Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21086 del 13/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/10/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 13/10/2011), n.21086

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10969/2005 proposto da:

COGEI SRL in persona del legale rappresentante e Amministratore unico

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43,

presso lo studio dell’avvocato D’AYALA VALVA Francesco, che lo

rappresenta e difende, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI FORMIA in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 9, presso lo studio

dell’avvocato VARONE Pasquale, che lo rappresenta e difende, giusta

delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 48/2004 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 31/03/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato D’AYALA VALVA, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato VARONE, che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società COGEI s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale del Lazio n. 48/40/04 del 20/02/2004 dep. il 31/04/2004 che aveva accolto l’appello del Comune di Formia avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Latina che aveva accolto il ricorso della contribuente avverso l’avviso di accertamento e applicazione sanzioni per ICI relativa all’anno 1996.

La ricorrente affida il ricorso a cinque motivi fondati su violazione di legge e vizio motivazionale.

Il Comune di Formia si è difeso con controricorso.

Con memoria ex art. 378 c.p.c., la società contribuente ha invocato il giudicato formatosi in ordine alle annualità 1998 e 1999 in base alle sentenze nn. 356-357/2/03 del 25/09/2003 depositate il 13/11/2003 della CTP di Latina non impugnate dal Comune.

Rinviata la causa a nuovo ruolo in attesa della decisione sulla questione, pendente dinanzi alle SS.UU., relativa alla deducibilità in cassazione del giudicato esterno non dedotto in appello, la causa veniva nuovamente rimessa alla decisione in pubblica udienza e venivano presentate ulteriori memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

E’ di preliminare esame il primo motivo con cui la società deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11 comma 3, dell’art. 75 c.p.c. del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 6, anche in combinato disposto con il medesimo D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50, comma 3; in particolare, assume che, essendo la rappresentanza legale del Comune affidata al Sindaco ed essendo indelegabile, in quanto il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 6, allorquando prevede che lo Statuto stabilisce i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente anche in giudizio non atterrebbe alla individuazione del soggetto legittimato a rappresentare il Comune(che è sempre il Sindaco) bensì aspetti diversi (per. es. le autorizzazioni). Pertanto il ricorso mancherebbe della indicazione del soggetto legittimato a rappresentare il Comune, avendo in sostanza la Giunta delegato un potere indelegabile a soggetto che non poteva ricevere la delega.

Il motivo è infondato.

Il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 11, comma 3, prevedeva che:

“L’ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso sta in giudizio mediante l’organo di rappresentanza previsto dal proprio ordinamento”.

Tale disposizione, conforme nella sostanza alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, in ordine alla cui interpretazione sono intervenute le SS.UU. con sentenza n. 12868/2005 circa i poteri dello Statuto in ordine alla rappresentanza del sindaco (giurisprudenza tuttora valida per il giudizio di cassazione v. Cass. n. 6727/2007), è stata sostituita dal D.L. 31 marzo 2005, n. 44, art. 3 bis, comma 1, convertito con modificazioni nella L. 31 maggio 2005, n. 88, in vigore dal 1 giugno 2005 (ma applicabile ai processi in corso ai sensi del comma 2 del citato articolo) in base al quale “l’ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, ovvero per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio”.

Tale dirigente, cui compete la rappresentanza del comune nel giudizio di merito, può anche delegare un funzionario dell’unità organizzativa da lui diretta a sottoscrivere e presentare l’impugnazione, con apposita determinazione dirigenziale, quale assistente dell’ente locale ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 25, comma 2 bis (Cass. SS.UU. n. 5463/2004 e Cass. n. 15639/2004) dovendosi ritenere che quanto affermato in tali pronunce, anteriori alle modifiche normative sopra citate, con riferimento al delegato dal sindaco, debba ugualmente valere ora nei confronti del dirigente abilitato a rappresentare il Comune (V. Cass. n. 13230/2009).

Essendo il processo pendente al 1 giugno 2005, la disposizione in esame si applica.

Invero la formula usata dal legislatore “anche ai giudizi in corso..” dimostra che detta disposizione si applica ai casi in cui, pendente il processo, la costituzione dell’ente sia avvenuta prima della entrata in vigore della legge medesima, con valore sanante ex tunc di violazioni della precedente normativa.

Una diversa interpretazione che limitasse l’applicabilità della disposizione ai processi pendenti limitatamente alla costituzione che avvenga nel grado di giudizio successivo alla data di entrata in vigore della legge, priverebbe di ogni senso la norma, attesocchè, in base a principi che regolano la successione nel tempo delle leggi processuali, la modifica sarebbe comunque applicabile, senza alcuna necessità di una norma specifica al riguardo(Cass. n. 14637/2007, Cass. n. 13320/2009).

Pertanto, nel caso in esame, se, con la precedente normativa e la superiore interpretazione giurisprudenziale, la possibilità di delegare la rappresentanza del Comune occorreva che fosse prevista dallo Statuto, la nuova normativa riconosce in capo al funzionario tale rappresentanza, a prescindere da delega che diventa irrilevante.

(Così, in caso analogo, Cass. n. 7093/2010). Deve essere poi esaminata, sempre in via preliminare, la questione del dedotto giudicato favorevole formatosi sulle annualità 1998, 1999 con le sentenze sopracitate, con cui erano stati accolti i ricorsi avverso gli avvisi di accertamento in ordine alle quali il Comune s’era avvalso delle risultanze della medesima consulenza utilizzata anche per l’annualità ora in esame.

La questione è ammissibile in questa sede, anche alla luce della sentenza delle SS.UU. n. 21493/2010 (che ha confermato precedente indirizzo circa la impugnabilità col solo giudizio di revocazione della sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità del giudicato formatosi nel corso del medesimo giudizio e la cui esistenza non sia stata eccepita nel corso dello stesso) in attesa della quale era stato disposto rinvio con ordinanza del 24/02/2010, essendo divenuto incontroverso in base ai chiarimenti di cui alla seconda memoria della contribuente, non contestata sul punto nella ulteriore memoria del Comune, che le sentenze invocate (depositate entrambe il 13/11/2003) sono passata in giudicato successivamente alla emissione della sentenza ora impugnata (pronunciata il 20/02/2004), per decorso del termine lungo di impugnazione, non essendo state notificate, non risultando dalla attestazione di Cancelleria la data del passaggio in cosa giudicata delle sentenze medesime.

Nel merito è, però, infondata.

Questa Corte (SS.UU. n. 13916/2006) ha ritenuto che “l’autonomia delle obbligazioni d’imposta relative a periodi diversi vale solo a negare la possibile esistenza di un’unica obbligazione corrispondente a più periodi d’imposta o di un rapporto di pregiudizialità – dipendenza tra le più obbligazioni sorte, in periodi d’imposta diversi: ma non vale ad escludere, e ciò proprio per la “periodicità” di alcuni tributi, che possano esistere elementi rilevanti ai fini della determinazione del dovuto che siano comuni a più periodi d’imposta o che l’accertamento giudiziale del modo d’essere dell’obbligazione relativa ad un singolo periodo d’imposta possa implicare anche l’accertamento di una questione capace di “fare stato” (con forza di giudicato) nel giudizio relativo all’obbligazione sorta in un periodo d’imposta diverso. In altri termini, se è vero che l’autonomia dei periodi d’imposta comporta l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori del periodo considerato, è altrettanto vero che una siffatta indifferenza trova ragionevole giustificazione solo in relazione a quei fatti che non abbiano caratteristica di durata e che comunque siano variabili da periodo a periodo (ad es. la capacità contributiva, le spese deducibili): ma ben vi possono essere – ed effettivamente vi sono – elementi costitutivi della fattispecie a carattere (tendenzialmente) permanente, in quanto entrano a comporre la fattispecie medesima per una pluralità di periodi di imposta. Così lo sono, ad es., le qualificazioni giuridiche (che individuano vere e proprie situazioni di fatto) – “ente commerciale”, “ente non commerciale”, “soggetto residente”, “soggetto non residente”, “bene di interesse storico-artistico”, ecc. assunte dal legislatore quali elementi “preliminari” per l’applicazione di una specifica disciplina tributaria e per la determinazione in concreto dell’obbligazione per una pluralità di periodi d’imposta (a valere, cioè, fino a quando quella qualificazione non sia venuta meno fattualmente – ad es.

trasformazione dell’ente non commerciale in ente commerciale – o normativamente). A questa tipologia di “elementi preliminari”, possono essere ascritti anche la “categoria e la rendita catastale” e la “spettanza di una esenzione o agevolazione pluriennale”.

E’ innegabile che tali elementi – per la loro caratteristica, di eccedere il limitato arco temporale del “periodo d’imposta” assunto dalla norma tributaria per la determinazione del dovuto, rimanendo costanti per più periodi, e per la loro pregiudizialità nella costituzione della medesima fattispecie tributaria oggetto del giudizio relativo ad ogni singolo periodo d’imposta – possono essere oggetto di accertamento e l’eventuale giudicato formatosi in un giudizio relativo ad un periodo di imposta può (e deve) avere efficacia preclusiva nel giudizio relativo al medesimo tributo per altro periodo d’imposta. Altrimenti: si verrebbe a porre in discussione lo stesso principio di effettività tutela, alla cui asseverazione risponde la c.d. “efficacia regolarmentare del giudicato” (e del giudicato tributario, in particolare), in base alla quale il primo giudicato – stante il suo contenuto precettivo che eccede la definizione del “segmento di rapporto” oggetto specifico del singolo giudizio e assume il valore di regola dell’agire futuro delle parti, così realizzando l’interesse protetto dalla situazione giuridica accertata in giudizio – è idoneo a condizionare ogni successivo giudizio, immutata restando la situazione fattuale e normativa. Ciò vale tanto più con riferimento ai summenzionati “elementi preliminari” nella costituzione della fattispecie tributaria – ad es., come si è già detto, le “qualificazioni giuridiche” -, i quali, per la loro strutturale propedeuticità (o strumentante) al riconoscimento di un determinato diritto, sono naturalmente correlati ad un interesse protetto che ha il carattere della durevolezza e, quindi, all’efficacia regolamentare del giudicato che su di essi si sia formato. Ciò esclude, peraltro, che il giudicato relativo ad un singolo periodo d’imposta sia idoneo a “fare stato” per i successivi periodi in via generalizzata ed aspecifica: non ad ogni statuizione della sentenza può riconosce siffatta idoneità, bensì, come conviene un’autorevole dottrina, solo a quelle che siano relative a “qualificazioni giuridiche” o ad altri eventuali “elementi preliminari” rispetto ai quali possa dirsi sussistere un interesse protetto avente il carattere della durevolezza nel tempo. In buona sostanza, si tratta di evitare una eccessiva enfatizzazione della autonomia dei periodi di imposta, privilegiando la possibile considerazione unitaria del tributo (periodico) dettata dalla sua stessa ciclicità, nel rispetto, sul piano sostanziale, del principio di ragionevolezza e, sul piano processuale, del principio della effettività della tutela. Si tratta ancora una volta di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario il quale, al di là delle soluzioni specifiche relative al caso concreto dibattuto in giudizio, è destinato ad essere, per gli elementi della fattispecie che a questo fine rilevino, norma agendi, cui dovranno conformarsi tanto l’amministrazione quanto il contribuente – astretti da un vincolo procedimentale di collaborazione nella determinazione del tributo che corre tra i poli della dichiarazione (e possibile autoliquidazione) e del controllo (ed eventuale accertamento – rettifica) – per la individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi di imposta. Gli elementi rispetto ai quali opera l’efficacia regolamentare del giudicato tributario sono quelli, e solo quelli, che abbiano un “valore condizionante” per la valutazione e la disciplina di una pluralità di altri elementi della fattispecie e per la produzione degli effetti previsti dalla norma (o, secondo il linguaggio utilizzato da altra dottrina, quegli elementi che costituiscano “i referenti per l’applicazione di specifiche discipline”)”.

Nel caso oggetto di quel giudizio, che concerneva una fattispecie di pretesa esenzione pluriennale stabilita dal D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14, convertito con L. n. 427 del 1993, si è osservato che la “pluriennalità” assume carattere costitutivo dell’esenzione o agevolazione in quanto il relativo arco temporale di estensione è stabilito in ragione di una considerazione unitaria di un insieme di periodi di imposta, trattati sostanzialmente come una sorta di “maxiperiodo”: sicchè la disciplina dell’esenzione o agevolazione ha riguardo non a singole obbligazioni considerate isolatamente, ma ad un complesso unitario di periodi di imposta, con la ineludibile conseguenza che, una volta accertato con sentenza passata in giudicato che spetti al contribuente il diritto all’esenzione per un segmento dell’arco temporale di estensione dell’esenzione medesima, tale sentenza avrà necessariamente efficacia di giudicato esterno in un diverso giudizio nel quale eventualmente si dibatta della spettanza del diritto per un’altro segmento del medesimo arco temporale”.

Nello stesso ordine di idee, Cass. n. 28042/2009 ha ritenuto che “affinchè una lite possa dirsi coperta dall’efficacia di giudicato di una precedente sentenza resa tra le stesse parti, è necessario che il giudizio introdotto per secondo investa il medesimo rapporto giuridico che ha già formato oggetto del primo; in difetto di tale presupposto, nulla rileva la circostanza che la seconda lite richieda accertamenti di fatto già compiuti nel corso della prima, in quanto l’efficacia oggettiva del giudicato non può mai investire singole questioni di fatto o di diritto. In forza di tale principio, questa Sezione ha escluso che la sentenza passata in giudicato, con la quale il giudice tributario aveva riconosciuto il diritto di una fondazione bancaria di godere della riduzione dell’IRPEF previste dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 per un determinato anno d’imposta, facesse stato nella controversia promossa dal medesimo contribuente, e relativa all’invocabilità dell’esonero delle ritenute d’acconto sui dividendi azionari previste dalla L. n. 1745 del 1962, art. 10 bis, per un diverso anno d’imposta, trattandosi di benefici fiscali diversi, il secondo dei quali dipende non già dalla natura dell’ente, ma dall’attività concretamente svolta in ciascun periodo d’imposta”.

In particolare Cass. n. 25200/2009 ha osservato che “l’efficacia preclusiva del giudicato non si estende, in generale, alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione dei fatti (Cass. n. 24067/2006), ma copre soltanto le qualificazioni giuridiche o altri elementi che abbiano un valore condizionante per la valutazione e la disciplina di una pluralità di altri elementi della fattispecie (S.U. cit. dalla motivazione)”.

Altresì Cass. n. 4076/2008 ha escluso l’opponibilità del giudicato in caso “di sentenze che soltanto decidono modo difforme questioni analoghe in diritto e in fatto. Ma non risolvono un’unica questione identica, oltre che nella sua componente di diritto anche nella sua componente in fatto. In altre parole, la scansione temporale delle annualità di imposta comporta che in relazione ad ogni singola annualità debba essere valutata la conteggiabilità fra le componenti attive di poste che si rinnovano ogni anno, con presupposti di fatto via via diversi. In sostanza, se un’unica posta viene frazionata in più anni (come accade per gli ammortamenti) il giudicato relativo ad una annualità coinvolge anche le altre perchè la questione è identica in tutti i suoi aspetti e rileva in annualità diverse solo per le modalità temporali di imputazione. Ma se invece da un’unica fonte scaturiscono poste attive (o passive) differenti anno per anno il giudicato coinvolge quella specifica annualità oggetto del giudizio e non si riflette sulle altre. In quanto – come emerge dalla stessa narrativa della ricorrente – di volta in volta ed anno per anno si articolane in termini diversi gli elementi di fatto, restando identica solo la questione giuridica che consente di risolvere il caso concreto. Ed in ordine alle mere questioni di diritto non è opponibile il giudicato esterno”. Nel caso in esame, in armonia con i superiori insegnamenti, trattandosi di annualità diverse, la circostanza che il Comune abbia utilizzato un’unica valutazione riferita a più annualità, incide solo su una valutazione del fatto e non è idonea a trasformare tale valutazione in presupposto comune a più annualità (non potendosi certo parlare di imposta frazionata, o meglio, imposta unica da dividere per le annualità valutate) trattandosi invece di valutazioni analoghe(od omologhe) di diverse annualità.

Invero il valore del terreno su cui s’è formato il giudicato (e cioè il valore indicato dal contribuente, a seguito dell’annullamento inoppugnabile dei relativi avvisi di accertamento) non è in alcun modo equiparabile a quelle “qualificazioni giuridiche” o a quegli “elementi preliminari” comuni e immutabili negli anni (indicati, seppure in maniera esemplificativa, dalla superiore giurisprudenza delle SS.UU.) essendo, invece, un elemento variabile che non può cambiare natura per il solo fatto che il Comune abbia ritenuto di potere applicare il medesimo valore anche a diverse annualità, pur in presenza di una disposizione quale quella di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, n. 5, che considera, per le aree fabbricabili base imponibile il valore” venale in comune commercio all’1 gennaio dell’anno di imposizione” con ciò limitando il legislatore la rilevanza fiscale dell’accertamento di tale valore(in danno o in favore del contribuente) al limitato periodo di un anno, per la considerazione, di evidente intuizione, della facile mutabilità di siffatto valore.

Con il secondo motivo la società deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5 e art. 11, comma 2 bis, nonchè insufficiente motivazione sopra un punto decisivo della controversia; in particolare, deduce che le norme in questione prevedono specifici criteri di stima laddove la sentenza faceva esclusivo riferimento ai dati numerici di una stima non allegata.

Col terzo motivo la società deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 1, comma 1, lett. c, e D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, come modificato dal D.Lgs. n. 32 del 2001; deduce, in particolare, che l’avviso era illegittimo per non essere allo stesso stato allegata la perizia di stima dell’arch. P.. E se ove si ritenesse sufficiente la conoscenza dell’atto o la riproduzione del contenuto essenziale, come previsto dall’art. 11 sopra citato introdotto dal D.Lgs. n. 32 del 2001 in virtù della delega disposta dall’art. 16 dello Statuto del contribuente, il giudice dovrebbe disapplicare l’art. 11 che prevedeva tale facoltà surrogatoria.

Il terzo motivo è di preliminare esame rispetto al secondo.

Il motivo è infondato.

Per quanto concerne il profilo di omessa allegazione della perizia redatta dall’arch. P., risulta dalla stessa sentenza che la contribuente ne aveva piena conoscenza tanto che aveva fatto “pervenire la nota prot. 21592 del 10.07.2001 con la quale non riteneva congrua la valutazione di stima effettuata dall’arch.

P…” onde è soddisfatto il requisito di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2 bis, come mod. dal D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 6, comma 1.

Invoca però la contribuente la disapplicazione della predetta norma perchè in contrasto con l’art. 7, comma 1 della Statuto del contribuente che prevede l’allegazione agli atti dell’amministrazione finanziaria degli altri atti cui si fa riferimento nella motivazione.

La doglianza, a parte l’improprio richiamo alla disapplicazione, non vertendosi in campo di atto amministrativo contrario a legge, è, anche a diversi fini, generica non essendo indicati i profili specifici della dedotta illegittimità, anche in considerazione della circostanza che è principio del nostro ordinamento giuridico quello del raggiungimento dello scopo che renderebbe superflua (e meramente formale) l’allegazione di un atto di cui il contribuente (per i più svariati motivi, perchè è atto proprio, perchè ha partecipato alla sua elaborazione, o perchè aliunde ne abbia avuto conoscenza) abbia piena consapevolezza e quello del buon andamento della pubblica amministrazione che tende anche ad evitare che vengano imposti inutili e formali oneri a carico della stessa.

D’altra parte, anche in via interpretativa, il testo originario dell’art. 11 predetto non è incompatibile con la ritenuta equipollenza, alla allegazione, della piena conoscenza dell’atto, sicchè l’intervento adeguativo del D.Lgs. n. 32 del 2001, non stravolge il testo e lo spirito dell’art sopradetto, ma ne da integrazione coerente.

In ogni caso non può non osservarsi che la contribuente (come è giurisprudenza in casi analoghi, tra le altre, Cass. n. 7401/119) non ha dedotto il concreto pregiudizio che la mancata allegazione della perizia le avrebbe arrecato.

Ritornando ora al secondo motivo, deve essere premesso che la sentenza impugnata in ordine alla stima operata con la superiore perizia si esprime nel senso che la stessa era stata effettuata “tenuto conto di quanto disposto al riguardo dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5” e cioè “zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche”.

Orbene il solo dolersi la contribuente della pretermissione degli elementi di cui al predetto art. 5, in relazione al contenuto sostanziale dell’accertamento in virtù della ritenuta integrazione nel medesimo della sopradetta perizia (perchè integralmente conosciuta) senza fare riferimento a tale atto e trascrivere(o, comunque esporne in maniera completa il contenuto), non integra i necessari requisito di autosufficienza del ricorso.

Queste premesse consentono di decidere anche il quarto motivo con cui la società deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., e vizio motivazionale; deduce in particolare che la CTR avrebbe omesso di valutare la documentazione prodotta e in particolare che l’immobile era stato acquistato a seguito di aggiudicazione all’asta ed erano stati prodotti svariati atti pubblici da cui risultava il valore venale dell’area inferiore a quella dichiarata.

La non autosufficienza del ricorso sul contenuto sostanziale dell’accertamento integrato cioè con la perizia) non consente di valutare, nell’economia dell’atto di accertamento, e pertanto ai fini del dedotto vizio motivazionale della sentenza, la rilevanza della documentazione prodotta(atti di vendita di terreni in aree circostanti indicati solo con gli estremi e non nel contenuto) e la invocata circostanza dell’essere le aree in questione pervenute da asta giudiziaria, anche in base alla considerazione, di rilevo, solo presuntivo, che la procedura esecutiva non è mirata alla realizzazione del valore venale del bene, bensì alla liquidazione dei beni per la realizzazione delle ragioni dei creditori procedenti.

Col quinto motivo la società deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, e vizio motivazionale;

in particolare, deduce la ricorrente che il Comune non aveva considerato ai fini del valore che non esisteva la possibilità attuale di fabbricare.

l motivo è infondato in quanto la CTR ha fatto esplicito riferimento a tale circostanza confermando, con giudizio di fatto adeguatamente motivato, l’abbattimento di valore operato nell’accertamento del Comune.

Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con ogni conseguenza in tema di spese.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che liquida in Euro 1.300,00 oltre Euro 100,00 per spese vive e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 27 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2011

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