Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21065 del 16/09/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 21065 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

sentenza con motivazione semplificata

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

GIAMBATTISTA Giovanni, GRANATA Adriana, PAGLIARI Roberto, elettivamente domiciliati in Roma, lungotevere Michelangelo n.
9, presso lo studio degli Avv. Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, dai quali sono rappresentati e difesi
per procura speciale in calce al ricorso;

ricorrenti

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in
Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– resistente –

Data pubblicazione: 16/09/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia n. 509/12,
depositato in data 4 maggio 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16 luglio 2013 dal Consigliere relatore Dott. Alberto

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Ranieri Roda con delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Maurizio Velardi, il quale ha chiesto raccoglimento
del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.

– Con ricorso depositato il 25 maggio 2011 presso la

Corte d’appello di Perugia, Giovanni Giambattista, Adriana
Granata e Roberto Pagliari hanno proposto, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, domanda di equa riparazione del danno
non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole durata
del giudizio di equa riparazione introdotto dinanzi alla Corte
d’appello di Roma con ricorso depositato nel mese di settembre
2006, parzialmente accolto con decreto depositato nel mese di
aprile 2008, cui ha fatto seguito, dopo la presentazione del
ricorso per cassazione notificato nel giugno 2009, la sentenza
di cassazione del dicembre 2010.
L’adita Corte d’appello ha dichiarato la domanda inammissibile, ritenendo non esperibile il rimedio di cui alla legge n.
89 del 2001 in relazione a procedimenti relativi alla denun-

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Giusti;

ciata violazione della durata ragionevole dei giudizi di equa
riparazione, non discendendo tale proponibilità dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed essendo l’eventuale ritardo nella definizione dei procedimenti

ex lege n. 89 del

2. – Per la cassazione di questo decreto Giovanni Giambattista e gli altri istanti indicati in epigrafe hanno proposto
ricorso sulla base di un unico motivo.
L’intimata Amministrazione non ha resistito con controricorso, ma ha depositato una memoria di costituzione ai fini
dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l. – Il collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza.
2. – Con l’unico motivo i ricorrenti denunciano violazione
e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e
degli artt. 6, 13 e 41 della CEDU, nonché dell’art. 111 Cost.,
rilevando che la legge n. 89 del 2001 non consente in alcun
modo di distinguere i procedimenti di equa riparazione da
quelli ai quali la medesima legge si applica e di sottrarli
quindi al regime di ragionevole durata, che discende direttamente dalla Convenzione europea e dalla Costituzione italiana.
3. – Il ricorso è fondato.
Questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi più volte in ordine alla applicabilità del procedimento disciplinato dalla

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2001 compensabile dal giudice del procedimento.

legge n. 89 del 2001 ai procedimenti introdotti sulla base
della legge stessa, per i quali deve ritenersi predicabile
l’operatività del termine ragionevole di durata e del conseguente regime indennitario in caso di sua violazione.

conformi), il giudizio di equa riparazione, che si svolge
presso le Corti d’appello ed eventualmente, in sede di impugnazione, dinnanzi a questa Corte, è un ordinario processo di
cognizione, soggetto, in quanto tale, alla esigenza di una definizione in tempi ragionevoli, esigenza, questa, tanto più
pressante per tale tipologia di giudizi, in quanto finalizzati
proprio all’accertamento della violazione di un diritto fondamentale nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per
sé una condizione di sofferenza e un patema d’animo che sarebbe eccentrico non riconoscere anche per i procedimenti

ex lege

n. 89 del 2001. Né appare condivisibile l’assunto che il giudizio dinnanzi alla Corte d’appello e l’eventuale giudizio di
impugnazione costituiscano una fase necessaria di un unico
procedimento destinato a concludersi dinanzi alla Corte europea, nel caso in cui nell’ordinamento interno la parte interessata non ottenga una efficace tutela all’indicato diritto
fondamentale, atteso che il procedimento interno rappresenta
una forma di tutela adeguata ed efficace, sempre che, ovviamente, si svolga eSso stesso nell’ambito di una ragionevole
durata.

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Come affermato di recente (Cass. n. 5924 del 2012 e altre

Quanto alla determinazione della ragionevole durata di un
procedimento di equa riparazione, nelle numerose sentenze emesse nel 2012 (vedi, segnatamente, la n. 5924, cit.), questa
Corte ha ritenuto che ove, come nel caso di specie, venga in

di cassazione, la durata complessiva debba essere ritenuta ragionevole ove non ecceda il termine di due anni.
4. – Il ricorso deve quindi essere accolto, essendo erronea
la decisione della Corte territoriale che ha ritenuto inammissibile il procedimento di equa riparazione per la irragionevole durata di un procedimento di equa riparazione relativamente
a giudizio presupposto di altra natura.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la
causa può essere decisa nel merito.
Nel caso di specie, infatti, dallo stesso provvedimento impugnato emerge che la durata complessiva del procedimento di
equa riparazione è stata di circa quattro anni e tre mesi. Detratto il termine ragionevole, stimato in due anni, nonché il
termine di un anno intercorso tra il deposito del decreto e la
proposizione dell’impugnazione, ulteriore rispetto al termine
breve previsto per il ricorso per cassazione, la durata non
ragionevole risulta essere stata di circa un anno e tre mesi.
Alla luce dell’accertata irragionevole durata del giudizio,
a ciascun ricorrente spetta un indennizzo che va liquidato
sulla base di euro 750 per anno, e quindi in complessivi euro

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rilievo un giudizio “Pinto” svoltosi anche dinanzi alla Corte

937,50, oltre interessi legali dalla data della domanda al
saldo.
Ai ricorrenti compete altresì il rimborso delle spese
dell’intero giudizio, liquidate complessivamente nella misura

Le spese devono essere distratte in favore dei difensori
dei ricorrenti, dichiaratisi antistatari.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e,
decidendo nel merito,

condanna il Ministero della giustizia al

pagamento, in favore di ciascun ricorrente, della somma di euro 937,50, oltre interessi legali dalla data della domanda al
saldo;

condanna

il Ministero alla rifusione delle spese

dell’intero giudizio, che liquida, per il giudizio di merito,
in euro 806, di cui euro 50 per esborsi, 311 per diritti e 445
per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di
legge, e, per il giudizio di legittimità, in euro 606,25, di
cui euro 506,25 per compensi ed euro 100 per esborsi, oltre
agli accessori dà legge. Dispone la distrazione delle spese
del giudizio di merito e di legittimità in favore dei difensori dei ricorrenti, Avvocati GiovaMbattista Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratisi antistatari.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 11I-2
Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 luglio
2013.

indicata in dispositivo.

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