Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21086 del 22/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/07/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 22/07/2021), n.21086

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso n. 6036-2019 proposto da:

(OMISSIS) s.r.l., in liquidazione, in persona del liquidatore

pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, in VIA DEL CORSO n.

101, presso lo studio dell’avvocato MORMINO ENRICO MARIA, che la

rappresenta e difende, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO della GENZIA IPPICA di PADOVA, s.r.l., in liquidazione;

Procura della Repubblica presso il Tribunale di Mantova; Procura

Generale presso la Corte d’appello di Brescia; Procura Generale

presso la Corte di Cassazione, in persona dei rispettivi legali rapp

re s. p. t.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1185/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 06/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/01/2021 dal Consigliere relatore, Dott. CAIAZZO

ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza emessa il 16.11.17, il Tribunale di Mantova, su istanza del Pubblico Ministero, dichiarò il fallimento della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, osservando che: risultava dimostrata la grave situazione di dissesto della suddetta società alla luce della complessiva entità dei debiti che emergevano dalle informazioni della GdF, tra cui debiti verso l’erario e gli enti previdenziali, e dell’inattività della medesima società dal giugno 2015; la situazione patrimoniale riepilogativa al 31.7.17 evidenziava uno squilibrio fra poste attive e passive con una perdita d’esercizio pari a Euro 370.475,90.

Avverso tale sentenza propose appello la società fallita, contestando l’esistenza di indici rivelatori dello stato d’insolvenza, sia perché la cessazione dell’attività era stata determinata da motivi indipendenti dalla stessa società, sia perché pendevano due giudizi l’esito dei quali avrebbe potuto avere rilevanti ripercussioni in ordine alla riduzione del debito e all’acquisizione di risorse per pagare i creditori.

Con sentenza emessa il 6.7.18, la Corte d’appello di Brescia respinse il reclamo, rilevando che: il fallimento era stato dichiarato sulla base di ingenti debiti verso banche e fornitori per oltre un milione di Euro, a fronte di una cassa irrisoria e crediti complessivi per Euro 430.000,00 circa, ed immobilizzazioni in bilancio dal valore di Euro 703.973,00; tali dati non erano stati contestati dalla società reclamante, la quale si era limitata a dedurre che essi con costituissero indizi gravi, precisi e concordanti dell’insolvenza; pur tenendo conto dei pagamenti a favore dei dipendenti eseguiti dopo la messa in liquidazione, dalla situazione patrimoniale al 31.7.17, in mancanza dei bilanci depositati per gli esercizi successivi al 2014, emergeva l’iscrizione di debiti per circa 1.265.752.09, mentre risultavano importi molto inferiori per le attività, relativamente a crediti di cui non era stata chiarita l’esigibilità e la fruttuosità, per una perdita d’esercizio pari a Euro 370.475,90; pertanto, il marcato sbilancio tra attivo e passivo era indice chiaro dell’insolvenza per la società in liquidazione; il credito invocato per Euro 721.000,00 circa era stato dichiarato nullo dalla Corte d’appello di Roma, con sentenza emessa nel 2013, mentre l’altro credito d’imposta per circa Euro 252.000,00 era oggetto di accertamento giudiziario; tali crediti contestati in giudizio non potevano comunque essere considerati elementi del patrimonio societario e, dunque, utilizzabili per far fronte ai debiti.

L'(OMISSIS) ricorre in cassazione con due motivi, illustrati con memoria.

Non si sono costituite le parti intimate.

Diritto

RITENUTO

Che:

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 5 L. Fall., art. 1988 c.c., e art. 3 Cost., per aver la Corte territoriale escluso che gli elementi attivi del patrimonio sociale avrebbero consentito l’integrale soddisfacimento dei creditori sociali, con specifico riguardo ai crediti vantati, senza la necessità dell’accertamento definitivo giudiziario, non tenendo conto del fatto che, in ordine al credito oggetto del lodo annullato per difetto di giurisdizione, le parti avevano redatto un accordo transattivo, ancorché non perfezionato, che aveva natura di ricognizione del debito a favore della società poi fallita.

Il secondo motivo deduce la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, poiché la Corte territoriale aveva motivato in maniera illogica e contraddittoria.

Il collegio ritiene che la causa sia da rinviare alla pubblica udienza.

Alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte, quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’accertamento dello stato d’insolvenza, deve essere effettuata con riferimento alla situazione esistente alla data della sentenza dichiarativa del fallimento, e deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte (Cass., n. 24660/2020).

Quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 L. Fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte (Cass., n. 25167/16; n. 19414/17). La stessa ricorrente, nella memoria, richiama giurisprudenza circa la possibilità che la società in liquidazione disponga di elementi attivi del patrimonio di facile realizzo (Cass., n. 1166/17; n. 6550/01).

Nel caso concreto, la difesa della ricorrente ha eccepito che la Corte d’appello, ai fini dell’esame dello squilibrio patrimoniale, non avrebbe considerato le immobilizzazioni iscritte in bilancio al valore di Euro 703.973,00, pur avendo richiamato le stesse nell’esposizione dei fatti di causa, e che la liquidazione di tali beni avrebbe potuto precludere lo stato d’insolvenza e la conseguente dichiarazione di fallimento.

Appare, pertanto, che la causa presenti profili di complessità, afferenti alla valutazione delle immobilizzazioni iscritte in bilanci ai fini dello scrutinio sullo squilibrio patrimoniale di società in liquidazione, che ne rendano opportuna la rimessione alla pubblica udienza.

P.Q.M.

La Corte rinvia la causa alla pubblica udienza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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