Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21064 del 19/10/2016

Cassazione civile sez. III, 19/10/2016, (ud. 12/05/2016, dep. 19/10/2016), n.21064

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26130/2013 proposto da:

M.G., (OMISSIS), M.M. (OMISSIS), B.C.

(OMISSIS), M.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,

V. FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA

REGGIO D’ACI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FEDERICO LAMESSO giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA MONTE PASCHI SIENA SPA, in persona del Dott. B.E.

nella qualità di Preposto Reparto Recupero Crediti, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 288, presso lo studio

dell’avvocato MICHELA REGGIO D’ACI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ANTONIO CIMINO, MARIA DALLA SERRA giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1257/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2016 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

udito l’Avvocato ANDREA REGGIO D’ACI;

udito l’Avvocato ENRICO GAI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per la manifesta

infondatezza del ricorso ex art. 360 c.p.c., n. 5, condanna

aggravata alle spese e statuizione sul c.u..

Fatto

I FATTI

Il Tribunale di Vicenza nel 2012 respingeva la domanda di simulazione e accoglieva la domanda subordinata di revocatoria proposta dalla Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. nei confronti di M.G., dei figli E., M. e della moglie B.C., dichiarando l’inefficacia degli atti con i quali M.G. aveva donato, rispettivamente alla moglie B. e ai figli M. ed E. la nuda proprietà di tre immobili, trattenendone l’usufrutto per sè e dopo la sua morte per la moglie B., e dei due atti del (OMISSIS) con i quali sempre G. M. aveva trasferito ai due figli E. e M. le quote della società M Service s.r.l..

La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza qui impugnata, rigettava sia l’appello principale dei M. – B. che l’appello incidentale della banca, volto ad accertare la simulazione dei predetti atti traslativi.

M.G., E., M. e B.C. propongono ricorso articolato in cinque motivi nei confronti di Banca Monte Paschi di Siena s.p.a. (già Banca Antonveneta s.p.a.) per la cassazione della sentenza n. 1257/2013, depositata dalla Corte d’Appello di Venezia in data 50 maggio 2013, notificata in data 6.9.2013, regolarmente depositata in copia notificata.

Resiste con controricorso la Banca.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

I ricorrenti sostengono che i rapporti di parentela sussistenti tra le parti, ed il fatto che le quote cedute afferissero ad una società di famiglia di per sè non fossero circostanze idonee e sufficienti a giustificare la consapevolezza, anche in capo agli acquirenti delle quote, della idoneità dell’atto a ledere l’altrui diritto creditorio.

Precisano che il credito a tutela del quale la banca ha agito in revocatoria trae origine da una fideiussione prestata nel (OMISSIS) dal M.G., a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni di una società M. s.r.l. della quale era stato socio e dalla quale, per

dissapori con il fratello amministratore, il M. G. era uscito nel 2000

disinteressandosi poi completamente delle vicende societarie; non ricordava neppure di aver prestato la fideiussione nè la banca lo aveva mai informato che la società non avesse restituito il prestito.

I ricorrenti deducono, con il primo motivo, la violazione delle regole sull’onere probatorio, avendo la corte d’appello fondato la sua decisione solo su alcune presunzioni, peraltro putative, senza consentire ai ricorrenti di provare il contrario con le prove orali richieste, neppure in relazione all’atto di trasferimento a titolo oneroso delle quote sociali in ordine al quale rilevava anche la scientia dammi in capo agli acquirenti.

Con il secondo e il terzo motivo, i ricorrenti denunciano l’illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nella omessa ammissione delle prove orali delle quali la corte d’appello ha escluso la rilevanza. Sostengono che l’esclusione sarebbe stata motivata solo sulla base del presupposto che per la donazione rilevasse solo l’eventus damni, restando irrilevante la scientia fraudis (laddove per l’atto dispositivo di quote sociali, compiuto a titolo oneroso, la scientia fraudis degli acquirenti sarebbe stata rilevante).

I primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, e sono infondati.

In realtà, la corte d’appello non ha omesso di considerare la necessità della prova sulla scientia fraudis, ha piuttosto escluso le prove perchè le ha ritenute irrilevanti, così come formulate, ed inidonee pertanto a fornire la prova che il venditore non fosse consapevole della situazione debitoria che gravava sulla società della quale era garante e che i suoi figli, in ragione della parentela e del fatto che si trattasse di società di famiglia, non potessero essere all’oscuro del fatto che la spoliazione dei beni fosse finalizzata a diminuire la garanzia patrimoniale del debitore.

Non vi è quindi violazione delle norme sull’onere probatorio nè omessa considerazione di un fatto decisivo, ma diversa considerazione del medesimo fatto nell’apprezzamento compiuto dal giudice di merito.

Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., sulla base del fatto che la corte territoriale avrebbe confuso le due società, la M Service s.r.l., della quale i ricorrenti M.E. e M. acquistarono le quote dal padre nel (OMISSIS), con la M. s.rl., società le cui obbligazioni erano invece state garantite dal M.G., deducendone che l’acquisto della quote della M Service portasse a comprovare una conoscenza o ancor più una ingerenza degli acquirenti nella gestione della diversa società M. s.r.l. dalla quale il padre era uscito dal (OMISSIS) e delle cui sorti si era poi del tutto disinteressato.

Il motivo è anch’esso infondato.

In realtà, i ricorrenti non prospettano neppure una ultrapetizione nè una omessa pronuncia, ma si limitano a confutare la ricostruzione in fatto degli elementi di prova e la valutazione data ad essi dalla corte d’appello.

Con il quinto motivo i ricorrenti deducono poi la illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360, n. 3, per violazione dell’art. 2901 c.c., avendo la corte equiparato la colposa ignoranza da parte di M.G. della situazione patrimoniale della società debitrice alla consapevolezza in capo a questi di detta situazione.

Nessuna violazione dell’art. 2901 c.c., è ascrivibile alla sentenza d’appello, in quanto la corte fonda il suo convincimento in ordine alla sussistenza della consapevolezza – o quanto meno all’impossibilità di ignorare, da parte del M.G., la situazione debitoria nella quale versava la società da lui garantita, da una serie di elementi presuntivi dei quali dà una lettura complessiva che la induce a ritenerli presunzioni gravi, precise e concordanti: oltre alla prestazione della garanzia, il fatto che egli fino al (OMISSIS) oltre che socio e garante fosse anche amministratore della società garantita, e che ne sia uscito con la cessione di un ramo di azienda, il che presupponeva una stima esatta della situazione della società, comprensiva del valore del ramo ceduto e della parte rimanente, ed inoltre la comprovata esistenza di rapporti personali e d’affari tra i germani M. sia prima che dopo la cessazione della qualità di socio da parte di M.G..

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

Atteso che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione della soccombenza del ricorrente, la Corte, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico dei ricorrenti le spese sostenute dalla controricorrente e le liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e contributo spese generali.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 12 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2016

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