05/2011, dep. 13/10/2011), n.21099

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8297/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

CASEIFICIO PASQUALE PETTINICCHIO SPA;

– intimato –

sul ricorso 12596/2006 proposto da:

CASEIFICIO PASQUALE PETTINICCHIO SPA in concordato preventivo in

persona del Commissario Liquidatore, elettivamente domiciliato in

ROMA PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato

SARAGO’ TIBERIO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in

calce;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 268/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 30/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2011 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GALLUZZO, che insiste

nell’accoglimento del ricorso principale e rigetto dell’incidentale;

udito per il resistente l’Avvocato SARAGO’, che si riporta al ricorso

incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale, rigetto ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 30.3.2005 n. 268 la CTR del Lazio sez. staccata di Latina ha dichiarato inammissibile, in quanto notificato presso un domicilio diverso da quello eletto dal contribuente, l’appello proposto dall’Ufficio di Latina della Agenzia delle Entrate avverso la decisione di primo grado della CTP di Latina n. 698/3/2000 che aveva accolto il ricorso del Caseificio Pasquale Pettinicchio s.p.a.

in opposizione all’avviso di rettifica parziale emesso ai fini IVA per l’anno di imposta 1997.

I Giudici territoriali dichiaravano compensate tra le parti le spese del grado.

Hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero della Economia e delle Finanze e la Agenzia delle Entrate deducendo quale unico motivo la violazione e falsa applicazione egli artt. 291 e 330 c.p.c., art. 156 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Ha resistito la società notificando controricorso e contestuale ricorso incidentale formulando -sembra- due motivi e -sembra- eccependo la inammissibilità de ricorso per cassazione.

I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente i ricorsi principale ed incidentale proposti contro la medesima decisione debbono essere riniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. I ricorrenti censurano la sentenza di appello per aver qualificato come inesistente anzichè viziata da nullità, la notifica dell’atto di appello eseguita in un luogo diverso da quello indicato dall’art. 330 c.p.c., comma 1, anche in presenza di un collegamento tra colui che ha ricevuto l’atto e la parte cui lo stesso è diretto, come nel caso di specie in cui l’appello era stato notificato ad uno dei difensori della parte, che si era costituita nel giudizio di appello, con la conseguenza che la Commissione tributaria avrebbe dovuto ritenere sanato il vizio ex art. 156 c.p.c., comma 2.

3. La società resistente ha chiesto il rigetto del ricorso principale in quanto correttamente la CTR del Lazio aveva dichiarato inammissibile l’appello notificato presso “uno studio professionale” anzichè presso il domicilio eletto (corrispondente alla sede della società).

Ha eccepito altresì la inammissibilità del ricorso principale (per difetto di interesse), in quanto i ricorrenti non avevano formulato alcuna conclusione nel merito, limitandosi a richiedere la cassazione della sentenza di appello.

Ha proposto ricorso incidentale avverso la sentenza di appello deducendo -almeno così sembra doversi intendere dalla non lineare esposizione del ricorso- i seguenti motivi:

omesso rilievo da parte dei Giudici di merito della inammissibilità dell’atto di appello (eccezione di inammissibilità “non esaminata dalla Commissione tributaria regionale ma espressamente dedotta dalla contribuente che in questa sede si ripropone espressamente, occorrendo in via di ricorso incidentale”) essendo stato notificata la impugnazione mediante un “messo della Agenzia delle Entrate” in luogo dell’Ufficiale giudiziario, in violazione D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, commi 2 e 3, art. 20 e art. 53, comma 2, che prevedono la notifica secondo le norme del codice di procedura civile ovvero a mezzo del servizio postale;

– erroneità della compensazione delle spese di lite disposta dalla sentenza di appello in quanto “in considerazione della ripetuta e totale soccombenza dell’Amministrazione finanziaria nella vicenda de qua” gli attuali ricorrenti principali debbono essere condannati in solido alla rifusione delle spese dell’intero giudizio.

4. Va preliminarmente dichiarata “ex officio” l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione attiva, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svolto avanti la CTR del Lazio, introdotto dall’Ufficio di Latina della Agenzia delle Entrate in data successiva all’1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 c.p.c., comma 3 (cfr. Corte Cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 5116 e 3118).

Non avendo il ricorso proposto dal Ministero comportato ulteriori aggravi di attività difensiva da parte della società resistente, le spese del presente giudizio possono essere interamente compensate tra le parti.

5. Il ricorso principale è inammissibile non rispondendo al requisito di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 6).

Come infatti costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura” (Corte Cass. 1 sez. 20.9.2006 n. 20405), e quanto alla sussistenza del requisito della “esposizione sommaria dei fatti di causa” di cui all’art 366 c.p.c., comma 1, n. 3) “è necessario, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, che in esso vengano indicati, in maniera specifica e puntuale, tutti gli elementi utili perchè il giudice di legittimità possa avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, così da acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione censurata e i motivi delle doglianze prospettate” (Corte Cass. sez. lav. 12.6.2008 n. 15808).

La Corte deve essere, dunque, in grado di acquisire dalla mera lettura del ricorso -e senza dover accedere ad atti del giudizio di merito, ivi inclusa la sentenza impugnata- una sufficiente conoscenza del fatto sostanziale che, se fondato su atti o documenti prodotti nel processo, impone alla parte ricorrente di trascriverne integralmente il contenuto in modo di consentire alla Corte di valutare immediatamente la ammissibilità e fondatezza del motivo dedotto (cfr. Corte Cass. SU 24.9.2010 n. 20159; id. 6^ sez. ord. 30.7.2010 n. 17915; id. 3^ sez. 4.9.2008 n. 22303; id. 3^ sez. 31.5.2006 n. 12984; id. 1^ sez. 24.3.2006 n. 6679; id. Corte Cass. 3^ sez. 25.2.2005 n. 4063; id. sez. lav. 21.10.2003 n. 15751; id. sez. lav. 12.6.2002 n. 8388). Ed è appena il caso di rilevare che le evidenziate lacune del ricorso non possono essere emendate “ex post” con le memorie difensive depositate ai sensi dell’art. 378 c.p.c., che hanno la sola funzione di illustrare i motivi del ricorso, e non sono pertanto idonee a far venire meno una causa di inammissibilità dei motivi stessi, sostituendosi, “quoad effectum”, ad essi (cfr.

Corte cass. 3^ sez. 7.4.2005 n. 7260; id. 3^ sez. 29.3.2006 n. 7237.

Massima consolidata: Corte eass. SU 19.5.1997 n. 4445 “Nel giudizio di legittimità, con le memorie di cui all’art. 378 cod. proc. civ., destinate esclusivamente ad illustrare ed a chiarire i motivi della impugnazione ovvero alla confutazione delle tesi avversarie, non possono essere dedotte nuove censure nè venire sollevate questioni nuove, che non siano rilevabili d’ufficio, e neppure può venir specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originar del ricorso”).

Nella specie la ricorrente ha omesso di fornire gli elementi di conoscenza necessari per verificare le forme e le modalità seguite per la notifica -circostanze che, peraltro, neppure è dato evincere dalla sentenza impugnata- nonchè per individuare il luogo in cui è stata eseguita la notifica ed il soggetto al quale è stato consegnato l’atto di appello (elementi tutti indispensabili per verificare se l’atto di partecipazione sia o meno riconducibile alto schema normativo astratto della notificazione degli atti giudiziari), trascurando di trascrivere nei ricorso il contenuto della relata di notifica al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare (Corte Cass. 6 sez. L. ord. 30.7.2010 n. 17915; id. 3^ sez. 31.5.2006 n. 12984; id. sez. lav. 29.8.2005 n. 17424 “nel ricorso per cassazione in caso di denuncia della violazione di una norma processuale è necessaria l’indicazione degli e le meni i condizionanti l’operatività di tale violazione; in particolare, qualora si denunci la nullità di una notifica perchè dalla relata non risulta il rinvenimento delle persone indicate dall’art. 139 cod. proc. civ., non è sufficiente per attivare il potere-dovere del giudice di esame degli atti, per accertare la sussistenza o meno della dedotta violazione, un generico richiamo alla mancanza dell’attestazione predetta, bensì, per il principio dell’autosufficienza de ricorso, è necessaria la trascrizione integrale della relata, recante anche l’indicazione della data della stessa, onde consentire al giudice il preventivo esame della rilevanza de vizio denunziato”), atto che non risulta neppure indicato in calce al ricorso tra i documenti sui quali si fonda la impugnazione, ulteriore omissione alla quale è ricondotta la sanzione di improcedibilità ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), l testo previgente alle modifiche introdotte con la L. n. 69 del 2009.

Pertanto non superando il vaglio di ammissibilità il motivo di ricorso principale non ha accesso al sindacato di legittimità.

6. Quanto al ricorso incidentale:

1-) il primo motivo -prescindendo dalle evidenti carenze in ordine al requisito di autosufficienza- deve ritenersi inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse alla coltivazione della impugnazione, in conseguenza della pronuncia di inammissibilità del ricorso principale;

2-) il secondo motivo, concernente la critica rivolta alla liquidazione delle spese di entrambi i giudizi di merito (così sembra doversi intendere la equivoca formula espressiva “intero giudizio” contenuta nel controricorso), è anch’esso inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.

Il motivo si palesa inammissibile, per difetto di autosufficienza, in relazione alla chiesta modifica della pronuncia di primo grado che ha compensato le spese processuali, non avendo allegato e dimostrato il ricorrente incidentale -totalmente vittorioso nel merito in primo grado- che i Giudici di secondo grado erano stati investiti dell’esame della questione mediante specifico motivo di gravame dedotto con appello incidentale e sul quale avevano omesso di pronunciare (cfr. Corte cass. 2^ sez. 3.5.2010 n. 10622; id sez. lav.

22.12.2009 n. 26985 id. 3^ sez. 19.11.2009 n. 24422; id. 3^ sez. 11.6.2008 n. 15483:; id. 5^ sez. 7.7.2006 n. 15557, che affermano il consolidato principio secondo cui il giudice di appello nel caso di rigetto del gravame non può, in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di primo grado): in difetto di prova della impugnazione, il capo della sentenza di primo grado che ha disposto la compensazione delle spese processuali deve ritenersi divenuto intangibile.

Il motivo è altresì inammissibile anche in relazione alla critica mossa alla pronuncia dei Giudici territoriali sulla regolamentazione delle spese di lite del grado di appello -che ha disposto la compensazione delle spese processuali.

Premesso che la censura è stata ritualmente introdotta essendo tempestivo il ricorso incidentale notificato, in difetto di notifica della sentenza, entro il termine lungo ex art. 327 c.p.c. (cfr. Corte cass. 1^ sez. 11.12.1986 n. 7380; id. 2^ sez. 13.4.1987 n. 3656; id.

2^ sez. 6.4.2987 n. 3328; id. sez. lav. 8.3.1984 n. 1602; id. 2^ sez. 18.9.2006 n. 20126 -che dichiarano inammissibile il ricorso incidentale “tardivo” in quanto l’interesse alla impugnazione dell’autonomo capo delle spese di lite sorge immediatamente con la pronuncia e non in dipendenza del ricorso principale”), osserva il Collegio che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte concernente le sentenze rese sotto la vigenza del testo dell’art. 92 c.p.c., comma 2 (“se vi è soccombenza reciproca concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero le spese tra le parti”) anteriore alle modifiche introdotte dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), (applicabili ai procedimenti instaurati dopo il 1.3.2006, per effetto della proroga del termine inizialmente fissato al 1 gennaio 2006 disposta dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39 quater, conv. in L. 23 febbraio 2006, n. 51) ed alle modifiche introdotte dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11 (applicabili ai giudizi instaurati dopo la entrata in vigore della legge), la pronuncia che dispone la regolamentazione delle spese di lite è riservata alla piena discrezionalità del giudice di merito, con l’unico limite di non imputarle alla parte interamente vittoriosa. Il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c.) va inteso, intatti, nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese processuali, ed tale criterio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, non rilevando che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole. Pertanto, con riferimento al regolamento delle spese applicato nei gradi di merito, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare le spese in tutto o in parte (anche in caso di decisione limitata al rito, non ponendo limiti la norma processuale in relazione al tipo di pronuncia: Corte cass. 1^ sez. 9.5.2005 n. 9537), e ciò sia nell’ipotesi di “soccombenza reciproca”, sia nell’ipotesi di concorso con “altri giusti motivi” (cfr. Corte cass. 1^ sez. 17.11.2006 n. 24495; id. 2^ sez. 26.2.2007 n. 4388; id. 3^ sez. 11.1.2008 n. 406, id. 3^ sez. 11.6.2008 n. 15483; id. 1^ sez. 22.7.2009 n. 17145; id. 3^ sez. 1.12.2009 n. 25270), in quanto la compensazione -parziale o totale- non equivale a pronuncia di condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese a favore della controparte, ma soltanto alla negazione del suo diritto al rimborso di quelle sostenute (Corte cass. sez. lav.

13.4.1995 n. 4234). Più in particolare la giurisprudenza di legittimità ha rilevato che se il giudice di merito si limita a dichiarare la sussistenza di “giusti motivi”, la pronuncia non è sindacabile per cassazione perchè tale accertamento è espressione di una facoltà discrezionale del giudice (sentenze sopra citate) ovvero perchè tale accertamento fonda la sua giustificazione nella implicita “relatio” con la stessa motivazione della sentenza e con le conseguenti statuizioni che hanno definito nel merito il giudizio (Corte Cass. 1^ sez. 17.11.2006 n. 24495); mentre se il giudice “aggiunge” una propria specifica ragione esplicativa dei “giusti motivi” -come nel caso di specie: “la materia del contendere”- ovvero ne caso in cui non sia possibile in alcun modo desumere dal corpo della motivazione della sentenza argomenti idonei a supportare la compensazione delle spese di lite disposta solo “per giusti motivi”, allora tale pronuncia può essere sindacata per cassazione sotto il profilo del vizio motivazionale -illogicità od omissione della motivazione- (cfr. Corte cass. SU 15.11.1994 n. 9597; id. 3^ sez. 17.7.2007 n. 15882; id. sez. lav. 27.3.2009 n. 7523; id. SU 30.7.2008 n. 20598).

Nella specie la CTR del Lazio ha ritenuto “di compensare le spese ..tenuto conto della materia del contendere, fornendo quindi uno specifico argomento giustificativo che non è stato, tuttavia, denunciato specificamente con il motivo del ricorso incidentale, essendosi limita la parte resistente a dolersi della erroneità della pronuncia sulle spese esclusivamente allegando la mera soccombenza della Amministrazione finanziaria, e dunque formulando una critica inconferente rispetto alla “ratio decidendi”, in quanto tale inammissibile.

7. In conseguenza entrambi i ricorsi principale ed incidentale debbono essere dichiarati inammissibili, ed in considerazione della reciproca soccombenza le spese del presente giudizio debbono essere interamente compensate tra le parti.

PQM

La Suprema Corte di cassazione:

– dispone la riunione delle cause ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

– dichiara inammissibile il ricorso principale proposto dal Ministero della Economia e delle Finanze e dalla Agenzia delle Entrate, nonchè il ricorso incidentale proposto da Caseificio Pasquale Pettinicchio s.p.a., dichiarando interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2011

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