Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21095 del 07/08/2019

Cassazione civile sez. trib., 07/08/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 07/08/2019), n.21095

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22361-2016 proposto da:

NUOVO MILLENIO SOCIETA’ COOPERATIVA EDILIZIA A RL, domiciliato in

ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentano e difeso dall’Avvocato MARIA ESPOSITO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MARANO NAPOLI, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DI TOR

FIORENZA 56, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO DI GIORGIO,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1769/2016 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

deposi-zata il 24/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La società Nuova Millennio (soc. coop. Edilizia) ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza n. 1769/2016, depositata il 24.02.2016, della Commissione tributaria regionale della Campania, la quale respingeva l’appello da essa proposto avverso la decisione della CTP di Napoli, sul presupposto che la decadenza dal vincolo imposto con il PRG e la mancata redazione dei piani attuativi non determinavano automaticamente la perdita del carattere di edificabilità dell’area, con la conseguente legittimità dell’applicazione delle aliquote Ici dell’anno 2007, approvate con delibera del c.c. n. 308/2006 e di Giunta n. 84/2007.

II Comune di Marano di Napoli resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

2.Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2; del D.L. n. 2003 del 2005, art. 11, comma 14; nonchè del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), censurando la sentenza di appello contemporaneamente per motivazione illogica e insufficiente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4). Per avere il decidente omesso di considerare che l’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’area impone di tener conto quale base imponibile della maggiore o minore attualità delle potenzialità edificatorie e, pertanto, della presenza di vincoli o destinazioni urbanistiche che condizionano in concreto l’edificabilità del suolo; l’quali pur non sottraendo l’area al regime fiscale proprio dei suoli edificabili,ò costituiscono elementi che incidono sulla valutazione del relativo valore venale, dunque della base imponibile.

Sostiene al riguardo la società ricorrente che il valore venale dell’area è prossimo allo zero, sia per l’assenza di piani attuativi sia per la decadenza del PRG, come attestato dal comune secondo il quale “ai sensi del D.Lgs. n. 327 del 2001, art. 9, il vincolo imposto con l’approvazione dello strumento urbanistico era decaduto con la conseguenza che la zona in oggetto (C4) era soggetta alla disciplina di cui all’art. 9 cit.”, il cui disposto consente solo interventi sui singoli immobili già costruiti ovvero, fuori dai centri urbani, consente gli interventi di nuova edificazione nel limite della densità massima fondiaria dello 0,03 metri cubi per metro quadro.

3. Con la seconda e con la terza censura lamenta la ricorrente, sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5), la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, per avere il decidente impedito al contribuente di fornire la prova dell’inidoneità dei criteri applicati con delibera regolamentare del comune; gravandolo, di conseguenza, dell’onere di provare l’inedificabilità dell’area in questione ed impedendogli di comprovare l’incongruenza dei valori applicati dall’ente, in maniera generale ed astratta, rispetto al valore venale in comune commercio dell’area di sua proprietà.

4.La prima censura è fondata, assorbite le altre.

5. La decadenza del PRG, giusta il principio affermato dalle sezioni unite (SSUU 25506/06 e successivamente più volte ribadito: v. Cass.5161/14), non può costituire motivo idoneo per negare la natura edificatoria dello stesso, nonostante la decadenza del PRG.

L’utilizzabilità a scopo edificatorio deve essere riguardata come qualità derivata al fondo dagli “strumenti urbanistici generali o attuativi”, ovverosia dalla sua inclusione in una determinata “zona urbanistica”, con conseguente irrilevanza dell’inutile decorso del “quinquennio di validità del vincolo finalizzato alla realizzazione dell’opera pubblica”, il quale non ha alcuna influenza perchè (Cass., 1, 12 ottobre 2007 n. 21434) tal fatto non determina la regressione dell’area interessata all’eventuale anteriore destinazione agricola. Per la L. 19 novembre 1968, n. 1187, art. 2, comma 1, (abrogato dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 58, a decorrere dal 30 giugno 2003, ai sensi del D.L. 20 giugno 2002, n. 122, art. 2,convertito, con modificazioni, in L. 1 agosto 2002, n. 185), invero, “perdono ogni efficacia” (“qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati”) unicamente “le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che comportino l’inedificabilità”: la norma, cioè, non commina tout court la perdita di “efficacia” (in conseguenza delle omissioni indicate nella stessa) del c.d. vincolo ma soltanto per quella “parte” delle “indicazioni di piano regolatore generale” che “incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che comportino l’inedificabilità”.

Secondo il condivisibile orientamento della giurisprudenza amministrativa maggioritaria (Cons. Stato: 5, 9 maggio 2003n. 2449; 4, 17 luglio 2002 n. 3999; 5, 4 agosto 2000 n. 4314; 4, 4 novembre 1998 n. 1810, ex multis),, infatti, le zone urbanistiche interessate dalla inefficacia del vincolo urbanistico per scadenza del quinquennio, in assenza della pur possibile reiterazione dello stesso (Cass. 31 marzo 2008 n. 8384) – avendo la Corte Costituzionale affermato (sentenze 22 dicembre 1989 n. 575 e 20 maggio 1999 n. 179) essere “propria della potestà pianificatoria la possibilità di rinnovare illimitatamente nel tempo i vincoli su beni individuati, purchè, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, risulti adeguatamente motivata in relazione alle effettive esigenze urbanistiche” e sempre che “il vincolo” non “venga protratto a tempo indeterminato senza la previsione di indennizzo” (ora considerato dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 39) -, sono soggette alla disciplina delle c.d.. “zone bianche”, ovverosia alla disciplina “di cuì alla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 4, u.c.” il quale – “ferma restando l’utilizzabilità economica del fondo, in primo luogo a fini agricoli” – “configura” pur sempre, anche se “a titolo provvisorio”, un “limitato indice di edificabilità”(cfr. (Cass., 1: 6 settembre 2003 n. 14333; 6 novembre 1998 n. 11158; Cass. n. 10708/2014).

Nonostante la decadenza del vincolo, quindi, il terreno incluso dal PRG in zona ò considerata edificatoria conserva tale qualità, sia pure in misura ridotta, anche ai fini dell’ICI (Cass.n. 25676/2008; Cass. n. 11433/2010; Cass. n. 16485/2016). Segnatamente, la decadenza del vincolo e le peculiari caratteristiche dell’area compresa in zona qualificata edificabile dal PRG producono effetti esclusivamente ai fini della determinazione del loro “valore… venale in comune commercio” che il comma 5 di detto art. 5 impone di considerare come “base imponibile”; in questa ipotesi, opera la disciplina prevista per le cd. aree bianche di cui alla L. n. 10 del 1977, art. 4, u.c., la quale, peraltro, non comporta un automatico riconoscimento della natura edificabile dell’area occupata, dovendo essere apprezzata la ricorrenza di tale carattere in base al criterio dell’edificabilità di fatto, che impone un metodo di valutazione incentrato sulla verifica della funzionalità dell’area in termini di naturale ed armonico completamento di quelle, ad essa contigue, che siano destinate all’edificazione in base alle scelte legislative ed a quelle pianificatorie dei comuni (12268/2016; n. 9488/2014; n. 7251/2014).

Nella fattispecie al vaglio, occorrerà valutare l’esistenza (o meno) di un’effettiva e plausibile edificabilità “di rango legale” (per così dire), in quanto fondata su di un’espressa disposizione di legge (art. 9 TU n. 380 del 2001); un’edificabilità insomma attribuibile alla “zona bianca” (al di là e prescindendo da qualunque previsione contenuta in strumenti urbanistici) in quanto desumibile dalla sia pure scarna disciplina normativa dei possibili interventi urbanistici realizzabili ed avente caratteristiche tutte peculiari, in quanto utilizzabile solo alle espresse condizioni di legge, a contenuto “predeterminato” e modalità “condizionate”.

La normativa citata, nello specifico, consente fuori dal perimetro dei centri abitati, gli interventi di nuova edificazione nel limite della densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro e, in caso di interventi a destinazione produttiva, la copertura della superficie fino a un decimo dell’area di proprietà, salvi limiti più restrittivi fissati dalle leggi regionali. Al comma 2 aggiunge che sono altresì consentiti gli interventi di ristrutturazione edilizia e in particolare gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. In tale ambito di ristrutturazione sono ricompresi anche gli interventi di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica.

Pertanto, nelle c.d. zone bianche è legittimo un intervento di ristrutturazione e di trasformazione degli organismi edilizi.

Tale principio impone di cassare la sentenza impugnata e di rinviare la causa a sezione della stessa Commissione Tributaria Regionale diversa da quella che ha emesso detta decisione affinchè riesamini l’appello del contribuente alla luce dell’affermato principio e provveda anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie H primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;

cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2019

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