Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21079 del 16/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 21079 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA
sul ricorso 19372-2010 proposto da:
LUCIANO SOPRANI S.R.L. 10642900152, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL FANTE 2, presso lo
studio dell’avvocato PALMERI GIOVANNI, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato BABINO
2013

GIOVANNI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2363

contro

MOSSA

FRANCESCO

DECEDUTO

E

COLLETTIVAMENTE E IMPERSONALMENTE;

PER

ESSO

EREDI

Data pubblicazione: 16/09/2013

- intimati

avverso la sentenza n. 911/2009 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 27/07/2009 R.G.N. 342/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/06/2013 dal Consigliere Dott. CATERINA

udito l’Avvocato GAMBARDELLA CARLA per delega PALMERI
GIOVANNI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

MAROTTA;

R. Gen. N. 19372/2010
Udienza 27/6/2013
Luciano Soprani s.r.l. c/ Mossa
Francesco + altri

è

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello, giudice del lavoro, di Torino, in parziale accoglimento
dell’appello principale proposto da Francesco Mossa, respinto l’appello incidentale
proposto dalla Luciano Soprani s.r.l. (incorporante la Satinine S.p.A.), condannava la

società al pagamento in favore del Mossa della somma di euro 8.341,89 a titolo di
indennità maneggio denaro e della somma di euro 6.059,56 a titolo di differenze
provvisionali. Riteneva la Corte territoriale che l’eccezione di prescrizione formulata
dalla società fosse fondata in relazione alle competenze spettanti al Mossa maturate
nel 1998 e fino al 1999 e ciò in ragione dell’attribuita valenza interruttiva ad una
lettera ricevuta dalla Satinine S.p.A. il 7/1/1999 con la quale l’avv. Bertagnolio
aveva richiesto per conto del Mossa il pagamento dell’indennità maneggio di denaro
per gli anni dal 1998 a 2001 nonché le provvigioni per i contratti stipulati nel
medesimo periodo. Riteneva, inoltre, che, pur non risultando dal contratto
individuale stipulato tra le parti alcun riferimento alla facoltà del Mossa di incassare
denaro per conto della Satinine, l’esercizio abituale e costante da parte dello stesso di
tale facoltà e l’evidente tacito consenso della società fossero significativi del diritto
alla corresponsione della indennità di incasso da determinarsi in base al lavoro
prestato, ai risultati ottenuti ed avuto riguardo all’entità della percentuale di
provvigione pattuita (da non ritenersi già comprensiva del relativo compenso)
rispetto alla complessiva attività di agenzia. Riteneva, inoltre, sulla base delle
risultanze della prova testimoniale, che spettasse al Mossa la pattuita provvigione
dell’8% limitatamente agli affari oggetto delle fatture emessa dalla Satinine nei
confronti della Pharafarm nel periodo dal 26/1/1999 al 7/6/2000. Respingeva, infine,
le doglianze della società aventi ad oggetto il mancato accoglimento della domanda

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Udienza 27/6/2013
Luciano Soprani s.r.L c/ Mossa
Francesco + altri

riconvenzionale dalla stessa proposta e relativa alla restituzione da parte del Mossa di
somme a titolo di risarcimento danni e di restituzione di anticipi provvisionali non
dovuti.
Per la cassazione di tale sentenza la Luciano Soprani s.r.l. propone ricorso

Il ricorso è stato notificato a Francesco Mossa (asseritamente deceduto nel corso
del giudizio di appello, evento non dichiarato dal difensore dello stesso) ed agli eredi
del Mossa che sono rimasti solo intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Rileva in via preliminare questa Corte che la società ricorrente non ha fornito
alcuna dimostrazione del riferito decesso di Francesco Mossa, con la conseguenza
che la notifica del ricorso per cassazione al predetto, effettuata presso il difensore
costituito nel giudizio di appello, è da considerarsi regolare.
2. Sempre in via preliminare deve, altresì, rilevarsi l’inammissibilità del ricorso
nei confronti degli “eredi” di Francesco Mossa e non solo per le ragioni evidenziate
al punto 1. (preclusive della possibilità di valutare la sussistenza della legittimazione
passiva in capo ai suddetti “eredi”) ma anche perché, se è vero che l’atto di
impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa (o parzialmente
vittoriosa), deve essere rivolto agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui
il decesso è avvenuto, sia dall’eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole,
da parte del soccombente, la relativa notifica – che può sempre essere effettuata
personalmente ai singoli eredi ovvero anche rivolta agli eredi in forma collettiva ed
impersonale, purché entro l’anno dalla pubblicazione, deve essere effettuata
nell’ultimo domicilio della parte defunta ovvero, nel solo caso di notifica della

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affidato a tre motivi.

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sentenza ad opera della parte deceduta dopo l’avvenuta notificazione, nei luoghi di
cui al primo comma dell’art. 330 cod. proc. civ.. Nel caso di specie è lo stesso
ricorrente a riferire che la sentenza impugnata non è stata notificata con la
conseguente inoperatività della possibilità di eseguire la notifica del ricorso per

3. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione e falsa
applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ.”. Si duole del fatto che la Corte territoriale
abbia disposto l’escussione di due testi senza che l’appellante ne avesse fatto
richiesta. Evidenzia che uno dei suddetti testi era già stato sentito dal giudice di
primo grado sulla medesima circostanza e che all’escussione dell’altro lo stesso
Mossa aveva rinunciato.
4. Il motivo non è fondato.
5. Questa Corte ha più volte evidenziato che nel rito del lavoro, caratterizzato
dall’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della
verità materiale, allorché le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine,
il giudice, anche in grado di appello, ove reputi insufficienti le prove già acquisite,
deve esercitare il potere – dovere, previsto dall’art. 437 cod. proc. civ., di provvedere
d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale probatorio e idonei a superare
l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, purché i fatti stessi siano
allegati nell’atto costitutivo, non verificandosi in questo caso alcun superamento, a
mezzo dell’attività istruttoria svolta d’ufficio dal giudice, di eventuali preclusioni o
decadenze processuali già integratesi a carico delle parti, in quanto la prova disposta
d’ufficio è solo un approfondimento, ritenuto indispensabile al fine di decidere, di
elementi probatori già obiettivamente presenti nella realtà del processo (cfr. ex multis

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cassazione in uno dei luoghi indicati dall’art. 330, comma 1, cod. proc. civ..

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Cass. 10 gennaio 2005, n. 278; id. 5 febbraio 2007, n. 2379; 25 maggio 2010, n.
12717).
Nella specie, la Corte territoriale non è incorsa nella denunciata violazione di
legge in quanto l’esercizio di tali poteri d’ufficio (diretto a vincere i dubbi residuati

correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado) è stato posto alla base
della motivazione della sentenza, che ha compiutamente valorizzato
l’indispensabilità ai fini della decisione della causa dell’audizione dei testi Gian
Paolo Siccardi e Luca Casati; il relativo giudizio, rimesso ad un apprezzamento
meramente discrezionale, poteva essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto
come vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,
qualora la sentenza di merito non avesse addotto – diversamente, peraltro, da quanto
nella specie accaduto – un’adeguata spiegazione dell’esercizio dei poteri d’ufficio.
6. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione e falsa
applicazione dell’AEC 19/12/1979 e dell’AEC 16 novembre 1988 di rinnovo
dell’AEC 19/12/1979”. Si duole del fatto che la Corte torinese non ha tenuto conto
dei presupposti previsti dall’AEC in vigore all’epoca dei fatti per la corresponsione
dell’indennità di maneggio denaro e cioè: il conferimento scritto dell’incarico; la
continuità dell’incarico; la responsabilità dell’agente per errore contabile. Si duole,
altresì, del fatto che la Corte di appello ha confuso l’attività (sporadica) di recupero
degli insoluti – che, ai sensi dell’art. 6 AEC non è fonte di indennità – con l’attività di
riscossione dei pagamenti alle scadenze contrattuali – che è fonte di indennità solo in
presenza di incarico conferito per iscritto con le caratteristiche della continuità e con
responsabilità per errore contabile a carico dell’agente). Rileva che la normalità dei

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dalle risultanze istruttorie, intese come complessivo materiale probatorio

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pagamenti avveniva a mezzo di ricevuta bancaria e non a mezzo rimessa diretta
tramite agente e che, in conseguenza, quanto riferito da alcuni testi sul punto non
poteva che riferirsi a pagamenti tardivi riconducibili all’attività del Mossa per
recupero insoluti.

Come è stato affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, “l’art. 369, secondo
comma, n. 4 cod. proc. civ., nella parte in cui onera il ricorrente (principale od
incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi
collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che,
ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 420

bis, secondo comma, cod. proc. civ., la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale
una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di
un contratto od accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario,
la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi
nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. (nel testo
sostituito dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006), il deposito suddetto deve avere ad
oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel
ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale
contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione
nomofilattica assegnata alla Corte di Cassazione nell’esercizio del sindacato di
legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale” ( si
veda Cass. S.U. 23 settembre 2010, n. 20075; si veda anche Cass. 15 ottobre 2010, n.
21358). In particolare le Sezioni Unite hanno anche precisato che “l’onere del
ricorrente, di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., così come

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7. Il motivo è improcedibile.

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modificato dall’art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di produrre, a pena di
improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi
collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di
strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel

contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio,
mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla
cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al
richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369, terzo comma, cod. proc. civ., ferma,
in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art.
366, n. 6, cod. proc. civ., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento
degli stessi” (v. Cass. S.U. 3 novembre 2011, n. 22726; sulla necessità della
indicazione della sede in cui l’atto o il documento è rinvenibile, cfr. tra le altre Cass.
S.U. 25 marzo 2010, n. 7161).
Tale onere va ritenuto esteso anche agli accordi economici collettivi (cfr. Cass. 6
agosto 2012, n. 14152) che hanno efficacia contrattuale di diritto comune (solo
limitatamente al periodo di vigenza della legge 14 luglio 1959 e precisamente con
d.P.R. n. 145 del 16 gennaio 1961 e n. 1842 del 26 dicembre 1960 sono stati recepiti
nell’ordinamento, con efficacia erga omnes, gli accordi economici del 20 giugno
1956 – settore industria – e del 13 ottobre 1958 – settore commercio – ).
Orbene, nella fattispecie, nel ricorso non viene indicato in alcun modo se siano
stati depositati (in tutto o in parte) gli accordi economici collettivi sui quali il ricorso
stesso si fonda e tanto meno viene indicata una qualche collocazione di detti accordi
tra gli atti dei “fascicoli di parte” di parte, genericamente richiamati in calce.

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fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano

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Tanto basta per dichiarare la improcedibilità del ricorso , che, peraltro, neppure
risulta conforme al principio di autosufficienza, non riportando il contenuto di tutte le
norme collettive invocate.
8. Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia: “Violazione e falsa

dell’indennità di maneggio denaro essendo la relativa spettanza del tutto sfornita di
prova.
9. Il motivo è infondato.
In proposito questa Corte ha già affermato il principio di diritto secondo cui,
posto che lo svolgimento da parte dell’agente di attività – di incasso per conto del
preponente dei corrispettivi dovuti dai clienti non costituisce un elemento essenziale
o naturale del contratto di agenzia, ma soltanto un compito ulteriore che le parti
possono convenire, correttamente viene escluso il diritto ad un compenso per la
suddetta attività quando manchi una pattuizione negoziale per l’attribuzione di un
incarico di riscossione (così Cass. 5 luglio 1997, n. 6077). L’art. 1744 cod. civ., però,
non prevede una forma particolare per la concessione della facoltà di riscossione, ma
stabilisce soltanto che ove la stessa sia stata attribuita all’agente “egli non può
concedere sconti o dilazioni senza speciale autorizzazione”. Né la società invoca a
sostegno della doglianza l’esistenza di accordi collettivi di diverso tenore; in
conseguenza la pattuizione negoziale per l’attribuzione di un incarico di riscossione
può essere concessa in qualunque forma e provata nei modi ordinari, anche per
presunzioni, come ha fatto nel caso di specie il giudice di appello, che ha desunto la
prova dal comportamento costante delle parti. In questo senso si è anche espressa
questa Corte con una pronuncia risalente: “in tema di agenzia, l’avvenuta

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applicazione dell’art. 2225 cod. civ.”. Si duole della valutazione equitativa

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attribuzione all’agente della facoltà di riscuotere può essere provata, nei casi in cui
non sia richiesta la forma scritta, con ogni mezzo di prova e quindi anche con
presunzioni” (Cass. n. 2465 del 19/6/1975). L’orientamento è stato di recente
confermato nella decisione dell’8 giugno 2012, n. 9353 con la quale è stato ritenuto

concessa in qualunque forma e provata nei modi ordinari.
Nel caso in esame la Corte territoriale ha ritenuto che, pur in assenza di ogni
riferimento contenuto nel contratto individuale stipulato tra le parti alla facoltà per il
Mossa di incassare denaro per conto della Satinine, tuttavia l’esercizio costante di
tale facoltà (richiedente uno sforzo suppletivo e per l’adempimento della quale non
risultano corrisposte somme aggiuntive) e l’evidente tacito consenso della società
fossero significativi della sussistenza del diritto dell’agente alla remunerazione di
tale attività ulteriore. Del resto, l’assenza, nell’originaria stipulazione della facoltà di
riscuotere i crediti del preponente comporta che l’esercizio di tale facoltà neppure
può consentire di ritenere, come pretenderebbe la ricorrente, che il compenso per tale
attività, attesa la natura corrispettiva del rapporto, fosse stato già compreso nella
provvigione pattuita tra le parti, che deve intendersi determinata con riferimento al
complesso dei compiti affidati all’agente. Laddove, infatti, la facoltà e l’obbligo di
esigere siano intervenuti, come nel caso di specie, nel corso dello svolgimento del
rapporto ed a prescindere dalla pattuizione formale intercorsa tra le parti, deve
ragionevolmente ritenersi che la svolta attività di esazione costituisca una prestazione
accessoria ed ulteriore rispetto all’originario contratto, con conseguente obbligo della
sua remunerazione in base alla generale normativa sul lavoro autonomo e,
specificamente, all’art. 2225 cod. civ. (cfr. in tal senso Cass. 6 febbraio 1988, n.

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che la pattuizione negoziale per l’attribuzione di un incarico di riscossione può essere

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1269; id. 25 luglio 1995, n. 8110; 19 marzo 2001, n. 3902). Alla stregua di ciò la
Corte torinese ha ritenuto che il corrispettivo potesse essere equitativamente
determinato la percentuale dello 0,50% sul complessivo ammontare degli incassi,
percentuale, secondo gli usi vigenti, rientrante tra quelle normalmente applicate per il

quanto sorretta da motivazione immune da vizi logici e da errori di diritto.
10. Sulla base delle esposte considerazioni, nelle quali tutte le altre eccezioni o
obiezioni devono considerarsi assorbite, in conclusione, il ricorso proposto nei
confronti di Francesco Mossa va rigettato.
11. Infine, nulla va disposto in ordine alle spese processuali essendo i
controricorrenti rimasti solo intimati.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso nei confronti di Francesco Mossa e lo dichiara, nel
resto, inammissibile; nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 2013.

calcolo dell’indennità di incasso. Trattasi di statuizione insindacabile in cassazione in

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