Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21053 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/10/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 02/10/2020), n.21053

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6118/2019 R.G. proposto da:

B.F.M., rappresentato e difeso, per procura speciale in

calce al ricorso, dall’avv. SOLI Saschia presso il cui studio

legale, sito in Perugia, alla via della Cupa, n. 7, è elettivamente

domiciliato;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata

in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3006/18/2018 della Commissione tributaria

regionale della LOMBARDIA, depositata il 28/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2020 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di due cartelle di pagamento emesse nei confronti di B.F.M. per IVA, IRES ed IRAP con riferimento agli anni di imposta 2011 e 2012, la CTR lombarda con la sentenza in epigrafe indicata accoglieva l’appello proposto dall’amministrazione finanziaria ritenendo provata la legittimazione dei funzionari che avevano sottoscritto gli estratti di ruolo posti a base delle cartelle di pagamento impugnate sulla scorta della documentazione prodotta dall’amministrazione finanziaria in secondo grado ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, e ritenendo sanata l’eccepita nullità della notifica delle cartelle ai sensi dell’art. 156 c.p.c., avendole il ricorrente tempestivamente impugnate.

2. Avverso tale statuizione il Bonini ricorre per cassazione sulla base di tre motivi, cui replica con controricorso la sola Agenzia delle entrate – Riscossione.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380-bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Va preliminarmente rigettata l’eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso per essere stato proposto da difensore privo del ius postulandi. Invero, al ricorso è allegata in cale la procura speciale conferita dal Bonini all’avv. S.S. in data 16/11/2018, quindi antecedentemente alla proposizione del ricorso. In tale procura si fa espresso riferimento al ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, di cui sono esattamente indicati gli estremi identificativi.

2. Venendo ai motivi di ricorso, con il primo viene dedotta la “nullità e/o illegittimità della sentenza per mancata o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti costituite”, e, segnatamente, quello relativo alla “validità delle nuove produzioni effettuate in appello dall’appellante” (ricorso, pag. 4), sostenendosi che i giudici di appello non avevano specificato le ragioni per le quali “il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58 ammette senza dubbio la produzione per la prima volta in secondo grado di qualsiasi nuovo documento” (ricorso, pag. 5). Il motivo, sostanzialmente diretto a censurare la statuizione impugnata per difetto assoluto di motivazione, sub specie di motivazione apparente, e, quindi un error in procedendo, per come è dato desumere dal contenuto delle argomentazioni svolte nel ricorso, è ammissibile ancorchè venga dedotto sotto il profilo del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto “L’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determina l’inammissibilità del ricorso, se (come nel caso di specie) dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato” (cfr. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26310 del 07/11/2017, Rv. 646419; Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4036 del 20/02/2014, Rv. 630239).

2. Il motivo è manifestamente infondato e va rigettato.

3. E’ noto che la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo – quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).

3.1. Nel caso di specie la CTR ha ritenuto ammissibile ed utilizzabile la documentazione prodotta dall’amministrazione finanziaria in grado di appello richiamando il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, che al comma 2 prevede espressamente ed in maniera assolutamente chiara “la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti”. Per-tanto la CTR ha espresso una ben identificabile ratio decidendi, sicchè deve escludersi l’imperscrutabilità della ratio che rende nulla la sentenza per apparenza motivazionale (Cass., Sez. U., n. 22232 del 2016 Rv. 641526).

3.2. Al riguardo va ricordato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “In materia di produzione documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2, – in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima – non trova applicazione la preclusione di cui all’art. 345, comma 3, c.p.c. (nel testo introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69), essendo la materia regolata dal citato D.Lgs., art. 58, comma 2, che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado” (Cass. n. 18907/2011, n. 23616/2011, 3661/2015, n. 27774/2017, n. 8927/2018, ord. nn. 22776/2015, 655/2014, 20109/2012, 25449/2017, 27774/2017, 6382/2018, 8927/2018, nonchè Sez. U., n. 1518/2016 e Corte Cost. n. 199/2017).

4. Da quanto appena detto consegue l’inammissibilità (cfr. Cass., Sez. U., 21 marzo 2017, n. 7155) del secondo motivo di ricorso con cui il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 345 c.p.c., avendo la CTR fatto corretta applicazione del sopra ricordato principio di diritto, costantemente affermato da questa Corte.

5. Con il terzo motivo di ricorso il Bombini deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa pronuncia sulla questione dell’invalidità della notifica perchè effettuata presso un indirizzo estraneo al contribuente, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 142 e 156 c.p.c., sostenendo l’inapplicabilità al caso di specie della sanatoria di cui alla disposizione da ultimo citata.

6. Orbene, richiamato preliminarmente quanto sopra detto esaminando il primo motivo di ricorso circa l’ammissibilità del mezzo di cassazione erroneamente dedotto (come vizio di motivazione anzichè come error in procedendo), la prima censura del mezzo di cassazione in esame è manifestamente infondata in quanto la CTR ha esaminato e deciso il motivo di appello con cui era stata dedotta l’invalidità della notifica delle cartelle di pagamento impugnate perchè notificate ad indirizzo diverso da quello di residenza e domicilio del contribuente, ritenendo applicabile la sanatoria di cui all’art. 156 c.p.c.

7. Il motivo in esame, là dove il ricorrente deduce anche “la completa omissione della trattazione” da parte dei giudici di appello della “questione dell’assenza di prova in relazione alla qualifica dei sottoscrittori dei ruoli” (ricorso, pag. 8), è manifestamente infondato avendo la CTR espressamente affermato che la legittimazione dei funzionari che avevano sottoscritto gli estratti di ruolo posti a base delle cartelle di pagamento impugnate era stata provata dall’amministrazione finanziaria con la documentazione prodotta in quel grado di giudizio D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 58.

8. Anche la violazione di legge dedotta con il predetto terzo motivo è inammissibile (cfr. Cass., Sez. U., 21 marzo 2017, n. 7155), avendo la sentenza impugnata fatto corretta applicazione del principio di diritto costantemente affermato da questa Corte, secondo cui il principio generale della sanatoria di cui all’art. 156 c.p.c., comma 3, trova applicazione anche in relazione alla nullità della notifica di atti non processuali quali, nel caso di specie, la cartella di pagamento, con l’unico limite che non sia intervenuta decadenza dal potere di accertamento (cfr. Cass. sez. unite 5 ottobre 2004, n. 19854 e successiva giurisprudenza conforme, tra cui, ex multis, le pronunce della Sezione quinta di questa Corte, 25 novembre 2005, n. 24962; 31 gennaio 2011, n. 2272; 31 maggio 2011, n. 12007; 15 gennaio 2014, n. 8374; nonchè, Cass. sez. 6-5, ord. 15 luglio 2016, n. 14601; ord. 12 luglio 2017, n. 17198; ord. 5 marzo 2019, n. 6417).

9. Nel caso di specie, in cui è incontroverso che la dedotta invalidità della notificazione ricada nell’ambito della nullità dell’atto e non della sua inesistenza (cfr. Cass., Sez. U., n. 14916 del 2016, Rv. 640604), con conseguente possibilità della sanatoria della stessa, ed in cui non risulta neppure dedotto che la decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere impositivo sia mai stata eccepita dal ricorrente, come era suo onere (cfr. Cass., Sez. 5, ord. 3 ottobre 2018, n. 24074), non vi è dubbio che parte ricorrente abbia potuto far valere pienamente le proprie difese con l’impugnativa ritualmente proposta dinanzi alla CTP, restando del tutto irrilevante che il contribuente si sia limitato ad eccepire vizi formali degli atti impugnati senza entrare nel merito della pretesa erariale (così a pag. 12 del ricorso).

10. Conclusivamente, quindi, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

 

 

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