Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2106 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 25/01/2022, (ud. 17/12/2021, dep. 25/01/2022), n.2106

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23560-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

Z.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1213/4/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELL’EMILIA ROMAGNA, depositata il 07/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

Z.M. impugnava avanti la CTP di Modena l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate a suo carico all’esito di complesse indagini relative alla posizione fiscale della contribuente riguardanti il periodo di imposta dal 2001 al 2009.

Il giudice adito rigettava il ricorso che veniva impugnato dalla contribuente avanti la CTR dell’Emilia Romagna che con sentenza nr1213 lo accoglieva. Osserva infatti che l’Agenzia dell’Entrate aveva fatto ricorso al raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, in assenza delle condizioni di legge.

Evidenziava in questa prospettiva che non fosse stata allegata agli di causa la notizia di reato che avrebbe legittimato il raddoppio dei termini per l’accertamento dell’anno 2001.

Rilevava che nel caso in esame non era stata neppure contestata alla contribuente una violazione di rilevanza penale né era stata offerta una diversa rappresentazione dei fatti dall’Agenzia appellata.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone appello affidato ad un unico motivo con cui censura la decisione sotto il profilo della violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3.

Sostiene infatti che ciò che rileva ai fini del raddoppio dei termini per l’accertamento tributario è la sussistenza di un obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p., e quindi l’astratta configurabilità di un ipotesi di reato mentre il ritardo o l’omissione della denuncia assumono rilevanza sotto il profilo della responsabilità penale del pubblico ufficiale e non sotto l’aspetto dei termini.

L’intimata non si è costituita.

Il ricorso è fondato.

Giova ricordare che in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, per l’IRPEF e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, per l’IVA consegue, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, e alla L. 31 dicembre 2015, n. 208, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p..

La dizione legislativa rende chiaro che il raddoppio è legato all’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che fa sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 331 citato, e non dipende dal suo accertamento in concreto.

Come più volte chiarito da questa S.C., anche sulla scorta dei principi enunciati da Corte Cost. n. 247 del 2011, il raddoppio opera pertanto in presenza di tale presupposto astratto, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denunzia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (Cass. 2.7.2020 nr 13481; Cass., Sez. VI, 28/06/2019, n. 17586, Cass., Sez. V, 13/09/2018, n. 22337; Cass., Sez. VI, 30/05/2016, n. 11171).

Ciò naturalmente non rende di per sé legittimo qualunque accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria oltre il termine-base fissato dalla legge, dovendo al contrario essere evitato, come chiarito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 247 del 2011, un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento.

La Corte costituzionale n. 247 del 2011,in particolare, ha chiarito che, in caso di denuncia presentata oltre gli ordinari termini di decadenza o addirittura di accertamento compiuto senza denuncia, e sempre al fine di verificare l’uso pretestuoso del raddoppio dei termini, “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità”, con la precisazione però che “il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato” (p. 5.3. della sentenza della Corte costituzionale).

Da ciò discende che il contribuente, ove voglia contestare l’accertamento compiuto oltre il termine ordinario, dovrà denunciare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia e non potrà mettere in discussione la sussistenza del reato, né sotto il profilo dell’elemento oggettivo, né sotto quello dell’elemento soggettivo, né infine dal punto di vista del suo autore.

Ora nella specie, dall’illustrazione dei motivi di gravame esposti in via riassuntiva dalla CTR risulta che la contribuente abbia invece incentrato la sua critica sulla insussistenza di fattispecie delittuose in tal modo censurando la sentenza impugnata per non aver esercitato un controllo sull’esistenza del reato.

Poiché tuttavia tale controllo è precluso al giudice tributario, ciò rendeva inammissibile il motivo in esame.

La sentenza va pertanto cassata e rinviata alla CTR dell’Emilia Romagna,che in diversa composizione esaminerà le ulteriori questioni rimaste assorbite provvedendo alla liquidazione delle spese di questa fase.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

 

 

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