Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21077 del 16/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 21077 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA
sul ricorso 26441-2009 proposto da:
FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A. 07973780013,

(nuova

denominazione della FIAT AUTO S.P.A., in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAllA CAVOUR 19, presso lo
studio dell’Avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO (STUDIO
2013
2135

TOFFOLETTO – DE LUCA TAMAJO), che la rappresenta e
difende unitamente agli avvocati BONAMICO FRANCO,
DIRUTIGLIANO DIEGO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

contro

Data pubblicazione: 16/09/2013

VECCHIONE VENANZIO VCCVN261NO3A486A, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA TUSCOLANA 739, presso lo
studio dell’avvocato VANI DOMENICO, rappresentato e
difeso dagli avvocati GIORDANO FRANCO, CLEMENTE ENZO,
giusta delega in atti;
controricorrente

avverso la sentenza n. 827/2009 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 03/07/2009 R.G.N. 1513/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/06/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAISANO;
udito l’Avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 3 luglio 2009 la Corte d’appello di Torino ha confermato
la sentenza del Tribunale di Torino del 26 settembre 2008 con la quale era
stata dichiarata l’illegittimità della collocazione in CIGS di Vecchione
Venanzio dipendente della FIAT Auto s.p.a., per il periodo 9 dicembre

in favore della lavoratrice delle differenze tra la normale retribuzione di
fatto e quanto percepito a titolo di CIGS. La Corte territoriale ha motivato
tale pronuncia confermando la precedente giurisprudenza in materia,
affermando che l’art. 2, comma V d.P.R. 218 del 2000 non ha abrogato la
norma che impone al datore di lavoro di adottare meccanismi di rotazione
tra i lavoratori da sospendere, stabilendo che le modalità di tale rotazione
devono formare oggetto dell’esame congiunto con le rappresentanze
sindacali, e imponendo all’impresa di indicare le ragioni tecnico
organizzative della mancata adozione di meccanismi di rotazione, per cui,
anche ammettendo che tale art. 2 abbia abrogato la disciplina di cui alla
legge 223 del 1991 riguardo all’obbligo di comunicazione all’inizio della
procedura posticipandolo al momento dell’esame congiunto, non è
comunque sminuito l’obbligo imposto all’impresa con riferimento alla
rotazione. Nel caso in esame tale obbligo è stato disatteso stante la
genericità, lacunosità ed evanescenza delle ragioni addotte dalla FIAT Auto
alla mancata adozione della rotazione. Anche con riguardo ai criteri di
scelta non è sostenibile un’implicita abrogazione della legge 223 del 1991
in quanto l’art. 2 del d.P.R. 218 del 2000 non disciplina l’intera materia
regolata da detta legge, ma semplifica l’iter procedimentale senza
assolutamente privare l’oggetto dell’esame congiunto fra le parti. Pertanto
la corte torinese ha affermato la coesistenza della disciplina della legge 223
del 1991 e, in particolare, dell’art. 1, comma 7, e del d.P.R. 218 del 2000 e
la conseguente permanenza dell’obbligo di compiuta comunicazione solo

2002 — 26 maggio 2003, ed è stata condannata la FIAT Auto al pagamento

differito dal momento iniziale della procedura. D’altra parte, anche dal
punto di vista sistematico, non sarebbe sostenibile l’abrogazione di una
norma primaria che incide su diritti soggettivi dei lavoratori, ad opera di
una norma delegata. La Corte territoriale ha escluso inoltre l’efficacia
sanante del verbale di riunione presso il Ministero del Lavoro in data 5

sorte di controllo interno a carico del Ministero circa la regolarità e
completezza dell’esame congiunto. In conclusione il lavoratore non ha
avuto modo di conoscere i precisi motivi ed i criteri adottati nella scelta di
porla in CIGS, e l’illegittimità della procedura non può essere sanata da
alcun verbale di incontro successivo.
La FIAT Group Automobiles s.p.a., nuova denominazione della FIAT Auto
s.p.a., propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a
cinque motivi.
Il lavoratore si difende con rituale controricorso.
Rntrambe le parti hanno presentato memo‘g a norma dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 20
della legge n. 50 del 1997 in relazione all’art. 1 della legge 223 del 1991 ed
al d.P.R. n. 218 del 2000, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., e la
violazione o falsa applicazione dell’art. 15 delle preleggi in relazione al
rapporto tra il d.P.R. 218 del 2000 e l’art. 1 della legge n. 223 del 1991, ai
sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si deduce la portata
innovativa del d.P.R. 218 del 2000 rispetto alla disciplina della legge 223
del 1991 affermandosi l’unicità della procedura di CIGS che
configurerebbe un iter complesso in cui sarebbero intimamente connesse la
fase sindacale e quella amministrativa. Sarebbe inoltre irrilevante la

L

dicembre 2002, dal momento che il citato d.P.R. 218 non ha introdotto una

mancata inclusione dell’art. 5 della legge 164 del 1975 tra le norme da
delegificare ex lege 59 del 1997.
Con il secondo motivo si assume violazione e falsa applicazione dell’art.
2697 cod. civ. e dell’art. 2 del d.P.R. 218 del 2000 in relazione al verbale
del Ministero del Lavoro del 5 dicembre 2002, ai sensi dell’art. 360, n. 3
cod. proc. civ.; omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo

per il giudizio in relazione al verbale di esame congiunto del 5 dicembre
2002 redatto dal Ministero del Lavoro, ai sensi dell’art. 360, n. 5 cod. proc.
civ. In particolare si lamenta che sarebbe stato interpretato erroneamente
tale verbale con il quale si sarebbe dato atto ufficialmente della correttezza
della procedura di concessione della CIGS, e tale effetto certificativo non
potrebbe essere sindacato da parte del giudice ordinario.
Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1,
comma 7 della legge n. 223 del 1991, dell’art. 5, commi 4, 5 e 6 della
legge n. 164 del 1975, e dell’art. 2 del d.P.R. 218 del 2000 in relazione al
contenuto della lettera di apertura della procedura, ex art. 360, n. 3 cod.
proc. civ.; in via gradata si ribadisce l’esaustività del contenuto delle
comunicazioni di avvio della procedura di CIGS anche a voler fare
riferimento alla sequenza procedurale delineata dall’art. 1, comma 7 della
legge 223 del 1991 e dell’art. 5, commi 4, 5 e 6 della legge n. 164 del 1975,
o anche a volersi sostenere che dovesse essere effettuata una qualche
comunicazione sui criteri di scelta.
Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1,
comma 7 della legge 223 del 1991 e dell’art. 5, commi 4, 5 e 6 della legge
n. 164 del 1975, e dell’art. 2 del d.P.R. 218 del 2000 in relazione alla
posizione soggettiva del lavoratore, ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ.; omessa
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in

9/\

relazione alla omessa motivazione della posizione soggettiva del lavoratore
collocato in CIGS.
Con il quinto motivo si assume violazione e falsa applicazione dell’art. 1
della legge n. 223 del 1991 ed ancora dell’art. 2 d.P.R. 218 del 2000 in
relazione all’efficacia di accordi sindacali raggiunti in corso di gestione
applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 cod. civ. e dell’art. 1375
cod. civ. nonché violazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione agli accordi
sindacali 18 marzo 2003 e 22 luglio 2003 in relazione all’art. 360, n. 3 cod.
proc. civ. In particolare si ribadisce che gli accordi citati comunque
legittimerebbero e sanerebbero la procedura svolta anche con riferimento
alla scelta dei lavoratori ed alla rotazione.
Con il sesto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697
cod. civ. e dell’art. 1362, II comma cod. civ. in relazione alla regolare
stipulazione degli accordi sindacali 18 marzo 2002 e 22 luglio 2003 in
relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ.; insufficiente, contraddittoria o
omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex
art. 360, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce che sarebbe stata
erroneamente valutata l’irregolarità degli accordi raggiunti quando invece
tutte le rappresentanze sindacali erano state regolarmente convocate dalle
rispettive organizzazioni sindacali, per cui legittimamente la FIAT Auto
aveva fatto affidamento sulla regolarità degli incontri e della procedura a
cui erano finalizzati.
Il ricorso è infondato.
Per quel che riguarda la questione principale deve osservarsi che la legge
23 luglio 1991 n. 223, che introduce una visione organica dell’intervento
straordinario della CIGS, ricollegandone la fruizione a particolari requisiti
soggettivi dell’impresa e all’esistenza di uno stato di crisi aziendale, nonché

della CIGS ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ.; violazione e falsa

alla proposizione da parte dell’imprenditore di precisi programmi, limitati
nel tempo, prevede che dopo l’accertamento dello stato di crisi e
l’approvazione dei programmi di superamento della stessa e per tutta la loro
durata, all’esito di una articolata procedura, il Ministero del Lavoro con
proprio decreto conceda il trattamento straordinario di integrazione
Il datore di lavoro deve comunicare i criteri di scelta dei lavoratori da
sospendere, adottando meccanismi di rotazione tra i dipendenti che
svolgono le stesse mansioni e sono occupati nell’unità produttiva
interessata. I “criteri di individuazione dei lavoratori” e “le modalità della
rotazione” sono infatti oggetto di consultazione sindacale, in forza del
dettato normativo, che impone la loro comunicazione alle 00.SS. e l’esame
congiunto di cui all’art. 5 della legge 20 maggio 1975 n. 164. Qualora il
datore, per ragioni di carattere tecnico-organizzativo connesse al
mantenimento dei normali livelli di efficienza, non intenda attuare
meccanismi di rotazione, dovrà indicarne i motivi nel programma di cui al
secondo comma dell’art. 1 della legge (art. 1, commi 7-8, della legge 223).
Il Ministro del lavoro, pur approvando il programma e concedendo la cassa
integrazione, può ritenere non giustificata la non adozione della rotazione e
promuovere un incontro tra le parti sul punto. Ove non si pervenga ad un
accordo entro tre mesi dalla data della concessione del trattamento di
integrazione, il Ministro stesso stabilisce l’adozione di meccanismi di
rotazione sulla base delle proposte formulate dalle parti (comma 8, secondo
periodo).
Su tale assetto intervenne il D.P.R. 10 giugno 2000 n. 218, emanato su
delega conferita dall’art. 20 della legge di semplificazione amministrativa
15 marzo 1997 n. 59, che inserì il procedimento per la concessione della
cassa integrazione guadagni straordinaria, come regolato dalla legge n. 223
del 1991, tra quelli sottoposti a delegificazione mediante regolamento 70

salariale (artt.1-2).

emesso ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988 n. 400
(art. 20, comma 8, in relazione al n. 90 dell’allegato 1 alla legge stessa).
I rapporti tra le due fonti sono stati uniformemente definiti dalla
giurisprudenza di questa Corte nel senso che la disciplina del d.P.R. n. 218
del 2000 non abroga la legge n. 223 del 1991 e lascia, quindi, intatti gli
non incide, infatti, sulle disposizioni del combinato disposto dell’art. 5 della
legge n. 164 del 1975 e dell’art. 1, comma 7, della legge n. 223 del 1991
riguardanti l’obbligo datoriale di comunicare alle organizzazioni sindacali,
in avvio della procedura per l’integrazione salariale, i criteri di
individuazione dei lavoratori da sospendere nonché le modalità di rotazione
del personale, atteso che la disciplina da esso fissata attiene unicamente alla
fase propriamente amministrativa del procedimento di concessione della
integrazione salariale (cfr., ex ceteris, Cass. 28 novembre 2008 n. 28464).
Può, dunque, affermarsi, condividendo l’indicata impostazione
(successivamente ripresa da numerose altre sentenze, tra le quali v., ad es.,
Cass. 31 gennaio 2011 n. 2155, n. 2156. n. 2157, Cass. 21 febbraio 2011 n.
4151 e 4152 e le numerose pronunce successive in materia) che per la
scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione, la legge n. 223 del
1991, art. 1, comma 7, prescrive che il datore di lavoro comunichi alle
organizzazioni sindacali i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in
relazione a quanto previsto dall’art. 5 della legge n. 164 del 1975. Tale
disposizione tutela, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei
singoli lavoratori e le prerogative delle Organizzazioni sindacali, anche
dopo l’entrata in vigore della disciplina del d.P.R. 10 giugno 2000, n. 218,
atteso che tale disciplina non incide con effetto abrogativo o modificativo
sulle suddette disposizioni, ma è volta unicamente a regolamentare
diversamente il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di
concessione della integrazione salariale.

oneri di comunicazione fissati dall’art. 1 di quest’ultima. Il d.P.R. in parola

Ad analoga conclusione questa Corte è condivisibilmente pervenuta per
quel che riguarda gli obblighi di rilevanza collettiva del datore di lavoro
(art. 1, comma 7-8, della legge n. 223), precisando, altresì, che la
richiamata normativa regolamentare non ha spostato l’informazione circa i
criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della
successivo dell’esame congiunto, in quanto, altrimenti, il contenuto della
norma di cui all’art. 2 del d.P.R. n. 218 cit. sarebbe estraneo all’esigenza di
semplificazione del procedimento amministrativo e avrebbe come
conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale con
compressione dei diritti di informazione spettanti al sindacato, dando luogo
ad un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato, in quanto
sbilanciato in favore dell’impresa (Cass. 9 giugno 2009 n. 13240 e 1 luglio
2009 n. 15393, entrambe emanate a conclusione del procedimento per
condotta antisindacale promosso dalle 00.SS. nei confronti di Fiat con
riferimento alla procedura di CIGS ora in esame, avviata con la
comunicazione del 31 ottobre 2002.
Sulla base di queste considerazioni, può ritenersi corretto l’assunto del
giudice di merito che, pur dopo l’entrata in vigore del d.P.R. n. 218 del
2000, la comunicazione iniziale che il datore, ai sensi dell’art. 5 della legge
n. 164 del 1975, è tenuto a dare alle rappresentanze sindacali aziendali
debba contenere l’indicazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da
sospendere e le modalità della rotazione, i quali poi dovranno costituire
oggetto del successivo esame congiunto.
Ne consegue l’irrilevanza della questione attinente il rilievo certificativo
assegnato alla documentazione di provenienza ministeriale, di cui al
secondo motivo di ricorso, secondo una tesi peraltro priva di base
normativa. Ove si ritenga che criteri di individuazione e modalità di
rotazione debbono essere indicate ab initio nella comunicazione di avvio, è

comunicazione di avvio della procedura a quello immediatamente

superfluo esaminare la tesi che assegna valore asseverativo ad un
documento che attesta che quell’indicazione è avvenuta solo in un momento
successivo, e cioè in sede di esame congiunto.
Neppure può sostenersi che l’accordo 18 marzo 2003 avrebbe sanato ogni
eventuale vizio della procedura attivata con la lettera 31 ottobre 2002.

(Cass. 2 agosto 2004 n. 14721. 21 agosto 2003 n. 12307 ed altre) parte dal
presupposto che l’accordo sia di per sé esaustivo delle esigenze conoscitive
e di esternazione imposte dal combinato normativo degli artt. 5 della legge
n. 164 e dell’art 1, commi 7-8, della legge n. 223, in quanto in tal caso
sarebbe solo inutile formalismo imporre al datore di comunicare alle
00.SS. quei criteri di selezione che proprio con esse ha elaborato (Cass. 3
maggio 2004 n. 8353).
Nel caso di specie, tuttavia, l’accordo intervenuto a procedura già iniziata e
quando molte centinaia di lavoratori erano già stati posti in cassa
integrazione, si limita a delineare un generale sistema di rotazione a partire
dall’aprile 2003, senza indicare il procedimento di individuazione dei
soggetti interessati, il che esclude comunque quel carattere esaustivo sopra
rilevato. Inoltre, per il fatto di essere intervenute a procedura già iniziata, le
modalità concordate in sede di accordo non possono soddisfare
all’essenziale esigenza cui la preventiva comunicazione è preposta, e cioè
quella di consentire, non solo alle 00.SS. di confrontarsi sul punto, ma
anche ai lavoratori coinvolti nella procedura, tanto prima che dopo il
raggiungimento dell’accordo, di verificare se l’utilizzo della cassa
integrazione da parte del datore di lavoro sia coerente rispetto al
programma di superamento della crisi adottato e, quindi, di consentire la
tutela della loro posizione individuale, nella sostanza controllando il potere
del datore di collocarli in cassa integrazione (v. anche Cass. 10 maggio
2010n. 11254).

.:e

In proposito, va precisato che la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente

Escludendo il carattere sanante dell’accordo 18 marzo 2003 ed assegnando
natura ostativa alla omissionil della comunicazione, il giudice di merito si è
attenuto ad una lettura della norma basata su un principio pacifico,
affermato da Cass. S.U. 11 maggio 2000 n. 302, secondo cui in caso di
intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un
che implichi una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di
sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore, sia che
intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario,
ometta di comunicare alle 00.SS., ai fini dell’esame congiunto, gli
specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione
dei lavoratori che debbono essere sospesi (in base al combinato disposto
degli artt. 1, comma 7, legge 223 del 1991, e 5, commi 4-5, legge n. 164 del
1975). Tale illegittimità può essere fatta valere dai lavoratori interessati
davanti al giudice ordinario, in via incidentale, per ottenere il pagamento
della retribuzione piena e non integrata.
Quanto all’incidenza della comunicazione 31 ottobre 1982 sulla posizione
del ricorrente deve rilevarsi che la giurisprudenza della Corte di Cassazione
ha precisato che i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere di
cui all’art. 1 della legge n. 223 del 1991, debbono essere connotati dal
requisito della specificità, ovvero, dalla idoneità dei medesimi ad operare la
selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della
scelta ai criteri, precisandosi che l’aggettivazione non individua una specie
nell’ambito del genere criterio di scelta ma esprime la necessità che esso sia
effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la selezione dei
soggetti da porre in cassa integrazione, atteso che un criterio di scelta
generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto, non un criterio, ma
un generico indirizzo nella scelta (v. Cass. 1 luglio 2009, che richiama
Cass. 23 aprile 2004 n. 7720, e fa chiaro riferimento a S.U. n. 302 del 2000.

programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale

citata). Tale specificità non è stata riscontrata dal giudice di merito, il quale
ha ravvisato nella comunicazione una mera clausola di stile da cui non può
evincersi il percorso aziendale che ha portato all’individuazione dei singoli
lavoratori da sospendere in cassa integrazione.
Trattasi di valutazione di merito che, in quanto congruamente motivata,
Infine appare irrilevante la precisazione della ricorrente secondo la quale le
sospensioni successive alla prima avrebbero dovuto avvenire con
l’intervento della Cassa integrazione ordinaria, in quanto è pacifico che essa
ha comunque viceversa utilizzato l’intervento della CIGS, come autorizzato
secondo la procedura qui in esame.
Concludendo, sulla base delle considerazioni svolte e a prescindere dalla
condivisione o non della innovativa tesi sostenuta nel controricorso,
relativamente all’effetto riflesso nei confronti dell’originario ricorrente del
giudicato formatosi sulla vicenda per effetto del definitivo accoglimento
del ricorso ex art. 28 L. n. 300/1970 promosso dalla FIOM nei confronti
della Fiat, il ricorso va respinto, con le normali conseguenze anche in
ordine al regolamento delle spese di questo giudizio, la cui liquidazione è
operata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in E
50,00 per esborsi ed 1.000,00 per compensi professionali oltre accessori
di legge,
Così deciso in Roma il 13 giugno 2013.

non è suscettibile di censura in sede di legittimità.

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