Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21088 del 13/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/10/2011, (ud. 05/05/2011, dep. 13/10/2011), n.21088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11497/2004 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

WORLD WIDE TOBACCO ITALIA SUD (W.W.T.I.S.) SRL;

– intimato –

sul ricorso 13883/2004 proposto da:

WORLD WIDE TOBACCO ITALIA SUD W.W.T.I.S. SRL in persona

dell’Amministratore unico e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA ANIENE 14, presso lo studio

SCIUME’, rappresentato e difeso dall’avvocato CIARAMELLA GIUSEPPE,

giusta delega a margine;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 28/2002 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 07/02/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale, inammissibile e in subordine rigetto ricorso incidentale.

Fatto

La controversia ha ad oggetto un avviso di rettifica della dichiarazione iva della Word Wide Tobacco Italia Sud s.r.l., relativa all’esercizio 1991, con il quale il competente ufficio finanziario ha recuperato l’imposta detratta dalla società mediante annotazione di fatture per operazioni inesistenti, emesse dalla Coop. La Terra.

La falsità delle fatture è stata accertata a seguito di verifica fiscale effettuata presso la cooperativa emittente, risultata priva dei mezzi necessari per la movimentazione di Kg 544.000 di tabacco prodotto.

La CTP ha rigettato il ricorso, avallando la tesi dell’ufficio.

La CTR invece ha accolto il ricorso della contribuente ed ha annullato l’avviso di accertamento, sul rilievo che lo stesso era basato sul p.v.c. redatto carico della Coop. La Terra e conosciuto dalla società soltanto successivamente.

Per la cassazione di quest’ultima decisione ricorre in via principale l’Agenzia delle Entrate unitamente al Ministero dell’Economia e delle Finanze, sulla base di un unico articolato motivo. La società resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale affidato, anche questo, ad un unico motivo.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

Preliminarmente, i due ricorsi proposti avverso la stessa sentenza, devono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c.. Inoltre il ricorso del Ministero, che non era parte nel giudizio di merito, è inammissibile e le relative spese vanno compensate non avendo determinato un aggravio difensivo per la parte resistente.

Ancora in via preliminare, va rigettata l’eccezione di inammissibilità per intempestività del ricorso principale, sollevata dalla società con la memoria difensiva. La difesa della società eccepisce che nelle controversie in materia d’iva, come quella odierna, non opera la sospensione dei termini prevista dalla Legge di Condono n. 289 del 2002, attesa la incompatibilità del condono iva con la normativa Europea. La questione è stata affrontata e risolta dalle SS.UU. di questa Corte, in senso contrario a quello sostenuto dalla parte privata. Si veda Cass. 3676/2010: “In tema di condono fiscale, la L. n. 289 del 2002, art. 16 nella parte in cui prevede la definizione delle liti pendenti e le relative condizioni, nonchè la sospensione dei termini di impugnazione, non comporta una rinuncia dell’Amministrazione all’accertamento dell’imposta (già effettuato e contestato nella sua legittimità), bensì la definizione di una lite in corso con il contribuente, in funzione della riduzione del contenzioso in atto, secondo parametri rapportati allo stato della lite al momento della domanda di definizione, garantendo la riscossione di un credito tributario incerto, sulla base di un trattamento paritario tra i contribuenti.

Esso, pertanto, nella parte in cui si riferisce alle controversie in materia di IVA, non può essere disapplicato per contrasto con la 6^ direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977. neppure a seguito della sentenza della Corte di Giustizia CE del 17 luglio 2008, in causa C-132/06, con la quale, in esito ad una procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea, è stata dichiarata l’incompatibilità con il diritto comunitario (in particolare con gli artt. 2 e 22 della 6^ direttiva cit.) degli artt. 8 e 9 della medesima Legge, nella parte in cui prevedono la condonabilità dell’IVA alle condizioni ivi indicate, dovendo tale pronuncia essere interpretata restrittivamente. (In applicazione del principio, la S.C. ha respinto l’eccezione di inammissibilità, per tardività, del ricorso per cassazione dell’Ufficio delle entrate, che aveva beneficiato della sospensione dei termini di impugnazione prevista dall’art. 16 cit., eccezione avanzata sul presupposto che l’articolo in questione avrebbe dovuto essere disapplicato “in toto”, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia)”.

Nel merito, va accolto il ricorso principale e va, invece, rigettato il ricorso incidentale della società, per i motivi che seguono.

La ricorrente parte pubblica denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 62 eccependo che la rettifica della dichiarazione può essere legittimamente effettuata sulla base di un p.v.c. redatto nei confronti di terzi, come si evince dal dettato del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3. Eccepisce altresì che la motivazione per relationem è legittima in linea di principio, che la questione è stata sollevata per la prima volta in appello e che comunque dagli atti difensivi della società emergeva chiaramente che la stessa era a conoscenza dei fatti contestati alla cooperativa.

Il motivo appare fondato. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è motivo di discostarsi, “In tema di accertamento dell’IVA, è legittimo l’avviso di rettifica motivato per relationem a un processo verbale di constatazione riferito a documenti rinvenuti presso terzi e resi conoscibili al contribuente, mediante l’allegazione del relativo prospetto riepilogativo. Da un lato, infatti, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 3, espressamente prevede che l’ufficio possa procedere a rettifica, indipendentemente dalla previa ispezione del contribuente, qualora l’esistenza di operazioni imponibili risulti da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, nonchè da altri atti e documenti in suo possesso, mentre non rilevano eventuali violazioni delle regole relative alla fase di accertamento perchè eventuali irregolarità possono essere fatte valere solo da chi ha subito l’accesso; dall’altro, l’avviso di accertamento, non richiede un’autonoma attività istruttoria, il cui svolgimento contrasterebbe con i principi di economicità ed efficienza dell’attività amministrativa, nonchè con le norme specifiche che, in materia tributaria, disciplinano l’istruttoria e la motivazione degli atti impositivi (della L. n. 212 del 2000, art. 12) e consentono all’Amministrazione di avvalersi dell’attività di altri organi (del D.P.R. n. 633 cit., artt. 51 e 52), (Cass. 13486/2009).

Peraltro, l’eccezione di carenza di motivazione dell’atto di rettifica non risulta formulata tempestivamente e, quindi, il giudice di appello non avrebbe dovuto tenerne conto. La società sostiene, nel controricorso, che l’eccezione sarebbe stata tempestivamente formulata mediante deposito di note difensive nel corso del giudizio di primo grado, così come previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 59. La norma citata, però, va letta nel contesto della legislazione vigente ed in particolare tenendo conto del disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 1, – che ha riformato totalmente il contenzioso tributario – in forza del quale il ricorso, corredato dei necessari motivi, deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla notifica dell’atto impugnato. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, “In materia di contenzioso tributario, il termine previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 1, per la proposizione del ricorso giudiziale avverso il provvedimento impositivo è.

per sua natura, di carattere perentorio, sicchè, venuto esso a scadenza, risulta irrilevante il successivo contegno del convenuto, stante l’imperatività ed indisponibilità delle norme in materia di decadenza. A tale stregua, la costituzione della parte convenuta, se ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3 può sanare vizi inerenti la notificazione dell’atto introduttivo, in quanto prova l’uguale raggiungimento dello scopo perseguito dalle norme che regolano tale notificazione, comunque non vale ad inficiare “a posteriori” la definitività del provvedimento impositivo, stante l’avvenuta perdita del diritto d’impugnarlo, venendo altrimenti detta costituzione sostanzialmente a tradursi in un’inammissibile ipotesi di rimessione in termini” (Cass. 11222/2002; conf. 12338/2006).

Non può trovare accoglimento il ricorso incidentale della società.

Questa denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, art. 2697 cod. civ. e art. 112 c.p.c., sostenendo che la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con il quale la società aveva denunciato la falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 da parte della CTP; denuncia formulata sul rilievo che il giudice di primo grado, acquisendo ex officio il p.v.c. redatto a carico della cooperativa emittente le fatture ritenute false, sarebbe incorso nel vizio di extra-petizione, realizzando anche una illegittima integrazione ex posi della motivazione dell’atto impugnato, alleviando in tal modo anche l’onere della prova dell’Ufficio.

In realtà, la CTR non si è pronunciata sulla eccezione della società soltanto perchè i giudici di appello hanno risolto a monte il problema, affermando la nullità dell’atto impositivo per carenza di motivazione, ritenendo quindi assorbita la questione della legittimità della istruttoria processuale. Quindi non c’è stata alcuna omessa pronuncia.

Inoltre, la CTR scrive, erroneamente, che prima di procedere alla notifica dell’accertamento, attraverso il quale l’Ufficio ha portato a conoscenza della società le contestazioni che la riguardavano, avrebbe dovuto procedere ad un autonomo controllo nei confronti della società stessa. Quindi, in punto di fatto, la stessa CTR, che pure accoglie il ricorso della società, da per pacifico che questa con l’atto di accertamento è venuta a conoscenza degli elementi necessari; soltanto che afferma erroneamente che sarebbe stato necessario l’ulteriore passaggio della verifica diretta nei confronti della contribuente. Ne deriva che l’attività svolta ai sensi dell’art. 7 del D.Lgs., di cui si duole la società,comunque è attività irrilevante perchè gli elementi della contestazione erano già noti alla società. In questo quadro processuale, l’attività svolta dalla CTP può essere servita soltanto ad integrare la conoscenza del giudice: la società è venuta a conoscenza dei fatti con l’atto di accertamento, l’Ufficio conosceva i fatti perchè sulla base del p.v.c. redatto a carico della cooperativa ha proceduto alla notifica dell’accertamento. Quindi, l’attività istruttoria svolta ex officio si pone nel quadro della attività consentite al giudice, in linea con l’insegnamento di questa Corte, secondo il quale “qualora la situazione probatoria sia tale da impedire la pronuncia di una sentenza ragionevolmente motivata senza l’acquisizione d’ufficio di un documento, l’esercizio di tale potere istruttorio si configura come un dovere” (Cass. 905/2006).

Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere cassata in conseguenza dell’accoglimento del ricorso principale. La Corte può decidere nel merito la causa ai sensi dell’art. 384 c.p.c., in quanto la tesi difensiva di merito della società, basata sulla eccepita inopponibilità del p.v.c. redatto a carico di terzi è priva di fondamento. Ne deriva che il ricorso introduttivo della società stessa deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo seguono la soccombenza. Le spese del giudizio di merito, invece, vanno compensate in considerazione del fatto che ciascuna delle parti è stata vittoriosa in uno dei due gradi.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle finanze e compensa le relative spese.

Accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente. Compensa le spese dei due gradi del giudizio di merito e condanna la società contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità a favore dell’Agenzia delle Entrate, liquidate in complessivi Euro 4000,00 (quattromila/00), oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2011

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