Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21097 del 13/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/10/2011, (ud. 17/05/2011, dep. 13/10/2011), n.21097

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. FERRARA Ettore – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19386/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

MCM SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 54/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SASSARI, depositata il 29/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/05/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE FERRARA;

udito per il ricorrente l’Avvocato ZERMAN, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Sassari la M.C.M. s.r.l. impugnava l’avviso di rettifica con il quale l’Ufficio IVA di Sassari pretendeva per l’anno d’imposta 1996 la somma complessiva di L. 1.154.377.000, a titolo di imposta, interessi e sanzioni pecuniarie, sulla base di p.v.c. della Guardia di Finanza di Ozieri redatto il 28.8.1998 che aveva evidenziato varie irregolarità commesse dalla società, e tra l’altro l’emissione e l’utilizzazione di autofatture per operazioni inesistenti, nonchè l’omessa conservazione di fatture per operazioni passive per un importo per la sola IVA di L. 309.363.000.

Il giudice adito rigettava il ricorso rilevando che i recuperi a tassazione erano stati effettuati in modo analitico sulla base di contestazioni costruite con meticolosità e precisione dalla G.d.F. mentre la contribuente nessuna prova aveva portato a sostegno della regolarità della propria condotta.

Avverso tale sentenza proponeva appello la società, l’Ufficio eccepiva l’inammissibilità del gravame per mancanza di motivi specifici, e la CTR della Sardegna con sentenza n. 54/8/05, depositata il 29.4.2005 e non notificata, rigettata l’eccezione dell’appellato, decideva nel merito accogliendo l’appello e annullando l’atto impugnato.

Per la cassazione della sentenza di secondo grado proponevano quindi ricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate articolando tre motivi.

Nessuna difesa svolgeva nell’attuale fase l’intimata.

All’udienza di discussione del 17 maggio 2011 la Corte decideva come da dispositivo deliberando la redazione della sentenza con motivazione semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve dichiararsi d’ufficio l’inammissibilità del ricorso del Ministero in quanto privo della necessaria legittimazione ad impugnare la sentenza di secondo grado perchè rimasto estraneo al giudizio di appello (ex plurimis. v. Cass. 23.4.2010, n. 9794).

Passando all’esame del ricorso dell’Agenzia, con i motivi articolati essa deduce:

1. La violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, per il mancato accoglimento dell’eccezione d’inammissibilità dell’appello per mancanza motivi specifici;

2. La violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 3;

3. Il difetto di motivazione della sentenza circa l’asserita insussistenza della documentazione posta a fondamento dell’accertamento.

Il primo motivo è fondato. Dall’esame degli atti, sempre consentito al giudice di legittimità allorchè sia dedotto un errore in procedendo, emerge infatti che il ricorso in appello della società costituisce mera riproduzione integrale del ricorso di primo grado, riproponendone pertanto genericamente tutti i contenuti, senza specificamente censurare la ratio decidendi della sentenza impugnata, così come fondata su rilievi “costruiti con meticolosità e precisione dalla G.d.F. nel p.v.c”, e solo genericamente contestati dalla contribuente asserendo che “le scritture erano state a suo tempo consegnate all’Ufficio IVA di Sassari e le stesse non sono mai state restituite”.

Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte: “Ai fini della validità dell’appello non è sufficiente che l’atto di gravame consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità dei motivi non può essere stabilito in via generale ed assoluta, dall’altro lato, esso esige pur sempre che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime” (V, Cass. 19.2.2009, N. 4068; per l’analogo principio in materia tributaria v. Cass. 18.1.2008, n. 1054; 8.7.2004, n. 12589).

A tale principio, assolutamente condiviso da questo Collegio, non si è immotivatamente attenuto il giudice tributario, che ha infatti rigettato l’eccezione d’inammissibilità dell’appello formulata dall’Ufficio sulla base dell’esclusiva considerazione che l’appello riguardava “complessivamente la sentenza dei primi giudici”, senza cosi preoccuparsi di garantire l’effettivo rispetto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, norma che nell’interpretazione giurisprudenziale innanzi richiamata, fa carico all’appellante non soltanto di indicare esattamente i limiti della devoluzione della controversia al giudice del gravame, ma anche di evidenziare gli errori commessi dal primo giudice, attraverso la puntuale e specifica censura delle argomentazioni dallo stesso poste a fondamento della sua decisione.

In accoglimento dei primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, la sentenza impugnata deve pertanto essere cassata senza rinvio, dovendosi ritenere l’inammissibilità dell’appello del quale si discute, e ricorrendo quindi i presupposti di cui all’art. 382 c.p.c., comma 3, per l’impossibilità della prosecuzione del processo di secondo grado.

Le spese del giudizio dinanzi alla CTR e quelle della presente fase, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero. Accoglie il ricorso dell’Agenzia, cassa la sentenza impugnata e condanna la società intimata al rimborso delle spese del giudizio di appello e del giudizio di legittimità, liquidando le prime in complessivi Euro 6.800,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, e le seconde in complessivi Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2011

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