Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21073 del 16/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 21073 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: FILABOZZI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 20674-2008 proposto da:
A.S.L. n. 3 SA VALLO DELLA LUCANIA, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 66, presso lo
studio dell’avvocato SPAGNUOLO GIUSEPPE,
rappresentata
2013

e

difesa

dall’avvocato

CORREALE

MASSIMO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1754
contro

VERTUCCI CONO, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZALE JONIO 54, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 16/09/2013

RIGGIO CORRADO,

che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato POLITO ELIO, giusta delega in
atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 630/2008 della CORTE D’APPELLO

1232/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/05/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
FILABOZZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di SALERNO, depositata il 19/05/2008 R.G.N.

r.g. n. 20674/08
udienza del 15.5.2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Salerno ha confermato la sentenza di primo grado con la quale è stata accolta
la domanda di Cono Vertucci diretta ad ottenere la rideterminazione del compenso aggiuntivo di cui

dalla ASL Salerno 3 in misura inferiore al dovuto. Ha ritenuto in particolare la Corte territoriale che
l’ammontare del compenso aggiuntivo, giusta il tenore dell’art. 41, punto F, lett. c) e d), DPR n.
314/90, non poteva che equivalere all’ammontare previsto per un medico che avesse in carico 1500
scelte, ridotto in proporzione del numero delle scelte di cui il sanitario era in concreto titolare. Il
criterio stabilito dalla lettera d) – che prevedeva una decurtazione dell’adeguamento (ovvero un
minore aumento) delle quote di caro-vita per i medici con un numero di scelte inferiori a 477 unità doveva invece trovare applicazione unicamente per i medici aventi in carico un numero di scelte
inferiori a 477, sicché non poteva condividersi quanto sostenuto al riguardo dall’Azienda, e cioè
che, a prescindere dal numero delle scelte in carico a ciascun medico, bisognava calcolare il
compenso aggiuntivo dividendo gli assistiti in due fasce, ed applicando fino al numero di 477 scelte
la disposizione di cui alla lettera d) del citato punto F e dal numero 478 in poi quella di cui alla
lettera c) delle stesso punto F.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Azienda Sanitaria Locale affidandosi a due
motivi di ricorso cui resiste con controricorso il lavoratore.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si denuncia violazione della dichiarazione a verbale n. 9 dell’accordo
collettivo nazionale per i medici di medicina generale sottoscritto in data 11-12 settembre 1990 e
reso esecutivo con d.P.R. n. 314 del 1990 in relazione agli artt. 1362 e ss. c.c., sostenendo che, in
base alla corretta interpretazione della predetta dichiarazione a verbale (con cui le parti collettive si
davano reciprocamente atto che “le quote di caro-vita dovute ai medici di medicina generale alla
data del I ° novembre 1985 ammontavano a £. 610.310 mensili correlate al tetto massimo di n. 477
scelte”), per determinare il compenso aggiuntivo spettante ai medici di medicina generale, e
necessario “sviluppare prima le 477 quote e successivamente frazionarle fino alla quota n. l e
implementare le quote da n. 478 a n. 1.500 mediante incremento costante e determinato della

all’art. 45 degli accordi collettivi resi esecutivi con d.P.R. n. 484/96 e n. 207/2000, corrispostogli

differenza della I.I.S. spettante per n. 1.500 scelte (lire 1.134.977) e quella spettante per n. 477
quote (lire 955.815)’: mentre la Corte d’appello, confermando la sentenza del primo giudice, e senza
tener conto del disposto della suddetta dichiarazione, avrebbe ritenuto che “il compenso previsto per
ciascuna scelta è uguale per tutti a prescindere dal numero delle scelte in carico al sanitario”.
2.- Con il secondo motivo si denuncia il difetto di motivazione circa lo status lavorativo del
Vertucci, assumendo che la Corte d’appello avrebbe omesso ogni motivazione su tale specifico
punto, che pure era di fondamentale importanza per poter stabilire l’esatta determinazione del

3.- Le censure formulate dalla ricorrente con il primo motivo non sono pertinenti alla motivazione
della sentenza impugnata e devono pertanto ritenersi inammissibili.
3.1.- Per quanto riguarda il compenso aggiuntivo, va premesso, per una migliore comprensione del
tema controverso, che, ai sensi dell’art. 45 lett. C dell’accordo collettivo reso esecutivo con d.P.R.
n. 484/96, ai medici iscritti negli elenchi della assistenza primaria sono attribuite quote mensili
determinate con i criteri di cui al punto F dell’art. 41 d.P.R. n. 314 del 1990. Il compenso è
determinato sulla base di un certo valore iniziale, incrementato secondo le percentuali previste dalla
stessa norma, moltiplicato per il numero delle scelte in carico al singolo medico per ciascun mese,
con il tetto massimo di 1.500 scelte o della quota individuale.
Analoga previsione è contenuta nell’art. 45 lettera A2 dell’accordo collettivo reso esecutivo con
d.P.R. n. 270 del 2000.
Ai sensi dell’art. 41, lettera F, del d.P.R. n. 314 del 1990, ai medici iscritti negli elenchi della
medicina generale sono attribuite quote mensili di caro-vita determinate in linea con i criteri di cui
alla legge n. 38 del 1986 e all’art. 16 del d.P.R. n. 13/86, con le seguenti specificazioni: “… c) il
compenso tabellare che, sommato alle quote di caro-vita spettanti nel semestre precedente ,
costituisce la base di calcolo per l’applicazione dei criteri di cui alla legge n. 38/1986 e al decreto
del Presidente della Repubblica n. 13/86, è rappresentato dal valore iniziale dell’onorario
professionale di cui alla lettera A), individuato in £. 23.683 per l’anno 1990 e £. 24.277 per l’anno
1991, moltiplicato per il numero delle scelte in carico al singolo medico in ciascun mese, con il tetto
massimo di 1.500 scelte; d) ai medici con un numero di scelte inferiori a 477 unità spetta un
incremento delle quote di caro-vita corrispondente a quello riferito a 477 scelte decurtato di un
decimo per ogni 50 scelte – o frazione di 50 superiore a 25 – al di sotto del limite di 477”.
Con la dichiarazione a verbale n. 9 dell’accordo collettivo nazionale per i medici di medicina
generale reso esecutivo con d.P.R. n. 314 del 1990 le parti si sono date reciprocamente atto che le
quote di caro-vita dovute ai medici di medicina generale alla data del 1 novembre 1985
ammontavano a £. 610.310 mensili correlate al tetto massimo di n. 477 scelte e che eventuali

compenso aggiuntivo spettante allo stesso sanitario.

correzioni dipendenti da questa presa d’atto avrebbero avuto effetto dal mese successivo a quello di
pubblicazione del d.P.R. che rendeva esecutivo l’accordo.
3.2.- La Corte territoriale, confermando la decisione adottata dal primo giudice, ha ritenuto che il
criterio di cui alla lettera d) del punto F dell’art. 41 cit. dovesse trovare applicazione, secondo il
tenore letterale della norma, unicamente per i sanitari aventi un numero di scelte in carico inferiori a
477, mentre per i medici che avessero avuto in carico un numero di scelte superiore a detto limite
l’ammontare del compenso doveva essere determinato calcolando dapprima quello dovuto ad un

scelte di cui il medico era in concreto titolare, fermo il limite massimo delle 1.500 scelte.
3.3.- Non è dunque vero che la Corte territoriale abbia ritenuto che il compenso previsto per
ciascuna scelta debba essere, in assoluto, sempre “uguale per tutti a prescindere dal numero delle
scelte in carico al sanitario”. L’affermazione che si legge in tal senso alla pag. 9 della sentenza non
può infatti essere isolata da tutto il contesto della motivazione, e deve essere letta in una con quanto
precisato nei successivi passi della sentenza, secondo cui “il criterio di calcolo stabilito dalla lettera
d) deve trovare applicazione unicamente con riferimento ai sanitari aventi un numero di scelte in
carico inferiori a 477”, con la precisazione che “tale previsione introduce chiaramente un
meccanismo finalizzato ad assicurare un minimo reddituale ai sanitari che hanno un numero di
scelte inferiore a 477, contemplando un incremento delle quote di carovita corrispondente a quello
riferito a 477 scelte decurtate di 1/10 per ogni 50 scelte (o frazione di 50 superiore a 25 al di sotto
del limite di 477)”. Al contrario di quanto presupposto dalla ricorrente (e riprodotto anche nel
quesito di diritto), il criterio interpretativo adottato dalla Corte d’appello non comporta, dunque, che
la determinazione del compenso aggiuntivo possa prescindere dal numero complessivo delle scelte
in carico al sanitario, né esso può ritenersi in contrasto con le indicazioni contenute nella
dichiarazione a verbale n. 9, invocata dalla ASL, ben potendo quest’ultima dichiarazione riferirsi
all’ipotesi prevista dalla lettera d) del punto F dell’art. 41 (e cioè ai medici con un numero di scelte
inferiori a 477 unità).
3.4.- Ne consegue che le censure formulate con il primo motivo, presupponendo l’adozione da
parte dei giudici di merito di un criterio interpretativo diverso da quello effettivamente applicato, e
non sviluppando una esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui tale ultimo criterio
dovrebbe ritenersi errato, devono ritenersi prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza
impugnata e come tali inammissibili.
4.- Parimenti inammissibili devono ritenersi le censure espresse con il secondo motivo, che
riguarda il c.d. status lavorativo del Vertucci, in quanto tutte fondate sul riferimento ad atti
(memoria di costituzione in primo grado, note autorizzate, ricorso in appello) o a documenti

3

medico avente in carico 1.500 scelte, e riducendo poi quest’ultimo in proporzione del numero di

(deliberazioni dell’azienda ricorrente, prospetti di liquidazione, relazione del c.t.u., rilievi del
consulente tecnico di parte) di cui la ricorrente non ha riportato in ricorso il contenuto.
5.- In definitiva, quindi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, ed a tale pronuncia segue la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da
dispositivo, facendo riferimento alle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012, n. 140 e alla tabella
A ivi allegata, in vigore al momento della presente decisione (artt. 41 e 42 d.m. cit.), disponendone
la distrazione a favore dei difensori del resistente, avv.ti Elio Polito e Corrado Riggio, che ne hanno

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio liquidate in € 50,00 oltre € 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di
legge, disponendone la distrazione a favore dei difensori antistatari.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 maggio 2013.

fatto richiesta.

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