Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21088 del 16/09/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Ord. Sez. 6 Num. 21088 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: GARRI FABRIZIA

ORDINANZA
sul ricorso 23960-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO
RICCI, CLEMENTINA PULLI, giusta procura speciale in calce al
ricorso;

– ricorrente contro
LAURENZA GIUSEPPINA,
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati —

Ce353.

Data pubblicazione: 16/09/2013

avverso la sentenza n. 6244/2010 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI dell’1.10.2010, depositata il 20/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23/05/2013 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;
udito per il ricorrente l’Avvocato Emanuela Capannolo (per delega

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MARCELLO
MA” 1ERA che si riporta alla relazione scritta.

FATTO E DIRITTO
La Corte d’appello di Napoli ha accolto l’appello proposto da
Giuseppina Laurenza e ha dichiarato il diritto dell’ invalida all’ assegno
di assistenza ex art. 13 della 1. n. 118 del 1971 a decorrere dal 1.8.2003
e fino alla data del compimento del sessantacinquesimo anno di età
rilevando, quanto al requisito dell’incollocamento che l’avvenuto
superamento del sessantesimo anno di età al momento della
presentazione della domanda esonerava l’invalida dall’obbligo di
iscrizione.
Ha poi ritenuto provato il requisito reddituale per gli anni 2003/2005
sulla base dei dati risultanti dalla certificazione dell’Agenzia delle
Entrate depositata in giudizio.
Per la cassazione della sentenza ricorre l’INPS sulla base di due
motivi.

Con il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione
dell’art. 13 della 1. n. 118/1971, degli artt. 1, 6,8 e 22 della 1. n. 68 del
12.3.1999 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3.

Ric. 2011 n. 23960 sez. ML – ud. 23-05-2013
-2-

avv. Mauro Ricci) che Si riporta agli scritti.

Rileva l’Istituto che nel periodo di tempo intercorrente tra il
cinquantacinquesimo anno di età ed il sessantacinquesimo, l’invalida è
comunque tenuta a provare il suo stato di in collocazione, elemento
costitutivo della prestazione, seppure ricorrendo a presunzioni.

Con il secondo motivo di ricorso, poi viene denunciata la violazione e
falsa applicazione dell’art. 414,416,420 e 437 c.p.c. oltre che dell’art. 13
della 1. n. 118/1971 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma
1, n. 3 sul rilievo che la documentazione reddituale sarebbe stata
depositata tardivamente nel corso giudizio di appello (certificato del
23.6.2010) .
Tanto premesso, e così integrando la relazione depositata redatta a
norma dell’art. 375 c.p.c., si osserva che il primo motivo di ricorso è
fondato seppure per le seguenti ragioni.
La Corte territoriale pur richiamando la giurisprudenza di questa Corte
che definisce incollocati al lavoro quei lavoratori che siano iscritti nelle
liste del collocamento di cui alla 1. n. 482/1968 (o che abbiano
presentato la relativa domanda) e non siano stati avviati differenziando
così gli invalidi incollocati al lavoro da coloro che erano semplicemente
disoccupati, fa salvo il caso dell’invalida che avendo superato il
sessantesimo anno di età non sia più legittimata, come nella specie, a
presentare la domanda di iscrizione.
Osserva il Collegio che successivamente alle modifiche introdotte dalla
1. n. 68 del 1999, e prima dell’entrata in vigore della modifiche
apportate all’art. 13 della 1. n. 118/1971 (per effetto dell’entrata in
vigore dell’art. 1 co. 35 della 1. n. 247 del 2007), la ricorrente invalida al
74% che abbia compiuto il sessantesimo anno di età, ma non ancora il
sessantacinquesimo sia tenuta a dimostrare il proprio stato di
Ric. 2011 n. 23960 sez. ML – ud. 23-05-2013
-3-

Obbligo sussistente anche per le donne ultrasessantenni.

incollocamento offrendo la prova dell’iscrizione nell’elenco dei disabili
di cui alla L. n. 68 del 1999 o, almeno, di aver presentato la domanda
di iscrizione, e di non aver conseguito un’occupazione in mansioni
compatibili.
La L. n. 68 del 1999, art. 1, comma 1 non prevede più il limite dei

cinquantacinque anni ai fini dell’iscrizione nell’elenco speciale, in
quanto “non fa riferimento all’età pensionabile (diversificata tra gli
uomini e le donne secondo quanto indicato nella tabella A allegata al
D.Lgs. n. 503 del 1992) bensì all’età lavorativa, che i precetti
costituzionali di cui all’art. 3 Cost. e all’art. 37 Cost., comma 1, non
consentono di regolare per la donna in modo difforme da quello
previsto per gli uomini, e che, giusta il disposto del D.Lgs. n. 503 del
1992, art. 1, cornma 2, deve ritenersi fissata, per entrambi i sessi, a 65
anni”.
In tal senso si è espressa questa Corte con la sentenza n. 5085 del 2012
che ha enunciato il seguente principio di diritto a cui la Corte intende
dare continuità :”con riguardo al regime anteriore a quello del nuovo
testo della L. n. 118 del 1971, art. 13 introdotto con la L. n. 247 del
2007, art. 1, comma 35 in materia di diritto all’assegno mensile di
invalidità, nella vigenza della L. n. 68 del 1999, deve ritenersi
incollocato al lavoro l’invalido che, uomo o donna, essendo in età
lavorativa per non avere ancora compiuto il sessantacinquesimo anno
di età ed essendo iscritto (o avendo presentato domanda d’iscrizione)
nell’elenco dei disabili di cui alla L. n. 68 del 1999, non abbia
conseguito un’occupazione in mansioni compatibili”.

Solo con la modifica introdotta dall’art. 1, comma 35, della legge n. 247
del 2007, infatti, il requisito occupazionale è cambiato e non si
richiede più la “incollocazione al lavoro”, ma semplicemente lo stato di
Ric. 2011 n. 23960 sez. ML – ud. 23-05-2013
-4-

([;

inoccupazione, in quanto la legge individua il requisito in questi
termini: disabili “che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in
cui tale condizione sussiste”.

Tra i due concetti vi è una differenza, perché il disabile incollocato al

privo di lavoro, si è iscritto o ha chiesto di iscriversi negli elenchi
speciali per l’avviamento al lavoro. Ha cioè attivato il meccanismo per
l’assunzione obbligatoria.

Va però rilevato che la normativa dettata dalla legge 482 del 1968 è
stata totalmente modificata dalla legge n. 68 del 1999 la quale richiede
per l’iscrizione negli elenchi (ex art. 8 della legge 68/99), diversamente
da quanto era previsto in precedenza(presentazione di una domanda
munita della necessaria documentazione attestante la sussistenza dei
requisiti secondo l’interpretazione datane da Sez. U, Sentenza n. 203
del 10/01/1992), l’avvenuto esperimento di una fase preliminare volta
all’accertamento dei requisiti sanitari previsti dal primo comma
dell’art. 1 (minorazioni che comportino una riduzione della capacità
lavorativa superiore al 45%, o situazioni analoghe previste dalle
ulteriori lettere del medesimo articolo).
Per espressa previsione del quarto comma dell’art. 1, il diritto ad
accedere al sistema per l’inserimento lavorativo dei disabili (e quindi la
possibilità di fare la domanda di iscrizione nelle liste) sorge solo dopo
l’accertamento dei requisiti sanitari su indicati ad opera delle
commissioni mediche previste dall’art. 4 della legge 104 del 1992.
Questa fase è stata pertanto definita “rigorosamente propedeutica”
(Cass. 9502 del 2012). Se non viene esaurita, se la riduzione della
capacità lavorativa non è stata “accertata” (art. 1, primo e quarto
Ric. 2011 n. 23960 sez. ML – ud. 23-05-2013
-5-

lavoro non è semplicemente disoccupato: è il disabile che, essendo

comma, 1. 68/99) il disabile non può chiedere l’iscrizione nelle liste. E
la legge non fissa termini alla commissione medica per il suo
espletamento.
Poiché non sono fissati termini perché la commissione impieghi accerti
che il disabile presenta i requisiti sanitari per l’iscrizione negli elenchi e

per essere iscritto negli elenchi, perché quel diritto nasce solo a seguito
dell’accertamento positivo della commissione ed una domanda quando
l’accertamento ancora non è stato effettuato sarebbe inutile per il
disabile e dannosa per l’amministrazione, che dovrebbe esaminare e
congelare istanze in parte destinate a non avere seguito, al fine di dare
alla disciplina una interpretazione costituzionalmente orientata e
conforme al disposto dell’art. 38 Cost., seguendo l’insegnamento del
giudice delle leggi (cfr. Corte cost., sentenza n. 483 del 1995), si è
ritenuto che, ai fini della sussistenza del requisito dell’incollocazione al
lavoro, è sufficiente la prova della richiesta (non di iscrizione negli
elenchi, ma anche solo) di essere sottoposto agli accertamenti medici
da parte delle commissioni previste dall’art. 4 della legge 104 del 1992
(che, nel sistema della legge 68 del 1999, sono condizione necessaria
per poter chiedere l’iscrizione negli elenchi) (Cass. 9502/2012 cit.).
Inoltre il disabile dovrà comunque fornire anche la prova di non aver
lavorato in quel periodo. Tale prova, in giudizio, potrà essere data con
qualsiasi mezzo, anche mediante presunzioni. L’unico limite è
costituito dal fatto che non potrà essere fornita con una mera
dichiarazione dell’interessato, anche se rilasciata con formalità previste
dalla legge per le autocertificazioni, che può assumere rilievo solo nei
rapporti amministrativi ed è, invece, priva di efficacia probatoria in
sede giurisdizionale (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 25800 del
20/12/2010).
Ric. 2011 n. 23960 sez. ML – ud. 23-05-2013
-6-

sino a quel momento il disabile non ha diritto di proporre la domanda

Per le esposte considerazioni e, poiché tale accertamento è stato del
tutto omesso dalla Corte territoriale, il primo motive di ricorso
dell’Inps va accolto.
Quanto alla lamentata violazione delle disposizioni in tema di
tempestiva produzione dei documenti in giudizio, con riferimento, in

nel corso del giudizio di appello, oggetto del secondo motivo, si
rammenta che “nel rito del lavoro e, in particolare, nella materia della
previdenza e assistenza, caratterizzata dall’esigenza di contemperare il
principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale,
allorché le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine,
occorre che il giudice, anche in grado di appello, ex art. 437 cod. proc.
civ., ove reputi insufficienti le prove già acquisite, eserciti il potere dovere di provvedere di ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale
materiale probatorio e idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi
dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati
puntualmente allegati nell’atto introduttivo”; pertanto non è di
ostacolo all’ammissione anche d’ufficio delle prove, a condizione che
la prova “nuova”, disposta d’ufficio, costituisca espressione
dell’approfondimento, ritenuto indispensabile, di elementi probatori
già obiettivamente presenti nella realtà del processo (cfr. Cass.
5.11.2012 n. 18924 e 2379/2007).
Dalla lettura della sentenza si evince che che la parte in primo grado
aveva depositato documentazione attestanti i redditi dal 2003 e che la
certificazione dell’agenzia delle entrate del 2010 ne costituiva ulteriore
conferma. Pertanto si deve ritenere che la corte territoriale abbia
inteso, seppur implicitamente, ammettere la documentazione
nell’esercizio del potere attribuitole dalla legge diretto a vincere i dubbi

Ric. 2011 n. 23960 sez. ML – ud. 23-05-2013
-7-

particolare, alla tardività della documentazione reddituale depositata

residuati dalle risultanze istruttorie, ritualmente acquisite agli atti del
giudizio di primo grado. In tal senso la documentazione acquisita in
appello non costituisce “prova nuova” essendo stata acquisita d’ufficio
in quanto funzionale all’ indispensabile approfondimento degli

Per tale ragione non si pone una questione di preclusione o decadenza
processale a carico della parte né una violazione delle norme
richiamate (art. 414,416,420 e 437 c.p.c. oltre che dell’art. 13 della 1. n.
118/1971 e dell’art. 2697 c.c).
In conclusione il ricorso va accolto quanto al primo motivo, mente il
secondo motivo deve essere rigettato.
La sentenza va quindi cassata e rinviata alla Corte d’appello di Napoli
che provvederà agli accertamenti di merito in motivazione indicati ed
alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
PQM
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla
Corte d’appello di Napoli che provvedere anche sulle spese del
presente giudizio.
Così deciso in Roma il 23.5.2013

elementi già obbiettivamente presenti nel processo.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA