Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21095 del 19/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 19/10/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 19/10/2016), n.21095

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23970-2013 proposto da:

RINIERI SRL, (OMISSIS), in persona del suo legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI 140,

presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI LUCATTONI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO MAMBELLI

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M., L.M., L.L., L.D.,

eredi ab intestato del signor L.A. e la prima anche in

proprio elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DE CAROLIS UGO 101,

presso lo studio dell’avvocato FULVIO FRANCUCCI, che li rappresenta

e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

UNIPOL ASSICURAZIONI SPA, in persona del suo procuratore ad negotia

dott. G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SALARIA 292, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BALDI, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del

controricorso;

GEODIS ZUST AMBROSETTI SPA, in persona dell’Amministratore Delegato

Ing. Ca.Fr., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

REGINA MARGHERITA 278, presso lo studio dell’avvocato MICHELE

SPROVIERI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1681/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 15/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato PIERLUIGI LUCATTONI;

udito l’Avvocato FULVIO FRANCUCCI;

udito l’Avvocato FRANCESCO BALDI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con citazione notificata l’8 maggio 2003 L.A. e C.M. convenivano davanti al Tribunale di Treviso, sezione distaccata di Conegliano, Rinieri S.r.l. e (OMISSIS) Srl (d’ora in avanti TTI) per il risarcimento dei danni derivati dall’essere stato il L. in data (OMISSIS) travolto da una macchina agricola “cimatrice” prodotta da Rinieri S.r.l. mentre la riceveva in consegna presso la sede della ditta di trasporti M. La macchina era stata venduta dalla produttrice a Fratelli B. SNC e affidata dalla produttrice stessa per il trasporto a Ambrosetti & Stracciari S.p.A. – poi Geodis Zust Ambrosetti S.p.A. – che aveva subappaltato una tratta del trasporto a TTI, la quale si era poi rivolta a Piave Trasporti s.a.s. di C. e L.. Il L. aveva ricevuto la macchina caricandola manualmente sul suo furgone, perchè il cavalletto aveva ruote; ma quando essa era già sul pianale improvvisamente si era sbilanciata in avanti, cadendo addosso al L. e cagionandogli gravissime lesioni personali. Secondo gli attori, responsabili di ciò dovevano quindi essere Rinieri S.r.l. per danni da prodotto difettoso quanto all’imballaggio e comunque ex art. 2043 c.c., nonchè TTI per non aver adottato le misure di sicurezza normativamente previste per il trasporto. I convenuti si costituivano resistendo; Rinieri S.r.l. chiamava in causa per garanzia Ambrosetti & Stracciari Corriere Italia S.p.A., che si costituiva resistendo; TTI chiamava in causa per garanzia Meieaurora Assicurazioni, che si costituiva resistendo. Con sentenza del 1. luglio 2009 il Tribunale, accertata la responsabilità di Rinieri, Geodis Zust Ambrosetti e dello stesso L.A. in pari quota, cioè un quarto ciascuno, condannava solidalmente i primi tre suddetti a risarcire agli attori per l’importo di Euro 912.500 per danni patrimoniali e non patrimoniali – importo di cui Euro 300.000 spettava alla C. e Euro 612.500 al L. -, e accoglieva la domanda di manleva di TTI nei confronti di Meieaurora Assicurazioni. Avendo quindi presentato appello principale Rinieri S.r.l., Si costituivano tutti gli appellati, tranne TTI, e proponevano appello incidentale. Con sentenza del 12 giugno-15 luglio 2013 la Corte d’appello di Venezia ha accolto l’appello incidentale di Geodis Zust Ambrosetti annullando la sua condanna e, in accoglimento parziale altresì dell’appello incidentale del L. e della C., rideterminava il credito nei confronti di Rinieri S.r.l. e di TTI (frattanto divenuto Fallimento (OMISSIS) S.r.l.) della C. in proprio e quale erede di Augusto L. nelle more deceduto, nonchè degli altri eredi di quest’ultimo L.M., L.D. e L.L. in Euro 820.666,67 (Euro 1.132.000 da cui veniva detratto un terzo per il concorso di colpa della vittima) oltre interessi; rigettava infine l’appello principale di Rinieri S.r.l.

2. Ha presentato ricorso Rinieri S.r.l. sulla base di nove motivi.

Si difendono con controricorso rispettivamente Geodis Zust Ambrosetti S.p.A., Unipol Assicurazioni S.p.A.- già Meieaurora Assicurazioni – nonchè C.M., L.M., L.D. e L.L..

Il ricorrente nonchè C.M., L.M., L.D. e L.L. hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.

Deve premettersi che il controricorrente Geodis Zust Ambrosetti ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per mancanza di copia notificata della procura speciale della ricorrente ai difensori, connettendola a un’effettiva carenza di tale procura (in particolare, facendo riferimento a S.U. 22 dicembre 2011 n. 28337): eccezione che non merita accoglimento, dal momento che a margine del ricorso originale è effettivamente presente la procura speciale della ricorrente a chi in questo grado la difende.

3.1 Il primo motivo denuncia allora, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e/o omessa motivazione su fatto decisivo e controverso, e precisamente sull’esistenza originale di piedini nella parte sottostante della macchina. Secondo il giudice d’appello non sarebbe certa, ma in tal modo non terrebbe conto delle prove agli atti che la dimostrano, e altresì dimostrano essere intervenuta una manomissione che li ha asportati: allo scopo il motivo invoca la sentenza di primo grado – laddove si riferisce agli esiti della c.t.u. – nonchè si rapporta a testimonianze e direttamente agli esiti della c.t.u. espletata in primo grado.

A parte che nella forma vigente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 quel che rileva specificamente è l’omesso esame motivazionale, questo motivo è palesemente fattuale, essendo propositivo di una valutazione alternativa degli esiti del compendio probatorio. Per quanto la stessa ricorrente espone illustrando il motivo non c’è stata d’altronde una omessa motivazione, avendo semplicemente il giudice d’appello ritenuto non dimostrato che vi fossero i piedini quando la macchina fu consegnata dal produttore al primo trasportatore. E infatti la corte territoriale ha considerato questo elemento, sia nella sintesi della precedente vicenda processuale (dove dà atto che il giudice di prime cure ha ritenuto che “originariamente la macchina era dotata anche di piedini (rimossi da mano ignota)”), sia nella motivazione in senso stretto, dove ha espressamente esaminato la questione, tra l’altro valutando gli esiti della c.t.u. Peraltro, la presenza originaria di piedini nella cimatrice, secondo il complessivo risultato dell’accertamento del giudice di primo grado, non era un fatto decisivo, perchè la macchina era comunque insicura all’origine: e anche la corte territoriale ha poi qualificato i piedini come un fatto non decisivo (“a prescindere dalle forti perplessità in ordine all’esistenza originaria dei piedini”). Il motivo è dunque del tutto privo di pregio.

3.2 Il secondo motivo denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e/o omessa motivazione su fatto decisivo e controverso per avere il giudice d’appello ritenuto dirimente che ruote e piedini della macchina non fossero coperti dall’imballo, desumendone che la produttrice avesse previsto o voluto la possibilità di trasporto del collo macchina/cavalletto con trascinamento sulle ruote pivottanti. Ma ciò sarebbe errato, non avendo tenuto conto il giudice d’appello delle risultanze istruttorie (si richiamano in particolare gli esiti della c.t.u.).

Si tratta di una ulteriore versione alternativa dell’accertamento di merito operato dalla corte territoriale, e quindi la doglianza è inammissibile, anche in questo caso dalla sua stessa illustrazione emergendo che non vi è stata omessa motivazione su questi fatti.

3.3 Il terzo motivo denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e/o omessa motivazione su fatto decisivo e controverso, censurando il giudice d’appello per aver affermato che togliere i piedini dalla macchina sarebbe stata un’operazione comunque possibile e, secondo le dichiarazioni del teste P., fattibile con semplici tenaglie: e ciò laddove c.t.u. avrebbe affermato che non era questa una operazione semplice, e il teste Pulcino avrebbe affermato che i piedini, fissati con perni, si potevano togliere soltanto con tenaglie, dovendosi da questo desumere che non si trattava affatto di una operazione semplice.

Vale quanto detto per il motivo precedente: trattasi di una doglianza di fatto con valutazione alternativa degli esiti probatori, dalla cui esposizione emerge che non sussiste omessa motivazione, bensì che la ricorrente non condivide quel che la motivazione in effetti esterna.

3.4 Il quarto motivo denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e/o omessa motivazione su fatto decisivo e controverso, nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 40 – 41 c.p.: avrebbe errato la corte territoriale nei ritenere che il nesso causale dell’incidente con quanto posto in essere dalla produttrice si sarebbe interrotto solo se quest’ultima non avesse installato le ruote pivottanti, perchè la macchina sarebbe stata ab origine pericolosa. A ciò il ricorrente oppone che le ruote sarebbero componenti fondamentali di quel tipo di macchine e dalla c.t.u. sarebbe emerso che l’imballo della macchina, come uscita dalla casa produttrice, avrebbe consentito la sistemazione nel cassone del furgone con modalità di sicurezza. La produttrice non avrebbe potuto prevedere che il vettore internazionale Ambrosetti avrebbe tolto i piedini e subappaltato il trasporto: vì sarebbe stata, pertanto, una causa sopravvenuta eccezionale e imprevedibile, tale da escludere il rapporto di causalità ex art. 41 cpv. c.p. Secondo il c.t.u., poi, la causa unica del ribaltamento della macchina sarebbe stato il movimento orizzontale innescato dal L., e ciò pur rilevando o dovendo rilevare la non conformità del collo al c.d. Decreto Ronchi.

E’ evidente dalla dettagliata sintesi del suo contenuto appena offerta che anche questo motivo pur asserendo, a differenza dei precedenti, di recare anche censure di diritto – in realtà rimane su un piano del tutto fattuale, manifestando la non condivisione di quello che il giudice d’appello ha appurato pure sotto il profilo del nesso causale, e formulando quindi una doglianza che sarebbe proponibile soltanto in un gravame di merito.

3.5 Il quinto motivo denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della Direttiva Macchine (qui, ratione temporis, la direttiva 98/37 CE) e del D.P.R. n. 224 del 1988 nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e/o omessa motivazione su fatto decisivo e controverso. Dalla c.t.u. emergerebbe che il richiamo a tale normativa è inconferente riguardo alla posizione dell’utente finale; e il consulente tecnico d’ufficio avrebbe dichiarato che la cimatrice non sarebbe difettosa, onde il “difetto che ha cagionato il danno non esisteva quando il produttore ha messo il prodotto in circolazione”.

Schermandosi – ancor più che nel precedente motivo – anche in una denuncia di errore di diritto, in realtà neppure in questa censura davvero si giunge al livello della valutazione giuridica, bensì si insiste come nelle anteriori doglianze in una prospettazione diversa degli esiti probatori, di nuovo ritornando sulla questione di come era in effetti conformata la macchina quando fu consegnata dalla casa produttrice al primo trasportatore, ovvero fu messa in circolazione.

In conclusione, tutti i primi cinque motivi del ricorso perseguono, inammissibilmente, sotto le apparenti spoglie di denuncia di error in iudicando e di vizio motivazionale, un terzo grado di merito, travalicando i confini della cognizione del giudice di legittimità, cui si chiede di revisionare una species di accertamento che istituzionalmente è riservata ai precedenti giudici.

3.6.1 Il sesto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e/o omessa motivazione su fatto decisivo e controverso, nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 346 c.p.c. e art. 2051 c.c.

Avrebbe errato la corte territoriale nell’accogliere l’appello incidentale della Geodis Zust Ambrosetti, affermando che la domanda proposta verso di essa dalla attuale ricorrente non era riproponibile in appello: si trattava di una domanda che era stata accolta dal giudice di prime cure, e quindi logicamente non doveva essere riproposta in appello ex art. 346 c.p.c.; inoltre l’appellante – attuale ricorrente – aveva citato davanti alla corte territoriale Geodis Zust Ambrosetti, manifestando così la sua volontà di riproporre la domanda nei suoi confronti. Quindi la corte territoriale avrebbe dovuto esaminare la domanda e soffermarsi sulla eccezione da Geodis Zust Ambrosetti proposta – e peraltro infondata – di prescrizione ex art. 2951 c.c. In particolare, infondata sarebbe tale eccezione perchè in questo caso Rinieri S.r.l. non avrebbe contestato una perdita di merci o la loro avaria, e non avrebbe comunque esercitato diritti derivanti dal contratto di trasporto, ma si sarebbe limitato a identificare in Geodis Zust Ambrosetti l’unico autore del fatto illecito, esercitando quindi nei confronti dei suddetto un’azione extracontrattuale con la stessa causa petendi fondante quella esercitata nei propri confronti da C.M. e L.A.. E comunque il dies a quo della prescrizione ex art. 2951 c.c. non avrebbe dovuto decorrere dalla consegna della merce oggetto del contratto di trasporto, bensì dalla prima richiesta risarcitoria all’attuale ricorrente. Pertanto il termine annuale non sarebbe decorso quando il 30 luglio 2003 fu notificata alla Geodis Zust Ambrosetti la chiamata in causa: vale a dire, come ritenuto dal Tribunale, nei confronti di quest’ultima fu esercitata una azione extracontrattuale non ancora prescritta.

3.6.2 In questo motivo sono racchiuse doglianze diverse. La denuncia di vizio motivazionale, anzitutto, è inammissibile, perchè qui non si tratta di fatto decisivo e controverso che sia stato oggetto di omissione motivazionale ai sensi del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando invece la ricorrente l’omessa pronuncia sulla sua domanda nei confronti di Geodis Zust Ambrosetti, pronuncia che, se fosse esistita, sarebbe stata inclusiva, logicamente, anche delle eccezioni opposte dalla Geodis Zust Ambrosetti. E il vizio motivazionale non rileva in questioni di diritto, ove incide esclusivamente la soluzione in termini giuridici cui è pervenuto il giudice, senza che nulla conti il percorso utilizzato per raggiungerla (v. p. es. Cass. sez. 3, 14 febbraio 2012 n. 2107, Cass. sez. 5, 2 febbraio 2002 n. 1374; Cass. sez. 2, 10 maggio 1996 n. 4388; Cass. sez. 1, 14 giugno 1991 n. 6752; Cass. sez. 2, 22 gennaio 1976 n. 199; trattasi di principio generale, relativo anche alla giurisdizione di legittimità in materia penale: cfr. le recenti Cass. pen. sez. 1, 20 maggio 2015 n. 16372 e Cass. pen. sez. 3, 23 ottobre 2014-11 febbraio 2015 n. 6174).

Rimane allora la censura che la ricorrente ha rapportato all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella quale, peraltro, si miscela un preteso error in procedendo con un preteso errore di diritto sostanziale. è infatti riconducibile alla legge sostanziale la questione della prescrizione, mentre error in procedendo costituirebbe la violazione dell’art. 346 c.p.c. Già questa ibrida natura può condurre la doglianza alla inammissibilità per difetto di specificità.

Tuttavia, non si può non ricordare un recente intervento delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte dal contenuto conservativo in caso di commistione di più profili di doglianza (S.U. 6 maggio 2015 n. 9100). Insegna ivi il giudice nomofilattico che, qualora nel ricorso per cassazione un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere denunciato come motivo autonomo, detta pluralità non giustifica di per sè l’inammissibilità del ricorso, in quanto, perchè questo sia ammissibile, è sufficiente che “la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati”. Il caso trattato dalle Sezioni Unite comprendeva sia il vizio motivazionale, sia la denuncia di errore di diritto sostanziale, sia la denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c. Peraltro il rigetto della eccezione di inammissibilità dell’arresto citato ha preso le mosse dalla constatazione che il motivo riguardava comunque un “unico tema di individuazione e liquidazione del danno nel giudizio di merito”, per cui evidentemente la specificità non era venuta meno. La specificità, d’altronde, significa chiarezza e completezza, per cui non può varcare la soglia dell’ammissibilità un motivo di ricorso per cassazione che prospetti una pluralità di questioni senza rispettare detti requisiti, ovvero proponendo, in luogo di una pluralità creata da un elenco ben articolato e distinto di censure autonome, un grumo eterogeneo di doglianze che esiga un intervento di discernente chiarificazione da parte del giudice, cui pertanto verrebbe affidata la compiuta formulazione del motivo mediante l’identificazione dei vizi di violazione di legge o motivazionali in esso desumibili (cfr., tra gli arresti recenti, Cass. sez. 1, 20 settembre 2013 n. 21611): operazione, questa, che districa e identifica le singole censure nell’ambito di una pluralità la quale, nel caso in esame, per la sua conformazione la rende necessaria.

Comunque l’errore di rito sarebbe stato il seguente: avrebbe errato la corte territoriale nell’accogliere l’appello incidentale della Geodis Zust Ambrosetti, affermando che la domanda della ricorrente verso di essa non era riproponibile in appello, nonostante che – ad avviso della ricorrente – la domanda in questione fosse stata accolta dal giudice di prime cure, e quindi logicamente non doveva essere riproposta in appello ex art. 346 c.p.c.; inoltre l’attuale ricorrente come appellante aveva citato davanti alla corte territoriale Geodis Zust Ambrosetti, manifestando così la sua volontà di riproporre la domanda nei suoi confronti.

In realtà, il giudice d’appello ha rilevato che sia dalla comparsa di risposta della Rinieri sia dal suo atto di chiamata in causa della Geodis Zust Ambrosetti emerge che quest’ultima fu chiamata in causa soltanto per “sentirsi dichiarare tenuta a manlevare Rinieri s.r.l. per tutto quanto eventualmente quest’ultima dovesse essere condannata a pagare in relazione ai fatti oggetto della sentenza”. E quindi ha correttamente richiamato la giurisprudenza di legittimità per cui l’estensione automatica della domanda attorea al terzo chiamato in causa dal convenuto si verifica solo quando il convenuto assume la propria carenza di legittimazione passiva, legittimazione che spetterebbe al terzo, e non invece nel caso di chiamata in causa del terzo in manleva: da ciò la corte territoriale ha tratto la non ricorrenza di una fattispecie di automatica estensione nel caso in esame. Alla conclusione di questo percorso il giudice d’appello aggiunge: “Va altresì rilevato che la Rinieri non ha riproposto col suo atto d’appello la domanda di manleva e ciò comporta anche l’assorbimento dell’eccezione di prescrizione” ex art. 2951 c.c.

Dunque il giudice d’appello non ha dichiarato che la domanda verso Geodis Zust Ambrosettì della ricorrente non era riproponibile in appello, bensì che non era stata riproposta. E, a proposito della pretesa violazione dell’art. 346 c.p.c., è il caso di rilevare che è in esame una situazione processuale del tutto differente da quella su tale norma fondata da un recentissimo intervento delle Sezioni Unite (S.U. 19 aprile 2016 n.7700: “In caso di rigetto della domanda principale e conseguente omessa pronuncia sulla domanda di garanzia condizionata all’accoglimento, la devoluzione di quest’ultima al giudice investito dell’appello sulla domanda principale non richiede la proposizione di appello incidentale, essendo sufficiente la riproposizione della domanda ai sensi dell’art. 346 c.p.c.”): qui non si tratta di proposizione di un appello incidentale, bensì di omessa proposizione della domanda nell’appello principale.

Quanto poi afferma la corte territoriale a proposito della estensione automatica della domanda attorea al terzo chiamato dal convenuto è, come già si è accennato, del tutto conforme con la giurisprudenza di questa Suprema Corte (v. per tutti la recentissima Cass. sez. 2, 27 aprile 2016 n. 8411 – la quale conferma il precedente orientamento nel senso che “il principio dell’estensione automatica della domanda dell’attore nei confronti del terzo chiamato in causa dal convenuto opera solo quando tale chiamata sia effettuata dal convenuto per ottenere la sua liberazione dalla pretesa attorea, individuandosi il terzo come l’unico obbligato nei confronti dell’attore, in posizione alternativa con il convenuto ed in relazione ad un unico rapporto, mentre non opera in caso di chiamata in garanzia impropria, attesa l’autonomia dei rapporti – e Cass. sez.3, 5 marzo 2013 n. 5400 – per cui, appunto, se il convenuto chiama in causa un terzo indicandolo come il soggetto tenuto a rispondere della pretesa attorea, la domanda dell’attore si estende automaticamente al terzo, anche in difetto di un’apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario, cosa che non si verifica invece nel caso di chiamata del terzo in garanzia per l’autonomia sostanziale trai due rapporti, per quanto confluiti in un unico processo -). Poichè allora, nel caso in esame Geodis Zust Ambrosetti è stata chiamata in manleva, come osserva il giudice d’appello, risulta infondata l’argomentazione del ricorrente nel senso della estensione automatica. E il profilo, infine, della prescrizione – che la ricorrente ha inserito sempre in questo motivo – è del tutto irrilevante perchè, come si è visto, correttamente la corte territoriale ha ritenuto che la domanda di Rinieri verso Geodis Zust Ambrosetti – in relazione alla quale sarebbe stata da considerare la prescrizione, quale eccezione contraria alla domanda – non è stata riproposta in appello e quindi non rientra nel thema decidendum devoluto.

Sotto ogni profilo, dunque, il sesto motivo, anche qualora lo si ritenesse ammissibile, non presenta alcuna consistenza.

3.7 Il settimo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e/o omessa motivazione su fatto decisivo e controverso, riproponendo, peraltro, sostanzialmente quanto era già stato addotto con il precedente motivo.

Avrebbe errato la corte territoriale nel ritenere sussistenti due distinte domande: la domanda principale degli attori nei confronti della attuale ricorrente e la domanda di garanzia di quest’ultima nei confronti di Geodis Zust Ambrosetti. Si sarebbe trattato, invece, di un’unica domanda basata sullo stesso titolo: Rinieri s.r.l. avrebbe chiamato in causa Geodis Zust Ambrosetti per lo stesso rapporto dedotto dall’attore, chiedendo l’esclusione della propria responsabilità per essere Geodis Zust Ambrosetti l’autrice del fatto illecito unica causa dell’evento. Non sarebbe stata effettuata, pertanto, una chiamata in garanzia, e avrebbe errato il giudice d’appello nel qualificare garanzia impropria il rapporto tra Rinieri e Geodis Zust Ambrosetti. Pertanto, la domanda di C.- L. dovrebbe essere estesa automaticamente a Geodis Zust Ambrosetti senza necessità di apposita istanza. Anche se fosse stata, poi, domanda di garanzia impropria, non ne sarebbe decorsa la prescrizione, perchè Geodis Zust Ambrosetti sarebbe stata chiamata in causa per lo stesso petitum e la stessa causa petendi, per cui sarebbe applicabile la prescrizione quinquennale e non quella dell’art. 2951 c.c.

Questa sintesi è già di per sè sufficiente a dimostrare che vale anche per il settimo tutto quel che si è osservato in ordine al sesto motivo.

3.8 L’ottavo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e/o omessa motivazione su fatto decisivo e controverso.

A C.M. sarebbe stato liquidato danno patrimoniale derivante per Euro 250.000 dalla necessità in futuro di assistenza ed altresì derivante dalla necessità di rimuovere le barriere architettoniche. Ma l’attuale ricorrente nella conclusionale dell’appello aveva addotto che l'(OMISSIS) L.A. era deceduto. Pertanto la corte territoriale avrebbe dovuto riformare il quantum, ricalcolandolo, in considerazione della durata effettiva e non presunta della vita di L.A., in Euro 126.336. Inoltre il riconoscere un danno morale soggettivo di Euro 100.000 alla C. costituirebbe duplicazione di risarcimento, per congiunta attribuzione di danno biologico e danno morale, tanto più in un caso che difetterebbe tipicità perchè non previsto dalla legge come reato; e il danno esistenziale costituirebbe superfetazione e duplicazione.

Dato atto che il motivo viene rubricato esclusivamente come denuncia di inizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve osservarsi che il giudice d’appello – dopo avere rammentato nella descrizione dello svolgimento del processo che all’udienza di precisazione delle conclusioni del 27 febbraio 2013 era stato dichiarato dal difensore di L.A. il suo decesso e si erano contemporaneamente costituiti gli eredi, venendo comunque la causa trattenuta in decisione previa appunto precisazione delle conclusioni come nell’epigrafe della sentenza – affronta espressamente la questione del preteso ricalcolo delle spese di assistenza. E lo fa prendendo le mosse dal fatto che proprio nella comparsa conclusionale Rinieri rilevava che il decesso era avvenuto l'(OMISSIS), per cui le spese di assistenza avrebbero dovuto essere ridotte in riferimento al periodo di effettiva esistenza, inferiore a quella presunta su cui si sarebbe basato il calcolo del primo giudice. Sempre in conclusionale – rileva ancora il giudice d’appello – l’appellante principale aveva contestato l’importo di Euro 100.000 liquidato alla C. quale danno morale in quanto costituente duplicazione.

Per la questione, allora, della quantificazione del danno da assistenza, il giudice d’appello rimarca che nella sentenza di primo grado era stato specificato che il danno da assistenza per Euro 250.000 veniva riconosciuto alla C. per l’assistenza prestata nel “periodo intercorso dal giorno del sinistro ad oggi” (si ricordi che la sentenza di primo grado è stata emessa nel 2009, cioè ben nove anni dopo il tragico fatto): ovvia, pertanto, nella sua fondatezza è la conseguente deduzione della corte territoriale sulla irrilevanza del successivo decesso dell’assistito, ovvero sulla assoluta infondatezza della pretesa dell’appellante principale, a prescindere dalla sua tardività. Che vi sia stata, dunque, omessa motivazione è insostenibile. Per di più, la doglianza sembra ignorare gli specifici dati con cui il giudice d’appello aveva confutata la pretesa che, in sostanza, ripropone. Questa censura quindi non ha consistenza.

Per quanto concerne, poi, il danno morale, la corte territoriale osserva che “si tratta di una questione nuova, non sollevata con l’atto di appello, e quindi inammissibile”. Anche in questo caso il ricorrente sembra ignorare la specifica confutazione della sua pretesa operata dal giudice d’appello: dunque pure questa parte del motivo è inconsistente. Per di più le considerazioni sul danno morale di Euro 100.000 sono generiche e fattuali. E’ del tutto ovvio, poi a parte che è estranea la questione a un vizio motivazionale -, che non vi è duplicazione nel riconoscimento da un lato del danno morale e dall’altro del danno biologico, e che non è necessario per consentire il riconoscimento dei danno morale che sia stato esperito un giudizio penale: del tutto infondato è l’asserto che nel caso di specie non vi sarebbe un fatto previsto dalla legge come reato, trattandosi evidentemente di lesioni personali colpose. E se si lamenta il riconoscimento dell’importo di Euro 100.000 per danno biologico e danno morale, non si vede la pertinenza della argomentazione sul danno esistenziale.

Tutto il motivo, in conclusione, non ha alcun pregio.

3.9 Il nono motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mancanza e insufficienza di motivazione: avrebbe errato il giudice d’appello a proposito degli interessi compensativi, che non sarebbero dovuti perchè del credito di risarcimento di danno non sarebbero provate certezza e definitività, qualità che non avrebbero conferito al risarcimento del danno le statuizioni della sentenza, dal momento che l’appello riguardava principalmente an oltre al quantum. Pertanto riconoscere i suddetti interessi avrebbe integrato una ingiusta duplicazione risarcitoria, non ricorrendo il requisito della liquidità, e l’appello incidentale sul punto avrebbe dovuto essere respinto.

Errata sarebbe la sentenza anche laddove accoglie l’appello incidentale sull’omessa pronuncia sulle spese delle c.t.u. dinamica e medico-legale, che dovrebbero secondo il giudice d’appello seguire la soccombenza. In realtà la soccombenza dovrebbe riguardare la causa nel suo insieme, onde sarebbe totalmente vittoriosa la parte la cui domanda sia stata totalmente accolta. Nel caso di specie, sarebbe stata accolta parzialmente per il riconoscimento di una quota di responsabilità di L.A. nella causazione del danno. Ed erra il giudice d’appello anche perchè l’attività del c.t.u. è nell’interesse comune di tutte le parti e il principio di soccombenza opera solo nei rapporti tra le parti e non nel rapporto con l’ausiliare del giudice. L’appello Incidentale andava pertanto respinto.

Pure questo motivo offre nella sua rubrica una errata qualificazione di denuncia dì vizio motivazionale; e non appare conservativamente riqualificabile perchè vive di una commistione di vizio motivazionale, di violazione di norma sostanziale (sulla asserita non debenza degli interessi compensativi) e di violazione delle norme sulla soccombenza. Non ha dunque raggiunto il livello di specificità richiesto dalla legge, per cui deve dichiararsi inammissibile. Meramente ad abundantiam si osserva che la corte territoriale ha ben motivato sulla spettanza degli interessi compensativi, con corretto riferimento alla giurisprudenza di legittimità (cita, tra l’altro, la fondamentale S.U. 17 febbraio 1995 n. 1712), e che quanto adduce la ricorrente sulle spese delle c.t.u., e cioè che al riguardo non incide la soccombenza, è ictu oculi insostenibile.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione ai controricorrenti delle spese processuali, liquidate come da dispositivo in considerazione delle concrete posizioni processuali di ciascuno di essi. Sussistono D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit.- art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rifondere ai controricorrenti C.M., L.M., L.D. e L.L. le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 8600, di cui Euro 200 per esborsi, oltre gli accessori di legge; condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente Geodis Zust Ambrosetti S.p.A. le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 8600, di cui Euro 200 per esborsi, oltre gli accessori di legge; condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente Unipol Assicurazioni S.p.A. le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 7200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre gli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2016

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