Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21097 del 07/08/2019

Cassazione civile sez. trib., 07/08/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 07/08/2019), n.21097

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorso 7990-2017 proposto da:

AGRICOLA SAN FELICE SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEGLI

SCIPIONI 94, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA FIORE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERO CATELANI;

– ricorrente –

Contro

COMUNE DI CASTELNUOVO BERARDENGA, elettivamente domiciliato in ROMA

PIAZZA SALLUSTIO 9, presso lo studio dell’avvocato GIANFRANCO

PALERMO, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO FINETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1647/2016 della COMM.TRIB.REG. di FIRENZE,

depositata il 28/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.La società Agricola San Felice impugnava l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) del 14.07.2014, relativo ad Ici per l’annualità 2009, sostenendo che i fabbricati (abitativi e produttivi), da quest’ultima posseduti, in quanto strumentali all’esercizio dell’attività agricola (vitivinicola) da essa svolta, per i quali il Comune di Castelnuovo Berardenga intimava il pagamento dell’imposta comunale, dovevano considerarsi esenti dall’imposta stessa.

La CTP di Siena accoglieva il ricorso dichiarando l’illegittimità dell’avviso di accertamento.

Proposto appello avverso detta pronuncia, la C.T.R. della Toscana con sentenza n. 1647/5/2016, depositata il 28.09.2018, accoglieva il gravame, sul rilievo che l’esenzione dall’imposta comunale non poteva prescindere dalla classificazione catastale degli immobili, i quali erano stati annotati in catasto in categoria diversa dalla D/10.

Avverso detta pronuncia ricorreva, sulla base di quattro motivi, la società contribuente.

L’amministrazione comunale resisteva con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato, in prossimità dell’udienza, memorie difensive ex art. 380 bis c.p.c.

Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

2. Con il primo motivo, rubricato “la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 537 del 1993, art. 9 e della L. n. 662 del 1996, art. 23, nonchè del Decreto del ministero delle Finanze del 2 gennaio 1998, n. 28, ex art. 360 c.p.c., n. 3)” parte ricorrente censura la sentenza della Commissione regionale, per avere escluso la natura rurale del fabbricato accatastato nel fl. di mappa 83, part. 10 del Comune di Catelnuovo di Berardenga, sulla base del mero censimento.

In particolare, deduce la ricorrente che la Circolare dell’Agenzia del territorio avrebbe chiarito il significato dell’art. 9 cit., comma ter, precisando che “sono rurali le abitazioni, non censite in categoria A/1 e A/8 nè aventi le caratteristiche di lusso di cui al DM 2 agosto 1969, ancorchè censite in altre categorie del gruppo “A”. Inoltre, la L. n. 662 del 1996, art. 3,comma 156 – che aveva previsto la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali previsti dall’art. 9 cit. – ha trovato applicazione nel regolamento di cui alla Circolare dell’Agenzia del Territorio del 9 aprile 1998, secondo la quale per gli immobili aventi destinazione agricola doveva istituirsi la cat. D/10; stabilendo che, “nelle more della pubblicazione del relativo decreto, per eventuali casi di dichiarata urgenza, gli uffici erano autorizzati ad accettare denunce conformi al suddetto indirizzo; in via transitoria, sui documenti di aggiornamento prodotti con dichiarazione Docfa dovevano essere riportati la categoria D/1 nel campo specifico, nonchè la dicitura categoria parificata alla D/10 e la sigla RR nel campo lotto; successivamente con procedura automatica, le unità acquisite nella banca dati con le suddette modalità sarebbero state acquisite nelle categorie corrette”.

Allega altresì la contribuente che, in osservanza al disposto del citato art. 3, nell’anno 2002, aveva iscritto in catasto il fabbricato – di cui al fl. 83 part. 10 – nella categoria parificata alla D/10; che, nel 2003, l’Ufficio nell’eseguire una variazione toponomastica eliminava la dicitura “parificata alla D/10″, pur in assenza di trasformazioni o alterazioni delle caratteristiche dell’unità immobiliare; circostanza che sarebbe stata confermata con la nota del 23 marzo 2012 della stessa agenzia.

Aggiunge la società di non aver mai ricevuto alcuna comunicazione dall’ufficio in tal senso, confidando nel recupero automatico dell’unità immobiliare nella cat. D/10; che, solo a decorrere dal 4 giugno 2009, a seguito di ampliamento ed unificazione ad altro immobile, già censito in cat. D/10, veniva modificato l’indirizzo dell’unità immobiliare e attribuita la cat. D/10 alle unità immobiliari rurali.

In ogni caso, sostiene la ricorrente che la ruralità dell’immobile avrebbe dovuto essere desunta dalla sigla” lotto RR” che – come confermato dalla nota esplicativa dell’Agenzia delle entrate del 9.03.2017 – era chiaro indice di ruralità, di talchè, non essendo intervenuta alcuna variazione di classificazione ma solo di toponomastica, la società non era onerata dell’impugnazione della classificazione come affermato dalle SSUU, atteso che nella specie non era mutata affatto la classificazione catastale dell’unità immobiliare.

Infine, si deduèe che l’immobile in questione risulta accatastato in cat. D/10 a far data dal 4 giugno 2009, variazione che ha natura ricognitiva – dichiarativa da riferirsi all’epoca della variazione, di talchè deve commisurarsi l’imposta comunale alla rendita catastale attribuita pro tempore sia pure ex post dal competente ufficio erariale.

3.Con la seconda censura si lamenta l’omesso esame di fatto controverso decisivo, relativo al carattere rurale del fabbricato in questione, i cui requisiti sono stati ininterrottamente posseduti dal titolare e che il decidente avrebbe dovuto esaminare al fine di riconoscere la ruralità al fabbricato de quo, reiterando le medesime difese svolte con riferimento alla prima censura; aggiungendo inoltre che con la dichiarazione Docfa del 2001 ” presumibilmente” vi era stata un’omissione, in quanto non compariva l’ubicazione del bene, ma certamente era evidente la sua destinazione alle funzioni agricole.

4.La prima censura è parzialmente fondata, assorbita la seconda.

Ricorre in proposito l’orientamento di legittimità – già stabilito dalla sentenza SSUU n. 18565/09 in tema di Ici dei fabbricati rurali secondo cui: – per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, ai fini del trattamento esonerativo, è dirimente l’oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria (A/6 per le unità abitative, o D/10 per gli immobili strumentali); sicchè l’immobile che sia stato iscritto come “rurale”, in conseguenza della riconosciuta

ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9 (conv. in L. 26 febbraio 1994, n. 133) non è soggetto all’imposta, ai sensi del D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, art. 23, comma 1 bis (conv. in L. 27 febbraio 2009, n. 14) e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. a); – per converso, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale (di non ruralità), è onere del contribuente, che invochi l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, restandovi altrimenti quest’ultimo assoggettato; – allo stesso modo, il Comune deve impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’Ici.

A tale orientamento hanno fatto seguito numerose pronunce di legittimità (Cass. nn. 16737/15 e Cass. 24892/16; 7102/10; 8845/10; 20001/11; 19872/12; 5167/14;, più recentemente confermate da Cass. 20/04/2016 n. 7930; Cass.n. 10283/2019 e Cass. n. 8539/2019) secondo cui: ” qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione, impugnare l’atto di classamento, fermo restando, invece, che se il fabbricato non risulti iscritto in catasto e il contribuente agisca per ottenere il rimborso dell’imposta, l’accertamento della ruralità può essere immediatamente compiuto dal giudice, ma incombe al contribuente dimostrare la sussistenza dei requisiti D.L. n. 557 del 1993, ex art. 9.”

Va altresì osservato come le SSUU nella sentenza cit. si siano fatto carico anche dei profili di jus superveniens riconducibili all’emanazione sia del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis conv.in L. n. 133 del 1994, come introdotto dal D.L. n. 159 del 2007, art. 42 bis conv. in L. n. 222 del 2007; sia del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis conv. in L. n. 14 del 2009. Con la conseguenza che nemmeno in base a questa normativa – salva l’ipotesi di mancato accatastamento – è dato al giudice tributario di accertare in concreto, incidentalmente, il carattere rurale del fabbricato di cui si sostenga l’esenzione da Ici.

La stessa conclusione va, infine, riaffermata (così Cass. 7930/16 cit. ed innumerevoli altre) pur alla luce dell’ulteriore jus superveniens (D.L. n. 70 del 2011, conv. in L. n. 106 del 2011; D.L. n. 2011 del 2011 conv. in L. n. 214 del 2011; D.L. n. 102 del 2013 conv.in L. n. 124 del 2013) che ha attribuito al contribuente la facoltà di presentazione di domanda autocertificata di variazione catastale per l’attribuzione delle categorie di ruralità A/6 e D/10, con effetto per il quinquennio antecedente. Si tratta infatti di disposizioni che rafforzano l’orientamento esegetico già adottato dalle SSUU nel 2009, in quanto disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione Ici; sulla base di una procedura ad hoc che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme(Cass. n. 12780/2018).

Nel prendere in esame, in particolare, quest’ultima disposizione (successiva e presupponente quella introdotta dall’art. 42 bis cit.), le SSUU hanno tratto argomento per affermare come la disciplina sopravvenuta, lungi da smentire la necessaria rilevanza, ai fini Ici, della classificazione catastale, l’abbia ulteriormente confortata e resa imprescindibile; al punto che l’obiettivo di sottrarre il fabbricato strumentale all’imposizione di un tributo che trova il suo presupposto proprio nella natura di fabbricato accatastato o accatastabile del cespite (D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1 e 2) è stato perseguito dal legislatore (D.L. n. 207 del 2008 cit., ex art. 23) mediante, non già l’esenzione dalla classificazione in categoria catastale di ruralità, bensì attraverso l’espunzione di tali unità immobiliari, così accatastate, dalla nozione legislativa medesima di fabbricato (cfr. ex pluribus: Cass. n. 5769/2018; n. 7799/2019, in motiv.).

6.Alla luce dei suddetti principi giurisprudenziali, la società ricorrente avrebbe dovuto impugnare la variazione di classificazione, anche se ritenuta il risultato di un mero errore materiale dell’Agenzia del territorio, la quale, nel disporre una variazione toponomastica dall’immobile, avrebbe eliminato la dicitura ” categoria equiparata alla D/10″; mentre la dicitura RR (vale a dire: richiesta ruralità) risulta del tutto irrilevante rispetto alla necessità che, ai fini dell’esenzioni ICI, l’immobile sia accatastato nella categoria attribuita ai cespiti rurali (D/10).

7. Questa classificazione neppure poteva derivare dalla “parificazione” alla categoria D10 transitoriamente applicata in forza della Circolare Min Fin. – Ag. Territorio 9 aprile 1998 n. 96 (concernente il DM Fin. 28/98: “Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale”), dovendo evidenziarsi che tale circolare – fonte normativa interna all’amministrazione finanziaria, – non attribuisce classamento ‘rurale D/10 a fabbricati diversamente censiti, ma si limita a disciplinare in via transitoria e di prima applicazione le domande di assegnazione alla categoria catastale D/10, di nuova istituzione; si prevede infatti in essa che “nelle more della pubblicazione del relativo decreto, per eventuali casi di dichiarata urgenza, gli uffici sono autorizzati ad accettare, ed acquisire agli atti, denunce conformi al suddetto indirizzo. In questa fattispecie in via transitoria e fino all’adeguamento delle procedure informatiche suddette, sui documenti di aggiornamento prodotti con Docfa devono essere riportati (…) i seguenti dati: (…) la dicitura ‘categoria parificata alla D101 (…). Successivamente, con procedura automatica, le unità acquisite nella banca dati con le suddette modalità saranno recuperate e collocate nella corretta categoria”; si aggiunge inoltre che “per le denunce di variazione delle costruzioni censite nella categoria speciale D/10 ovvero in altra categoria ordinaria, vengono osservate le normali procedure vigenti per il catasto edilizio urbano. La valutazione della sussistenza delle condizioni per il riconoscimento ai fini fiscali della ruralità delle costruzioni è compito precipuo degli uffici preposti all’accertamento delle imposte sugli immobili”;

Ferma restando la previsione della possibilità di un’istanza di classificazione dei fabbricati D/1 nella nuova categoria D/10, previa annotazione della richiesta parificazione, trova comunque conferma la necessità di verificare, da parte dell’amministrazione finanziaria, l’effettiva sussistenza dei presupposti per riconoscimento, ai fini fiscali, della categoria parificata richiesta (così Cass. n. 24892/2016), il che nel caso di specie, non risulta essere stato effettuato per l’intera annualità 2009, alla quale la stessa società contribuente ancora attribuisce il regime provvisorio di parificazione sino alla nuova annotazione a seguito di Docfa (v. Cass. n. 10654/2019;n. 12780/2018).

Al contrario, nella specie, i cespiti di proprietà della ricorrente – censiti al, f1.82 e 83 particelle 33 e 10 – risultano iscritti, da quanto dedotto dalla contribuente, nella categoria D/10, solo a far data dalla presentazione della Docfa dell’anno 2009, mentre l’eventuale erronea cancellazione da parte dell’Agenzia della dicitura ” immobile in cat. D/1 equiparato alla cat. D/10″ avrebbe dovuto essere corretta dalla contribuente, attraverso l’impugnazione della variazione che – sebbene non sia stata il risultato di un accertamento dell’ufficio, ma presumibilmente l’effetto di una erronea pretermissione conseguente ad una variazione toponomastica – aveva comportato l’accatastamento del cespite in categoria diversa dalla D/10 o in categoria ad essa equiparabile.

8.Coglie nel segno invece la censura rivolta alla sentenza impugnata nella parte in cui non avrebbe valutato la natura ricognitiva-dichiarativa della dichiarazione DOCFA dell’anno 2009 e, dunque, l’esenzione dall’Ici a decorrere dalla data della variazione.

La giurisprudenza di legittimità ha statuito (Sez. U, Sentenza n. 3160/11) che “in tema d’ICI, la L. n. 342 del 2000, art. 74,nel disporre che gli atti attributivi o modificativi della rendita sono efficaci a partire dalla loro notifica da parte dell’Agenzia del territorio, si interpreta nel senso che dalla notifica decorre il termine per l’impugnazione, ma ciò non esclude affatto l’utilizzabilità della rendita medesima, una volta notificata, a fini impositivi anche per annualità d’imposta “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso, stante la natura dichiarativa e non costitutiva dell’atto attributivo della rendita” (Cass. n. 4971/2018; Càss. n. 2018/4613; n. 2017 n. 14402; Cass. 2016 n. 18056; Cass. n. 2016 n. 12330; Cass. 2012 n. 12753; Cass.23600/11).

Con ciò discostandosi dal precedente orientamento secondo il quale l’attribuzione ex novo di rendita ad un immobile che ne fosse privo aveva valore costitutivo, non potendo costituire la base di calcolo dell’ICI per periodi d’imposta precedenti (Cass. nn. 27062 e 27065/2008, 16701/2007, 24235/2004).

Al contrario, secondo l’attuale orientamento giurisprudenziale, la notificazione della rendita attribuita costituisce il presupposto (oltre che per l’impugnazione da parte del contribuente) per l’utilizzo della stessa da parte dell’amministrazione comunale che agisca per il pagamento delìIci; e ciò con riguardo anche alle annualità pregresse (ed a maggior ragione per quella ancora in corso al momento della notificazione) in ordine alle quali la posizione Ici non risulti essere stata definita proprio in attesa dell’attribuzione della rendita notificata: “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), ai fini del computo della base imponibile, il provvedimento di attribuzione o modifica della rendita catastale, emesso dopo il primo gennaio 2000 è utilizzabile, a norma della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, anche con riferimento ai periodi di imposta anteriori a quello in cui ha avuto luogo la notificazione del provvedimento, purchè successivi alla eventuale denuncia di variazione” (Cass. n 3273/2019; n. 11448/2018; n. 3168/2015).

Stabilendo, infatti, con l’art. 74 cit., che dal primo gennaio 2000 gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, il legislatore non ha voluto restringere il potere di accertamento tributario al periodo successivo alla notificazione del classamento, ma piuttosto segnare il momento a partire dal quale l’amministrazione comunale può richiedere l’applicazione della nuova rendita ed il contribuente può tutelare le sue ragioni contro di essa, non potendosi confondere l’efficacia della modifica della rendita catastale – coincidente con la notificazione dell’atto – con la sua applicabilità” (così Cass. 20775/05; Cass. n. 12029 del 25 maggio 2009; Cass.n. 16031/2009; Cass. S.U. n. 3160/2011; Cass. n. 14773 del 2011; Cass. n. 23600 del 2011; Cass.n. 23600 del 11/11/2011; Cass. 13443/12; Cass. n. 12753 del 2014; Cass. n. 4335 del 2015; Cass. n. 18056/2016; n. 12320/2016; Cass. n. 14402 del 2017).

Il disposto della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, comma 1, deve essere coordinato con il D.Lgs. 30 dicembre 1997, n. 504, art. 5, comma 2, secondo il quale le risultanze catastali divenute definitive per mancata impugnazione hanno efficacia a decorrere dal 1 gennaio dell’anno successivo a quello in cui la variazione viene annotata negli atti catastali.

Ebbene, questa Corte ha chiarito (Cass. 11448/18; Cass. n. 3273/2019; 1172/2019; n. 13791/2019 in motiv,) che soltanto con l’attivazione della procedura Docfa, idonea a rimuovere il regime di attribuzione catastale provvisoria o presunta, si pone l’amministrazione in condizione di verificare l’effettiva ed attuale rispondenza dell’immobile al classamento ed alla rendita proposta ovvero accertata. Va dunque recepito, nella concretezza del caso, il più calzante principio di diritto risultante da Cass. 11448/18 (con ulteriori richiami), la quale ha osservato, in motivazione, che: “questa Corte ha recentemente ribadito che nel caso in cui la variazione di rendita o l’attribuzione di rendita venga proposta dal contribuente, attraverso la procedura DOCFA, la nuova rendita produce effetti dal 1 gennaio dell’anno successivo a quello in cui la variazione viene annotata negli atti catastali. Nel caso in cui la variazione della rendita consegua a modificazioni della consistenza o della destinazione dell’immobile, come nella specie, denunciate dallo stesso contribuente, essa trova applicazione dalla data della denuncia. (Cass. n. 13018 del 2012; Cass. n. 17863 del 2010; Cass. n. 18023 del 2004; Cass. n. 20854 del 2004; Cass. n. 20734 del 2006). Il fatto che la situazione materiale denunciata risalga a data anteriore non ne giustifica un’applicazione retroattiva rispetto alla comunicazione effettuata all’Amministrazione; ciò in quanto il riesame delle caratteristiche dell’immobile da parte del medesimo ufficio comporta l’attribuzione di una diversa rendita con decorrenza dall’originario classamento rivelatosi erroneo o illegittimo ovvero dalla denuncia nell’ipotesi di modificazione della consistenza immobiliare (cfr., tra le altre, Cass., n. 27906/2009 e, più di recente, in senso conforme, Cass. n. 13018/2012; nn. 3168 e 16241/2015; Cass.n. 11844/2017; Cass. nn 21760 e. 20370 del 2018; Cass. nn. 11448. e 4613 del 2018; Cass. n. 4341/2019; n. 355/2019; Cass.n. 3273 e n. 1172 del 2019). Del reso, il medesimo orientamento si è affermato anche in ordine al passaggio dal criterio del valore contabile alla rendita catastale per i fabbricati D, che attribuisce rilevanza alla presentazione della richiesta (Cassazione 3160/2011)

Ne. consegue che l’esenzione Ici trova applicazione a decorrere dalla data della presèntazione della dichiarazione Docfa (aprile 2009).

In conclusione il ricorso va accolto con riferimento all’immobile individuato al fl. 83, part. 10 – che va dichiarato esente della imposta a decorrere dalla data di presentazione della dichiarazione Docfa.

Stante il consolidarsi in corso di causa del su riportato indirizzo interpretativo, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente, diretto ad ottenere l’esenzione dall’ICI – con riferimento all’immobile individuato al fl. 83, part. 10 del Catasto del Comune di Castelnuovo Berardenga – limitatamente al periodo successivo alla data di presentazione della dichiarazione Docfa del 2009; dichiara compensate le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2019

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