Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2107 del 31/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2107 Anno 2014
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: BARRECA GIUSEPPINA LUCIANA

ORDINANZA
sul ricorso 5677-2012 proposto da:
PANDONE MARCELLO PNDMCL50D27I115I, titolare
dell’omonima impresa edile, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato MAZZEO ANTONIO giusta procura a margine del
ricorso;

– ricorrente contro
TELECOM ITALIA SPA, in persona del procuratore speciale e legale
rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MICHELE
MERCATI 51, presso lo studio dell’avvocato BRIGUGLIO
ANTONIO, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del
controricorso;

– controricorrente –

Data pubblicazione: 31/01/2014

nonchè contro
D&V COSTRUZIONI DI DIAFERIO ANTONIETTA SAS,
VANNI COSTRUZIONI DI VANNI MICHELE & C. SAS;

– intimate –

depositata 11 08/11/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
04/12/2013 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPINA LUCIANA
BARRECA;
è presente il P.G. in persona del Dott. IGNAZIO PATRONE.
Premesso in fatto
E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
“1.- Con la sentenza impugnata il Tribunale di Foggia ha rigettato l’appello
proposto da Marcello Pandone, nei confronti di TELECOM Italia S.p.A. e delle
imprese intimate indicate in epigrafe, avverso la sentenza del Giudice di Pace di
Foggia del 31 ottobre 2005. Con questa sentenza il Pandone era stato
condannato al risarcimento dei danni (ammontanti ad E 894,16) subiti da
TELECOM Italia S.p.A. per la rottura di un cavo telefonico, ascritta agli operai
dipendenti del Pandone e ritenuta provocata nel corso dell’esecuzione dei lavori
di scavo di una fogna; con la stessa sentenza il Pandone era stato condannato al
pagamento delle spese di lite sia in favore dell’attrice TELECOM che in favore
delle imprese che egli aveva chiamato in causa quali subappaltatrici.
1.1.- Il ricorso è affidato a tre motivi. TELECOM Italia S.p.A. resiste con
controricorso; non si difendono le altre intimate.
2.- Col primo motivo si deduce violazione ed errata applicazione dell’art. 2050
cod. civ.; violazione ed errata applicazione dell’art. 2697 cod. civ.; omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia. Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe errata nei
seguenti punti: a) presunzione di responsabilità a carico del Pandone; b)
mancata prova da parte di Telecom dell’esistenza del nesso eziologico tra
l’esercizio dell’attività ascritta al Pandone ed evento dannoso; c) presunta
irrilevanza della stipula dei contratti di subappalto tra il Pandone e le terze
chiamate in causa e del mancato riscontro di chi fosse nella piena ed esclusiva
disponibilità del cantiere all’epoca dell’evento. Il ricorrente aggiunge che la
sentenza impugnata sarebbe illogica nella parte in cui, pur condannando il
Pandone, avrebbe affermato espressamente che non sussistono elementi per
ritenere con sicurezza che sia stato proprio lo scavo in discussione a provocare
Ric. 2012 n. 05677 sez. M3 – ud. 04-12-2013
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avverso la sentenza n. 1541/2011 del TRIBUNALE di FOGGIA,

il danno oggetto di causa, nonché insufficiente ed inadeguata nella parte in cui
non avrebbe considerato l’esistenza dei contratti di subappalto (in particolare
quello con la D&V Costruzioni sas alla quale sarebbero state commissionate
tutte le opere di ristrutturazione e manutenzione delle opere edili, tra cui i lavori
di scavo per la costruzione di condotte fognanti o movimento terra) e
l’autonomia delle imprese subappaltatrici, che avrebbero avuto la piena
disponibilità del cantiere.
2.1. Col secondo motivo si deduce violazione ed errata applicazione dell’art.
115 e 116; omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa i punti
decisivi della controversia e precisamente in ordine: a) alla valenza probatoria
data alla deposizione del teste (de relato) Armillotta, dipendente della Telecom;
b) all’omessa valutazione della documentazione prodotta in secondo grado dal
ricorrente attestante il pagamento in favore della D&V dei lavori edili; c) al
tenore delle dichiarazioni dei legali rappresentanti delle terze chiamate in causa
in sede di interrogatori formali. Il ricorrente critica in particolare la valutazione
della deposizione de relato, che avrebbe avuto ad oggetto circostanze apprese
dal teste da soggetti interessati a far ricadere ogni responsabilità in capo al
Pandone (in particolare, secondo il ricorrente, mancherebbe <>, laddove il secondo riguardava il capo
di condanna alle spese.

3.1.- I motivi di ricorso sono manifestamente infondati laddove assumono che il
Tribunale avrebbe affermato una presunzione di responsabilità a carico del
Pandone, laddove, al contrario, ha proceduto ad un riesame nel merito di tutte le
risultanze istruttorie già emerse in primo grado.
Essi sono inammissibili nella parte in cui sostanzialmente sollecitano questa
Corte ad una rilettura ed una nuova valutazione di tali risultanze, in senso
contrario a quanto reputato dai due giudici di merito, e favorevole invece al
ricorrente.
In particolare, il Tribunale non ha omesso di considerare l’esistenza dei due
contratti di subappalto ed il rispettivo ambito oggettivo (compreso quello
affidato alla D&V Costruzioni), né ha omesso di considerare la circostanza
della proprietà o meno di escavatori in capo all’impresa Pandone.
Quanto alla valutazione della deposizione testimoniale di Giuseppe Armillotta,
va ribadito il principio per il quale la valutazione di attendibilità del testimone è
attribuita al prudente apprezzamento del giudice di merito, la cui valutazione è
incensurabile in cassazione se correttamente motivata.
Nel caso di specie, è logicamente ineccepibile l’affermazione del giudice a quo
dell’equidistanza del testimone, poiché la sua deposizione non era valutata
come rilevante nei rapporti tra la Telecom, parte attrice, di cui il testimone era
dipendente, ed il Pandone, parte convenuta, bensì nei rapporti tra quest’ultimo e
le imprese subappaltatrici.
Quanto agli ulteriori rilievi di cui al ricorso, va detto che la dichiarazione resa
dal testimone Armillotta (aver trovato sul posto, al momento della verificazione
del danno, operai che gli avevano riferito di essere dipendenti della ditta
Pandone), per la parte in cui risulta essere de relato, quanto al rapporto di
lavoro dei presenti, è stata specificamente valutata dal Tribunale. La
valutazione di attendibilità risulta ben sorretta dall’esclusione della sussistenza
di qualsiasi riscontro probatorio all’assunto di mendicità sostenuto dal Pandone
in grado di appello. La motivazione, resa anche in ragione del fatto che
l’appellante era decaduto dalla prova testimoniale, non appare viziata, atteso
che il ricorrente non ha indicato in ricorso quali sarebbero gli elementi (ulteriori
rispetto a quelli già considerati dal Tribunale) da cui si sarebbe dovuta, invece,

Ric. 2012 n. 05677 sez. M3 – ud. 04-12-2013
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Ne segue che le questioni sulle quali non risulta essere stato proposto appello titolo della responsabilità, modalità di verificazione del fatto, nesso eziologico
tra fatto ed evento di danno- ed implicanti, per di più, accertamenti di fatto,
sono inammissibili in sede di legittimità

Al riguardo va sottolineato che, oltre ad apparire privi del requisito della
decisività, così come dedotti in ricorso, sono inammissibili i riferimenti che il
ricorrente, già appellante, fa sia ad una sentenza emessa in altro giudizio, che
alle dichiarazioni rese dai legali rappresentanti delle ditte subappaltatrici in sede
di interrogatorio formale, quali elementi di prova di cui il Tribunale non si
sarebbe occupato: è violato il disposto dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. poiché
non è riportato in ricorso il contenuto né della sentenza né degli interrogatori,
quanto meno nella parte che sarebbe decisiva ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ.
4. Col terzo motivo di ricorso si denuncia violazione ed errata applicazione
dell’art. 91 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione, per la parte in cui la
sentenza d’appello ha rigettato il motivo di gravame concernente la condanna
alle spese del giudizio di primo grado.

Il motivo non è meritevole di accoglimento poiché risulta che il giudice di pace,
così come confermato dal Tribunale, abbia applicato il principio della
soccombenza. Né può rilevare l’accoglimento soltanto parziale dell’originaria
domanda della società attrice, che la parte appellante ha posto a base della
censura della condanna al pagamento, non parziale, ma integrale, delle spese di
lite: la censura concerne, in sostanza, la mancata compensazione parziale delle
spese. Questa non è censurabile in cassazione poiché in tema di condanna alle
spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che
soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno
per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e il suddetto criterio non
può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio ma va riferito
unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o
fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei
favorevole. Con riferimento al regolamento delle spese il sindacato della Corte
di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo
il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la
conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del
giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in
parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia
nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cass. n. 406/08).
Gli ulteriori rilievi contenuti nel terzo motivo di ricorso riguardano una pretesa
eccessività delle spese di lite liquidate nel primo grado di giudizio. Essi sono
inammissibili perché generici e parziali, in quanto prescindono dalle ragioni
della decisione di secondo grado, minuziosamente esposte al punto b) della pag.
5 dell’impugnata sentenza.
In conclusione, va proposto il rigetto del ricorso. “.

La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai
difensori.
Ric. 2012 n. 05677 sez. M3 – ud. 04-12-2013
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trarre la conclusione della dipendenza degli operai dall’una o dall’altra delle
ditte subappaltatrici.

Non sono state presentate conclusioni scritte.
Ritenuto in diritto
A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio,
il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella
relazione.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in
favore della resistente TELECOM Italia SPA, delle spese del giudizio
di cassazione, complessivamente liquidate in € 1.200,00, di cui € 200,00
per esborsi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il giorno 4 dicembre 2013, nella camera di
consiglio della sesta sezione civile — 3 della Corte suprema di
cassazione.

Il ricorso va perciò rigettato.

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