Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21062 del 11/09/2017

Cassazione civile, sez. lav., 11/09/2017, (ud. 07/06/2017, dep.11/09/2017),  n. 21062

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19763-2015 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VAL

D’OSSOLA 25, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE LEONTI,

rappresentato e difeso dagli avvocati LUIGI PESCE, MICHELE

CAMPOLIETI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

FCA ITALY HOLDINGS S.P.A., già FIAT POWERTRAIN TECHNOLOGIES S.P.A.,

FCA ITALY S.P.A. già FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A. p.i. (OMISSIS),

in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente

domiciliate in ROMA PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato

RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che le rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MARIANO MORGESE, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 283/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 04/02/2015 R.G.N. 163/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Ritam che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LUIGI PESCE;

uditi gli Avvocati MARIANO MORGESE e RAFFAELE DE LUCA TAMAJO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 4 febbraio 2015, la Corte d’appello di Campobasso dichiarava improcedibile l’appello incidentale proposto da M.G. e, in accoglimento di quello principale di Fiat Powertrain Technologies (ora FCA Italy Holdings) s.p.a. e di Fiat Group Automobiles (ora FCA Italy) s.p.a., rigettava le domande di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla prima società, con le conseguenti condanne reintegratoria e risarcitoria, formulate dal lavoratore: così riformando la sentenza di primo grado, che le aveva invece accolte sul rilievo della sproporzione tra la sanzione disciplinare e il fatto come ricostruito dall’ampia istruttoria svolta.

A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva improcedibile l’appello incidentale del lavoratore, siccome non notificato alla controparte, nella palese insufficienza (e inidoneità ad ottenere la concessione del differimento dell’udienza per provvedere alla notifica omessa) del solo deposito della memoria difensiva in cui era contenuto, in violazione dell’art. 436 c.p.c., comma 3.

Disattese poi le eccezioni di inammissibilità dell’appello principale ai sensi degli artt. 434 e 436bis c.p.c., per la compiuta argomentazione difensiva opposta dall’appellato ad ognuno dei motivi, essa ne riteneva la fondatezza nel merito. E ciò per l’indubbia sussistenza della giusta causa del licenziamento, proporzionato alla gravità del fatto, irrimediabilmente lesivo del vincolo di fiducia tra le parti, così come individuato negli elementi essenziali della sua ricostruzione in fatto, sulla base della contestazione di assenza dal lavoro il giorno 22 giugno 2010, giustificata dal lavoratore con la permanenza a casa in assistenza alla figlia minore malata, essendosi in realtà recato presso lo stabilimento FGA di (OMISSIS) in occasione del referendum sull’accordo sindacale, con atteggiamento dissimulatorio mantenuto anche nei giorni successivi.

Con atto notificato il 4 e 5 agosto 2015, il lavoratore ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui resistevano le due società con unico controricorso e memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 436 c.p.c., comma 3, artt. 291,159 e 162 c.p.c., per erronea dichiarazione di improcedibilità dell’appello incidentale, tempestivamente depositato e non notificato, dovendo essere concesso il richiesto termine di notificazione alla controparte.

2. Con il secondo, il ricorrente deduce nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 434 c.p.c., per la non corrispondenza della formulazione dell’appello avversario ai requisiti prescritti dalla norma denunciata.

3. Con il terzo, il ricorrente deduce nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., per non corretta ricostruzione del fatto, con omissione di prove ritualmente acquisite e valorizzazione di elementi (in particolare, dichiarazioni pubblicate sulla stampa) estranei al giudizio, così pervenendo a conclusioni apodittiche ed erronee.

4. Con il quarto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 10 CCNL di categoria, per difetto di proporzionalità della sanzione disciplinare applicata, senza tenere conto della sanzione conservativa prevista dalla prima norma contrattuale collettiva denunciata (in riferimento all’ipotesi di assenza dal lavoro ovvero di suo abbandono senza giustificato motivo o giustificazione alcuna) e delle ipotesi tipizzate dalla seconda norma di licenziamento con preavviso o senza.

5. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 436 c.p.c., comma 3, artt. 291,159 e 162 c.p.c., per erronea dichiarazione di improcedibilità dell’appello incidentale, è infondato.

5.1. Ed infatti, è stato ormai superato il più risalente indirizzo richiamato dal ricorrente, secondo cui si riteneva che, nel rito del lavoro, la sanzione della decadenza dall’appello incidentale dovesse intendersi comminata dall’art. 436 c.p.c., comma 3 nella sola ipotesi di mancato deposito in cancelleria della memoria difensiva dell’appellato, contenente l’appello stesso, entro il termine fissato dalla legge; e non anche nel caso di omissione dell’adempimento, parimenti previsto dalla legge, della notificazione della memoria nello stesso termine: con la conseguenza che, in caso di mancata notificazione entro detto termine della memoria costitutiva contenente l’appello incidentale risultante tuttavia tempestivamente depositata in cancelleria, il giudice dovesse concedere all’appellante incidentale nuovo termine, perentorio, per la notificazione omessa (Cass. 4 agosto 2004, n. 14952; Cass. 16 febbraio 2005, n. 3069; Cass. 4 agosto 2006, n. 17765; Cass. 11 aprile 2007, n. 8708; Cass. 22 maggio 2007, n. 11888).

5.2. Più recentemente, è stato inaugurato e si è con il tempo consolidato un contrario indirizzo di legittimità, in applicazione del principio, affermato da un autorevole arresto, di improcedibilità dell’appello principale, pur tempestivamente proposto, qualora non sia avvenuta la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, non essendo consentito al giudice l’assegnazione all’appellante di un termine perentorio per una nuova notificazione a norma dell’art. 291 c.p.c. (Cass. s.u. 30 luglio 2008, n. 20604). E ciò per evidenti ragioni di parità di trattamento delle parti di fronte agli adempimenti imposti dalla legge processuale nell’ottica di una ragionevole durata del processo. Ebbene, secondo il nuovo indirizzo, nel rito del lavoro, l’appello incidentale, pur tempestivamente proposto ma che non sia stato notificato, deve essere dichiarato improcedibile poichè il giudice, in attuazione del principio della ragionevole durata del processo, non può assegnare all’appellante un termine per provvedere a nuova notifica: e la suddetta improcedibilità è rilevabile d’ufficio, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti (Cass. 3 aprile 2017, n. 8595; Cass. 19 gennaio 2016, n. 837; Cass. 9 giugno 2015, n. 11854; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3042).

6. Il secondo motivo, relativo a nullità della sentenza e del procedimento per non corrispondenza della formulazione dell’appello avversario ai requisiti prescritti dall’art. 434 c.p.c., è inammissibile.

6.1. Il vizio denunciato integra un difetto di attività tanto del giudice (di non corretto rilievo) tanto della parte (che non ha assolto all’esatta integrazione del modello legale di impugnazione) e pertanto un fatto processuale, sul quale il giudizio verte e del quale la Corte di cassazione deve necessariamente poter prendere cognizione. Esso si colloca, infatti, all’interno di una vicenda tuttora in corso di sviluppo, tanto quando ancora si stia svolgendo nella fase del giudizio di merito, tanto quando sia transitata nel giudizio di legittimità, che si inserisce pur sempre nel medesimo rapporto processuale: e ciò per la fondamentale unitarietà del procedimento, pur nei suoi diversi gradi e fasi, che ne rende il vizio sempre attuale, ove sia tale da incidere sulla decisione della causa e da compromettere la realizzazione del “giusto processo”. Proprio questa natura del vizio giustifica che anche il giudice di legittimità debba conoscere dell’error in procedendo in ogni suo aspetto, perchè la rottura della corretta sequenza procedimentale investe il medesimo giudizio di cassazione, sicchè chi vi è preposto deve direttamente accertarsene (Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077).

Si comprende allora da dove discenda il potere del giudice di legittimità di diretto esame della specificità dei motivi di appello, senza poter limitare la sua cognizione all’esame di sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito abbia vagliato la questione (Cass. 28 novembre 2014, n. 25308; Cass. 10 settembre 2012, n. 15071; Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077; Cass. 15 gennaio 2009, n. 806; da ultimo, in linea generale: Cass. 21 aprile 2016, n. 8069).

Nè un tale esame di questa Corte certamente esime parte ricorrente dal formulare la censura in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito e quindi, nel caso di specie, in conformità in particolare alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (Cass. 12 maggio 2010, n. 11477; Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077; Cass. 20 luglio 2012, n. 12664; Cass. 20 settembre 2016, n. 18422).

Ma ad un siffatto onere M.G. non ha assolto, sicchè il motivo difetta di specificità, sotto il profilo della violazione del principio di autosufficienza del ricorso per la mancata trascrizione dell’atto di appello censurato di non corrispondenza al modello prescritto dalla norma denunciata.

7. Il terzo motivo relativo a nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. per non corretta ricostruzione del fatto sulla base delle prove raccolte, è inammissibile.

7.1. Ed infatti, è innanzi tutto inconfigurabile una denuncia di error in procedendo in materia di onere della prova e di ammissibilità ed efficacia dei vari mezzi probatori, in quanto di pertinenza del diritto sostanziale: con la conseguenza della deducibilità della loro violazione come vizio di error in iudicando (Cass. 4 febbraio 2000, n. 1247; Cass. 19 marzo 2014, n. 6332). E ciò tanto meno in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, sicchè la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 30 novembre 2016, n. 24434): oggi tanto più rigorosi per la drastica riduzione dell’ambito di devoluzione all’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

7.2. Il motivo si risolve piuttosto nella sostanziale contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale e dell’accertamento in fatto dalla stessa operato, già insindacabile in sede di legittimità sotto il previgente testo dell’art. 306 c.p.c., comma 1, n. 5 ove congruamente motivato (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412), come appunto nel caso di specie (per le ragioni esposte dal terzo capoverso di pg. 6 all’ultimo di pg. 10 della sentenza) e tanto meno nella vigenza, ratione temporis, del suo testo novellato.

7.3. Infine, deve essere ribadito il principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000).

8. Il quarto motivo relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 10 CCNL di categoria per difetto di proporzionalità della sanzione disciplinare applicata, è invece fondato.

8.1. In via di premessa, deve essere ravvisata l’ammissibilità del mezzo, sotto il profilo del rispetto del principio di autosufficienza, per l’esauriente trascrizione, ai fini, come è d’uopo sottolineare, non tanto di diretta interpretazione delle norme contrattuali collettive denunciate (spettante a questa Corte di legittimità in base al novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: Cass. 19 marzo 2014, n. 6335; Cass. 9 settembre 2014, n. 18946; Cass. 19 agosto 2016, n. 17208), quanto piuttosto di parametro di valutazione comparativa di proporzionalità del licenziamento (per giusta causa) intimato rispetto alla gravità del fatto contestato. E ciò appunto in riferimento alle sanzioni conservative (ammonizioni scritte, multe e sospensioni) previste dall’art. 9, denunciato sotto il suddetto profilo insieme con l’art. 10, relativo a licenziamenti per mancanze (con preavviso o senza): tenuto in ogni caso conto della verificata produzione integrale del CCNL applicabile nel caso di specie.

8.2. Occorre allora avviare l’esame dalla lettera di contestazione di addebito 9 luglio 2010, contenuta nella lettera raccomandata di licenziamento 20 e 22 luglio 2010 (nella trascrizione a pgg. 2 e 3 del ricorso), qui riportata negli elementi di essenziale rilevanza: “In data 22 giugno 2010 Ella, assegnato a primo turno (ore 6.00 – 14.00), si assentava dal lavoro, informando solo il giorno dopo il Suo Capo Ute Sig. L.G. di aver inteso fruire di un giorno di permesso retribuito ai sensi della L. n. 53 del 2000, facendo poi pervenire all’Azienda il 29 giugno 2010, a copertura di tale assenza, un certificato a firma del Dott. D.N. datato 22 giugno 2010, nel quale si attesta il bisogno di assistenza domiciliare a Sua figlia di anni due per lo stesso giorno “in base alla L. n. 53 del 2000, art. 4”, senza peraltro specificarne le concrete ragioni.

Tuttavia, risulta che, contraddicendo quanto rappresentato nel detto certificato da Lei utilizzato a giustificazione dell’assenza, il giorno 22 giugno 2010 Ella si è recato presso lo stabilimento FGA di (OMISSIS) in occasione del noto referendum sull’accordo sindacale, indetto tra i lavoratori del sito, partecipando quella mattina alla manifestazione svoltasi dinanzi ai cancelli della fabbrica, come tra l’altro documentato dalla fotografie dell’evento, che si allegano alla presente, pubblicate sul sito internet del quotidiano “La Repubblica”, che la ritraggono sul posto insieme ai Signori D.P.A. e M.D.” (tale ultimo periodo è integralmente trascritto, quale “essenza dell’addèbito”, anche al terzo capoverso di pg. 6 della sentenza). “Ciò posto, La invitiamo a rendere… le Sue eventuali giustificazioni… Preso atto che, in data 14 luglio 2010 Ella, nel rendere le proprie giustificazioni con l’assistenza del Signor D.P.A., non ha fornito elementi a discolpa, nè ha disconosciuto di essersi recato il 22 giugno 2010 presso lo stabilimento FGA di (OMISSIS) e di esser stato ivi ritratto dagli organi di stampa giusta le fotografie allegate alla lettera di contestazione”. Ebbene, alla luce della contestazione di addebito illustrata, la Corte territoriale ha accertato, sulla scorta delle testimonianze assunte in primo grado (nella ricostruzione in fatto operata all’ultimo capoverso di pg. 7 della sentenza), “che il dr. D., giunto poco dopo le ore 7,30 a casa del M. per visitare la bambina, vi aveva trovato il predetto ed a quello, richiestone, aveva rilasciato il certificato che, citata L. n. 53 del 2000, ex art. 4 consente il permesso retribuito di cui trattasi; nell’ambito di detta visita, alla bambina non era stata fatta una diagnosi di varicella, anzi non se ne era nemmeno fatto cenno “… il discorso sulla varicella non venne manco citato più, ecco, era solo un’ipotesi prima dell’inizio della visita, ma si parlò come ipotesi iniziale prima che venisse vista la bambina… “: teste D.N.); più tardi, nella stessa mattinata del 22.6.2012 il M. sarebbe partito per (OMISSIS) (lo ha testimoniato la moglie, D.P.F.); a (OMISSIS), e segnatamente nel contesto della manifestazione ivi organizzata, il M. era certamente presente (tanto da essere fotografato e riportato da stampa e televisione), entro le ore 14.00, come rilevato dal teste F.M., addetto a curare la rassegna stampa di quell’evento, e come riferito dai colleghi Mo. e D.P., raggiunti dal M. tra le 13.30 e le 13.30”.

A conclusione dell’accertamento in fatto operato, la stessa Corte molisana ha quindi chiosato: “Questi, ad avviso del collegio giudicante, sono gli unici fatti obiettivi di rilievo” (così l’incipit del primo capoverso di pg. 8 della sentenza).

8.3. Ed è allora su tali fatti, incontestatamente accertati e coerenti con la contestazione alla base del licenziamento disciplinare intimato, che deve essere condotto l’esame del rispetto del principio di proporzionalità denunciato di violazione: evidentemente nell’ambito di competenza di questa Corte e non già del suo apprezzamento nella concretezza del fatto, di competenza del giudice di merito.

Appare allora utile richiamare il consolidato insegnamento di legittimità, secondo cui la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare (Cass. 18 settembre 2012, n. 15654; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144).

Inoltre, la sussistenza in concreto di una giusta causa di licenziamento va accertata in relazione sia alla gravità dei fatti addebitati al lavoratore (desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi nonchè dall’intensità dell’elemento intenzionale), sia alla proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta: per la quale ultima, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza (Cass. 16 ottobre 2015, n. 21017; Cass. 4 marzo 2013, n. 5280; Cass. 13 febbraio 2012, n. 2013).

Sicchè, a questa Corte spetta la verifica della concretizzazione operata dall’interprete della giusta causa di licenziamento quale clausola generale, tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede dì legittimità come violazione di legge (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144).

Senza con ciò interferire con la competenza propria del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità sempre che non affetta da vizi giuridici (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144; e quello denunciato è appunto vizio giuridico), anche in riferimento al requisito di proporzionalità, che esige valutazione non astratta dell’addebito, ma attenta ad ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo (Cass. 13 febbraio 2012, n. 2013).

8.4. E’ bene poi sottolineare come il giudice non sia vincolato dalle tipizzazioni di giusta causa contenute nella contrattazione collettiva (Cass. 4 marzo 2004, n. 4435; Cass. 18 gennaio 2007, n. 1095; Cass. 4 marzo 2013, n. 5280; Cass. 26 giugno 2013, n. 16095), come si evince anche dall’indicazione contenuta nella L. n. 183 del 2010, art. 30, comma 3, prima parte secondo cui “nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui al titolo 8 D.Lgs. n. 276 del 2003 e successive modificazioni”. Ed è proprio per questa assenza di vincolo, palesata dalla locuzione “tener conto”, che il giudice deve compiere un accertamento in relazione sia alla gravità dei fatti addebitati al lavoratore (desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi nonchè dall’intensità dell’elemento intenzionale), sia alla proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, con valutazione dell’inadempimento in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” dettata dall’art. 1455 c.c. (Cass. 16 ottobre 2015, n. 21017).

Per contro (e per la distinzione della valenza meramente esemplificativa dell’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo: Cass. 12 febbraio 2016, n. 2830), qualora un determinato comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia contemplato dal contratto collettivo come integrante una specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione conservativa, non può formare oggetto di una autonoma e più grave valutazione da parte del giudice, salvo che non si accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva (Cass. 7 maggio 2015, n. 9223; Cass. 17 giugno 2011, n. 13353).

8.5. Alla luce dei suenunciati principi di diritto, occorre allora rilevare come, in ordine all’esatta applicazione del principio di proporzionalità fra il fatto e la sanzione inflitta, attenta ad ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva del fatto, alle circostanze nelle quali esso è stato commesso e all’intensità del profilo intenzionale, la Corte abbia omesso ogni considerazione, per ravvisata irrilevanza (come risulta dalle affermazioni al primo periodo e al penultimo capoverso di pg. 7 della sentenza), di elementi oggettivi (una sola giornata di assenza lavorativa) e soggettivi (assenza di premeditazione nella decisione di partecipare alla manifestazione di (OMISSIS), assunta solo dopo la rassicurazione del medico delle condizioni non gravi della figlia), che costituiscono elementi (non certo marginali, ma) costitutivi del fatto contestato e accertato, alla base del licenziamento intimato.

Ed esso consiste, nella sua oggettività fattuale, nell’essersi il lavoratore assentato per una giornata dal lavoro per prestare assistenza alla figlia di due anni malata, così giustificata con certificazione medica ed ottenendo un permesso retribuito ai sensi della L. n. 53 del 2000, art. 4 recandosi poi, una volta ottenuta rassicurazione dal medico recatosi a domicilio per la visita ed ormai in orario non più compatibile con il rispetto del primo turno di lavoro per quel giorno assegnatogli (dalle ore 6,00 alle ore 14,00), presso lo stabilimento FGA di (OMISSIS) in occasione del noto referendum sull’accordo sindacale, indetto tra i lavoratori del sito, per partecipare alla manifestazione svoltasi dinanzi ai cancelli della fabbrica. Questo fatto contestato e accertato deve, ai fini di una corretta applicazione del principio di proporzionalità, integrante la giusta causa del licenziamento intimato, essere comparato con le sanzioni conservative (dell’ammonizione scritta, della multa e della sospensione) in riferimento alle ipotesi (di assenza dal lavoro o di abbandono del posto di lavoro senza giustificato motivo ovvero giustificazione entro il giorno successivo) stabilite dall’art. 9 del CCNL di categoria applicabile ratione temporis, di cui denunciata la violazione sotto il profilo esaminato.

9. A ciò provvederà, in una con la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, il giudice di rinvio, designato nella Corte d’appello di Napoli, previa la cassazione della sentenza impugnata, in relazione al quarto motivo, accolto per le superiori argomentazioni, rigettati gli altri.

PQM

 

LA CORTE

accoglie il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2017

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