Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21085 del 07/08/2019
Cassazione civile sez. trib., 07/08/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 07/08/2019), n.21085
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Cirillo Ettore – Presidente –
Dott. Locatelli Giuseppe – Consigliere –
Dott. Napolitano Lucio – Consigliere –
Dott. Condello Pasqualina – Consigliere –
Dott. Gilotta Bruno – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14113/2013 proposto da:
B.S., rappresentato e difeso dagli avv. Salvatore
Capomacchia, del foro di Udine, e Cesare Persichelli, con domicilio
eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma via Crescenzio n.
20;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,
rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio
legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura
Generale dello Stato;
– controricorrente –
per l’annullamento della sentenza n. 125/01/12 del Commissione
Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia emessa inter partes
il 3.12.2012.
Fatto
CONSIDERATO
Che:
Con la sentenza sopra indicata la Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia, in riforma della sentenza 88/1/11 della Commissione Tributaria Provinciale di Udine (per quanto qui interessa), ha confermato, per la parte in cui recuperava a tassazione costi non inerenti, l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) per i.v.a., i.r.pe.f. e i.r.a.p. 2003, notificato a B.S., agente di commercio nel settore alberghiero e della ristorazione.
Si trattava di costi per “segnalazioni commerciali” che la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto non inerenti a norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 5, in quanto le relative fatture provenivano da società od operatori commerciali estranei all’ambito dell’attività di rappresentante di commercio del ricorrente.
Ricorre contro la sentenza il contribuente con un unico motivo. Ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Per la trattazione è stata fissata l’adunanza in Camera di consiglio del 10 aprile 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.
Diritto
RITENUTO
che:
Il ricorrente denuncia “insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5” e adduce che già in sede amministrativa aveva depositato elenco dei suoi clienti, la maggior parte dei quali era stata segnalati dai soggetti che avevano emesso le fatture contestate, che peraltro erano stato effettivamente pagate.
Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata ha giustificato la non inerenza dei costi dichiarati sostenendo che “le fatturazioni erano state effettuate da società od operatori commerciali assolutamente estranei all’ambito dell’attività del contribuente, rivolta a soggetti operanti nel campo della ristorazione ovvero dell’attività alberghiera, quando non anche da soggetti non più commercialmente attivi. In particolare trattasi di soggetti operanti nel settore del commercio di autoveicoli, di lavori di costruzione di edifici e del commercio all’ingrosso di materiali edili. Per tale fatturazione nessuna prova è stata fornita per giustificare il rapporto e quindi l’inerenza delle spese”.
Si tratta di motivazione in linea con la giurisprudenza (cass. n. 13588 del 30/05/2018) secondo cui, “in tema di deducibilità dei costi, l’inerenza, desumibile dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5, (in precedenza, detto decreto, art. 75, comma 5), deve essere riferita all’oggetto sociale dell’impresa, in quanto non integra un nesso di tipo utilitaristico tra costo e ricavo, bensì una correlazione tra costo ed attività di impresa, anche solo potenzialmente capace di produrre reddito imponibile, ma – a differenza di quanto avviene ai fini della detrazione dell’IVA, rispetto alla quale il concetto ha valenza esclusivamente qualitativa – nelle imposte dirette l’antieconomicità di una spesa, ossia la sproporzione sul piano quantitativo, può costituire significativo sintomo della non inerenza della stessa; e in linea altresì con la giurisprudenza che pone a carico del contribuente la relativa dimostrazione (cass., 16461/2013) e che, come logica conseguenza, reputa insufficienti le mere asserzioni del contribuente.
Si aggiunga che, in base alla nuova disciplina dell’art. 360 c.p.c., 1, n. 5, applicabile al caso in esame, il motivo non indica l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, ma la sua errata valutazione; con ciò ponendosi in contrasto con il principio secondo cui “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cass., 27415/2018).
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Sussistono i presupposti perchè il ricorrente sia tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così in Roma, il 9 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2019