Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21058 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/10/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 02/10/2020), n.21058

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11947/2019 R.G. proposto da:

R.A., avvocato, in giudizio di persona ex art. 86 c.p.c.,

con domicilio eletto presso il proprio indirizzo di posta

elettronica certificata;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, C.F. (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla

via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8636/23/2018 della Commissione tributaria

regionale della CAMPANIA, depositata il 10/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del giorno 10/09/2020 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– il contribuente R.A. ricorre, affidandosi a tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate – Riscossione, che replica con controricorso, per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dal R. avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, confermando la legittimità della cartella impugnata, emessa per il recupero dell’IRPEF dovuta dal predetto contribuente per l’anno d’imposta 2013, sostenendo, per quanto ancora qui di interesse con riferimento alla specifica indicazione del calcolo degli interessi applicati, che “nelle avvertenze contenute nell’atto notificato sono indicati i criteri di calcolo degli interessi, avvenuto ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 20”;

– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la mancata rilevazione d’ufficio, da parte dei giudici di appello, della nullità della procura ad litem rilasciata nel giudizio di primo grado dall’agente della riscossione (all’epoca Equitalia Servizi di riscossione s.p.a.) ad un avvocato del libero foro, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2;

– con il secondo motivo deduce la mancata rilevazione d’ufficio, da parte della CTR, della nullità della procura ad litem rilasciata nel giudizio di primo grado dall’Agenzia delle entrate Riscossione ad un avvocato del libero foro, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 2, del D.L. n. 193 del 2016, art. 1, commi 5 e 8, convertito con modificazioni dalla L. n. 225 del 2016 e 43 del R.D. n. 1611 del 1933, come modificato dalla L. n. 103 del 1979, art. 11;

– i due motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto vertente sulla medesima questione, ovvero la possibilità dell’agente della riscossione di avvalersi di un avvocato del libero foro dinanzi alle commissioni tributarie, sono manifestamente infondati;

– invero, nella specie viene in rilievo il del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, dettato in materia di “assistenza tecnica”, che, prescrivendo, anche a seguito della modifica operata dal D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, comma 1, lett. e), l’obbligo dell’assistenza tecnica per i privati, non rende affatto illegittima la nomina a difensore di un professionista esterno iscritto all’albo da parte degli uffici finanziari e dell’agente della riscossione che, ai sensi del citato D.Lgs., art. 11, comma 2, stanno in giudizio direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata. Invero, il fatto che gli uffici finanziari, gli agenti della riscossione ed i soggetti iscritti all’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 446 del 1997 (ovvero, i soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni) non siano destinatari di tale obbligo non significa che non abbiano la facoltà di farsi assistere da un difensore abilitato. In tale direzione muove anche la disposizione di cui al vigente citato art. 12, comma 8 che prevede la facoltà per i soli uffici finanziari (Agenzia delle entrate, delle dogane e dei monopoli) di farsi assistere anche dall’Avvocatura dello Stato. Questa disposizione, infatti, non sta ad indicare una facoltà “residuale” quanto, piuttosto, una facoltà “aggiuntiva” per detti uffici finanziari, fermo restando che nessuna norma impedisce che questi o gli agenti della riscossione o gli enti locali possano farsi assistere da difensori abilitati anche privati, anche perchè una simile limitazione mal si concilierebbe con l’art. 24 Cost., comma 2, (in tale senso, con riferimento al previgente art. 12 citato, cfr. Cass. n. 22804/2006, n. 17936/2004, n. 19080/2003, n. 18541/2003);

– ma i motivi in esame sono manifestamente infondati anche e soprattutto alla stregua delle disposizioni introdotte dalla riforma del settore di cui al D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2016, n. 225 (vigente all’epoca di introduzione del giudizio dinanzi la CTP di Napoli, effettuata, per stessa ammissione di parte ricorrente, con atto notificato in data 05/01/2017), cui ha fatto seguito la stipula del Protocollo d’intesa tra Avvocatura dello Stato e Agenzia delle Entrate-Riscossione n. 36437 del 5 luglio 2017;

– orbene, le Sezioni unite di questa Corte, pronunciando al riguardo, nella citata sentenza n. 30008 del 2020 hanno affermato (par. 24) i seguenti principi di diritto:

“impregiudicata la generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, per la rappresentanza e la difesa in giudizio l’Agenzia delle Entrate Riscossione si avvale:

– dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come ad essa riservati dalla convenzione con questa intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1933, art. 43, comma 4, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, ovvero, in alternativa e senza bisogno di formalità, nè della delibera prevista dal richiamato R.D., art. 43, comma 4, cit., di avvocati del libero foro – nel rispetto del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, artt. 4 e 17 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del medesimo D.L. 193 del 2016, art. 1, comma 5 – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio”; “quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura o di indisponibilità di questa ad assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente ed implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità”;

– il Protocollo d’intesa tra Avvocatura dello Stato e Agenzia delle Entrate – Riscossione, n. 36437 del 5 luglio 2017, ha poi previsto espressamente, al punto 3.4.2, in tema di “Contenzioso afferente l’attività di Riscossione”, che “L’Ente sta in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti o di avvocati del libero foro, iscritti nel proprio Elenco avvocati, nelle controversie relative a: (…) liti innanzi alle Commissioni Tributarie”;

– infondato è anche il secondo motivo di ricorso incentrato sull’omessa specificazione in cartella del calcolo degli interessi moratori, in violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, commi 1 e 3, e della L. n. 212 del 2000, art. 7;

– va, infatti, ribadito il principio ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui “In tema di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento, nell’ipotesi di liquidazione dell’imposta ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis”, come nel caso di specie (v. sentenza impugnata, par. 3.4.),

“costituisce l’atto con il quale il contribuente viene a conoscenza per la prima volta della pretesa fiscale e come tale deve essere motivata; tuttavia, nel caso di mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente medesimo nella propria dichiarazione, nonchè qualora vengano richiesti interessi e sovrattasse per ritardato od omesso pagamento, il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima” (Cass. Sez. 5, sent. n. 26671 del 18/12/2009, Rv. 610912; conf. Cass. n. 25329 del 2014; n. 14236 del 2017);

– in estrema sintesi, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2020.

Il Presidente

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

 

 

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