Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21059 del 19/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 19/10/2016, (ud. 16/03/2016, dep. 19/10/2016), n.21059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12016/2013 proposto da:

M.L., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE BOCCATO

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DIFESA, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 715/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato MARIA ANTONIA BOCCATO per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del 2

motivo di ricorso, rigetto degli altri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 27/3/2012 la Corte d’Appello di Venezia – dichiarata la cessazione della materia del contendere tra il sig. M.L., la Regione Veneto, la USL n. (OMISSIS) di Padova, la Gestione Liquidatoria della USL n. (OMISSIS) di Padova, la USL n. (OMISSIS) di Basso Piave, la Gestione Liquidatoria della USL n. (OMISSIS) di Basso Piave, i sigg. R.G. e V.F.; dichiarato altresì assorbito l’appello della Regione Veneto-, in parziale accoglimento del gravame interposto in via incidentale dal M. e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Venezia 27/3/2012, ha condannato il Ministero della Difesa al pagamento in favore del M. della somma di Euro 3.500,00, “salvo il regresso per la quota già stabilita dal tribunale”, oltre a quella già liquidata dal giudice di prime cure, esclusa la voce di c.d. danno esistenziale, in quanto “non più riconoscibile a seguito del recente orientamento della giurisprudenza di legittimità”, a titolo di risarcimento dei danni dal medesimo subiti in conseguenza della caduta da un’altezza di circa 4 metri all’esito del crollo del parapetto, al quale era appoggiato, di una piattaforma del radar ove era salito assieme a un commilitone durante una pausa tra un turno e l’altro durante il servizio di leva prestato presso il (OMISSIS).

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il M. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 complesso motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c., art. 3 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che non siano state utilizzate le Tabelle di Milano e non sia stato liquidato il danno esistenziale.

Con il 2 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1223, 1226, 2043 e 2056, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omessa, insufficiente e contraddittoria” motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 3 motivo denunzia “nullità della sentenza, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nonchè “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente e immotivatamente ritenuto che si fosse “formato il giudicato circa la ripartizione della responsabilità tra i convenuti di primo grado”.

Con il 4 motivo denunzia error in procedendo “circa la ritenuta irrilevanza e/o inammissibilità di mezzi istruttori.

Si duole della mancata ammissione della richiesta prova testimoniale.

Il ricorso è fondato p.g.r. e va accolto nei termini di seguito indicati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, alla stessa stregua di quanto si verifica relativamente al danno patrimoniale (cfr., da ultimo, Cass., 14/6/2015, n. 14645; Cass., 12/6/2015, n. 12211) la diversità ontologica degli aspetti (o voci) di cui si compendia la categoria generale del danno non patrimoniale impone, in ossequio al principio dell’integralità del ristoro (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972), che in quanto sussistenti e provati essi vengano tutti risarciti, e nessuno sia lasciato privo di ristoro (v. Cass., 23/4/2013, n. 9770; Cass., 17/4/2013, n. 9231; Cass., 7/6/2011, n. 12273; Cass., 9/5/2011, n. 10108).

Questa Corte ha del pari avuto più volte modo di sottolineare (v. in particolare Cass., 23/1/2014, n. 1361) come, al contrario di quanto da alcuni dei primi commentatori sostenuto e anche in giurisprudenza di legittimità a volte affermato (v. Cass., 13/5/2009, n. 11408, e, da ultimo, Cass., 12/2/2013, n. 3290), debba escludersi che le Sezioni Unite del 2008 abbiamo negato la configurabilità e la rilevanza a fini risarcitori (anche) del c.d. danno esistenziale.

Al di là della qualificazione in termini di categoria, nelle pronunzie del 2008 risulta infatti confermato che, quale sintesi verbale (in tali termini v. già Cass., 12/6/2006, n. 13546), gli aspetti o voci di danno non patrimoniale non rientranti nell’ambito del danno biologico, in quanto non conseguenti a lesione psico-fisica, ben possono essere definiti come esistenziali, attenendo alla sfera relazionale della persona, autonomamente e specificamente configurabile allorquando la sofferenza e il dolore non rimangano più allo stato intimo ma evolvano, seppure non in “degenerazioni patologiche” integranti il danno biologico, in pregiudizi concernenti aspetti relazionali della vita (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2006, n. 26972).

Al riguardo, si noti, già la corte di legittimità costituzionale delle leggi ha da tempo posto in rilievo come il danno biologico possa sostanziarsi nel “danno alla salute” quale “momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell’equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo, e che in persone predisposte da particolari condizioni (debolezza cardiaca, fragilità nervosa, ecc.), anzichè esaurirsi in un patema d’animo o in uno stato di angoscia transeunte, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente, alle cui conseguenze in termini di perdita di qualità personali, e non semplicemente al pretium doloris in senso stretto, va allora commisurato il risarcimento” (così Corte Cost., 27/10/1994, n. 372).

Al di là di affermazioni di principio secondo cui il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., precluderebbe la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (v. Cass., 12/2/2013, n. 3290; Cass., 14/5/2013, n. 11514), da questa Corte si perviene poi generalmente a darsi comunque rilievo alla circostanza che nel liquidare l’ammontare dovuto a titolo di danno non patrimoniale il giudice abbia invero tenuto conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi dello stesso nel singolo caso concreto (cfr., da ultimo, Cass., 23/9/2013, n. 21716).

Emerge evidente come rimanga a tale stregua invero sostanzialmente osservato il principio dell’integralità del ristoro, sotto il suindicato profilo della necessaria considerazione di tutti gli aspetti o voci in cui la categoria del danno non patrimoniale si scandisce nel singolo caso concreto, non essendovi in realtà differenza tra la determinazione dell’ammontare a tale titolo complessivamente dovuto mediante la somma dei vari “addendi”, e l’imputazione di somme parziali o percentuali del complessivo determinato ammontare a ciascuno di tali aspetti o voci (cfr. Cass., 23/1/2014, n. 1361).

Nella giurisprudenza di legittimità si è d’altro canto sottolineato che il principio della integralità del ristoro del danno non si pone in termini antitetici ma viene anzi a correlarsi con quello per il quale il danneggiante/debitore è tenuto al risarcimento solamente dei danni arrecati con il fatto illecito o l’inadempimento a lui causalmente ascrivibile, l’esigenza della cui tutela impone anche di evitarsi duplicazioni risarcitorie (v. Cass., 30/6/2011, n. 14402; Cass., 14/9/2010, n. 19517).

In tema di liquidazione del danno non patrimoniale, al fine di stabilire se il risarcimento sia stato duplicato ovvero sia stato erroneamente sottostimato, rileva non già il “nome” assegnato dal giudicante al pregiudizio lamentato dall’attore (“biologico”, “morale”, “esistenziale”), ma unicamente il concreto pregiudizio preso in esame dal giudice.

Si ha, pertanto, duplicazione di risarcimento solo quando il medesimo pregiudizio sia liquidato due volte, sebbene con l’uso di nomi diversi (v. Cass., 30/6/2011, n. 14402; Cass., 6/4/2011, n. 7844. In tal senso deve intendersi invero anche quanto affermato anche da Cass., Sez. Un., 16/2/2009, n. 3677: “Il c.d. danno esistenziale costituisce solo un ordinario danno non patrimoniale, che non può essere liquidato separatamente sol perchè diversamente denominato”).

E’ invero compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore persona si siano verificate, e provvedendo al relativo integrale ristoro (v. Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972).

Le Sezioni Unite del 2008 avvertono che i patemi d’animo e la mera sofferenza psichica interiore sono normalmente assorbiti in caso di liquidazione del danno biologico, cui viene riconosciuta “portata tendenzialmente onnicomprensiva”.

In tal senso è da intendersi la statuizione secondo cui la sofferenza morale non può risarcirsi più volte, allorquando essa non rimanga allo stadio interiore o intimo ma si obiettivizzi, degenerando in danno biologico o in danno esistenziale.

Non condivisibile è invece l’assunto secondo cui, allorquando vengano presi in considerazione gli aspetti relazionali, il danno biologico assorbe sempre e comunque il c.d. danno esistenziale (in tal senso v. invece Cass., 10/2/2010, n. 3906; Cass., 30/11/2009, n. 25236).

E’ infatti necessario verificare quali aspetti relazionali siano stati valutati dal giudice, e se sia stato in particolare assegnato rilievo anche al (radicale) cambiamento di vita, all’alterazione/cambiamento della personalità del soggetto, allo sconvolgimento dell’esistenza in cui di detto aspetto (o voce) del danno non patrimoniale si coglie il significato pregnante (cfr. Cass., 20/8/2015, n. 16992; Cass., 30/6/2011, n. 14402), laddove un danno c.d. esistenziale risarcibile non è configurabile in presenza di un mero “sconvolgimento dell’agenda” o nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità della vita, e in particolare da meri disagi, fastidi, disappunti, ansie, stress o violazioni del diritto alla tranquillità (v. Cass., 3/10/2016, n. 19641; Cass., 20/8/2015, n. 16992; 23/1/2014, n. 1361. E già Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26973; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26974).

In presenza di una liquidazione del danno biologico che contempli in effetti anche siffatta negativa incidenza sugli aspetti dinamico-relazionali del danneggiato, è correttamente da escludersi la possibilità che, in aggiunta a quanto a tale titolo già determinato, venga attribuito un ulteriore ammontare a titolo (anche) di danno esistenziale.

Analogamente deve dirsi allorquando la liquidazione del danno morale sia stata espressamente estesa anche ai profili relazionali nei termini propri del danno esistenziale (cfr. Cass., 15/4/2010, n. 9040; Cass., 16/9/2008, n. 23275).

Laddove siffatti aspetti relazionali non siano stati invece presi in considerazione (del tutto ovvero secondo i suindicati profili peculiarmente connotanti il c.d. danno esistenziale), dal relativo ristoro non può invero prescindersi (cfr. Cass., 17 settembre 2010, n. 19816. Cfr. altresì, da ultimo, Cass., 20/4/2016, n. 7766).

I criteri di valutazione equitativa, la cui scelta ed adozione è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, devono essere dunque idonei a consentire debbono consentire pertanto una valutazione che sia equa, e cioè adeguata e proporzionata (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408), in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico mediante la c.d. personalizzazione del danno (v. Cass., 16/2/2012, n. 2228; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., 29/3/2007, n. 7740; Cass., 12/6/2006, n. 13546), al fine di addivenirsi a una liquidazione congrua, sia sul piano dell’effettività del ristoro del pregiudizio che di quello della relativa perequazione – nel rispetto delle diversità proprie dei singoli casi concreti – sul territorio nazionale (v. Cass., 13/5/2011, n. 10528; Cass., 28/11/2008, n. 28423; Cass., 29/3/2007, n. 7740; Cass., 12/7/2006, n. 15760).

Com’è noto, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale da sinistro stradale valida soluzione si è ravvisata essere invero quella costituita dal sistema delle tabelle (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972. V. altresì Cass., 13/5/2011, n. 10527).

Lo stesso legislatore, oltre alla giurisprudenza, ha fatto ad esse espressamente riferimento.

In tema di responsabilità civile da circolazione stradale, il D.Lgs. n. 209 del 2005, ha introdotto la tabella unica nazionale per la liquidazione delle invalidità c.d. micropermanenti.

In assenza di tabelle normativamente determinate, ad esempio per le c.d. macropermanenti e per le ipotesi come nella specie diverse da quelle oggetto del suindicato decreto legislativo, il giudice fa normalmente ricorso a tabelle elaborate in base alle prassi seguite nei diversi tribunali (per l’affermazione che tali tabelle costituiscono il c.d. “notorio locale” v. in particolare Cass., 1 giugno 2010, n. 13431), la cui utilizzazione è stata dalle Sezioni Unite avallata nei limiti in cui, nell’avvalersene, il giudice proceda ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno non patrimoniale, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, al fine “di pervenire al ristoro del danno nella sua interezza” (v. Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972).

Preso atto che le Tabelle di Milano sono andate nel tempo assumendo e palesando una “vocazione nazionale”, in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell’equità valutativa, e ad evitare (o quantomeno ridurre) – al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali – ingiustificate disparità di trattamento che finiscano per profilarsi in termini di violazione dell’art. 3 Cost., comma 2, questa Corte è pervenuta a ritenerle valido criterio di valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., delle lesioni di non lieve entità (dal 10% al 100%) conseguenti alla circolazione (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., 30/6/2011, n. 14402).

Si è al riguardo ulteriormente precisato che ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale i parametri delle Tabelle di Milano sono da prendersi a riferimento, quale criterio di riscontro e verifica, anche in presenza di danno come nella specie conseguente a sinistro diverso da quello stradale (cfr. Cass., 20/8/2015, n. 16992; Cass., 24/2/2015, n. 3592. E già Cass., 30/6/2011, n. 14402).

Le tabelle, siano esse giudiziali o normative, costituiscono dunque strumento senz’altro idoneo a consentire al giudice di dare attuazione alla clausola generale posta all’art. 1226 c.c. (v. Cass., 19/5/1999, n. 4852).

Dopo essersi per lungo tempo esclusa la necessità di motivare in ordine all’applicazione delle tabelle in uso presso il proprio ufficio giudiziario (v. Cass., 2/3/2004, n. 418) con obbligo di dare per converso adeguatamente conto della eventuale scelta di avvalersi di tabelle in uso presso altri uffici (v. Cass., 21/10/2009, n. 22287; Cass., 1/6/2006, n. 13130; Cass., 3/8/2005, n. 16237), questa Corte ha radicalmente mutato il proprio orientamento, pervenendo ad affermare che la mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano in favore di altre, ivi ricomprese quelle in precedenza adottate presso la diversa autorità giudiziaria cui appartiene, integra violazione di norma di diritto censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408, e, conformemente, Cass., 22/12/2011, n. 28290).

Sotto altro profilo, si è posto in rilievo che ove le Tabelle applicate per la liquidazione del danno non patrimoniale cambino nelle more tra l’introduzione del giudizio e la sua decisione, il giudice – anche d’appello – ha l’obbligo di utilizzare i parametri vigenti al momento della decisione (v. Cass., 27/11/2015, n. 24210; Cass., 6/3/2014, n. 5254).

Orbene, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza invero disatteso i suindicati principi.

In particolare là dove ha apoditticamente affermato che “con riferimento al quantum ulteriore domandato dal M., devono essere escluse le voci concernenti il richiesto ristoro del c.d. danno esistenziale (non più riconoscibile a seguito del recente orientamento della giurisprudenza di legittimità S.U. 26972/08)”.

Ancora, nella parte in cui ha liquidato il danno alla salute con l’impiego di Tabelle diverse da quelle di Milano, senza adeguatamente motivare al riguardo (v. Cass., 29/6/2011, n. 14402, e, conformemente, Cass., 18/11/2014, n. 24473) e senza renderne invero nemmeno nota la provenienza, a tale stregua rendendo nemmeno controllabili i criteri di relativa elaborazione (cfr. Cass., 6/3/2014, n. 5253).

Dell’impugnata sentenza, assorbita ogni ulteriore e diversa questione, va pertanto disposta la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.

Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie p.q.r. il ricorso. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2016

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