Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21052 del 11/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 11/09/2017, (ud. 27/04/2017, dep.11/09/2017),  n. 21052

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29941/2011 proposto da:

D.R.E. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ARMELLINI 30, presso lo studio dell’avvocato ROMBO BRUNETTI, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ENRICO MITTONI, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA

D’ALOISIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8655/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/12/2010 R.G.N. 11109/2007.

il P.M., ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

che D.R.E., per quanto rileva, premesso di aver lavorato in regime di subordinazione alle dipendenze di SI Fly srl e che il suo datore di lavoro era fallito ed aveva versato i contributi solo per il periodo 4.10-31.12.99, chiedeva che l’INPS gli accreditasse i contributi per il periodo precedente 1.06-3.10.99 in cui era stato inquadrato come co.co.co., nonchè per il periodo successivo 1.01.00-31.05.01;

che il giudice del lavoro del Tribunale di Roma ordinava di accreditare i contributi obbligatori per il secondo periodo (interessato dallo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato), ma non per il primo, per il quale riteneva non provata la subordinazione;

che proposto appello da D.R., la Corte d’appello di Roma (sentenza 1.12.10) rigettava l’impugnazione, rilevando che i contributi per il primo periodo erano prescritti e che una richiesta scritta di accredito contributi intervenuta nel quinquennio (lettera ad INPS del 3.07.02) non aveva carattere interruttivo, essendo – per richiesta espressa del lavoratore – riferita al periodo lavorativo svolto come co.co.co.;

che propone ricorso il D.R. con tre motivi;

che resiste con controricorso l’INPS e che il P.G. ha fatto pervenire requisitoria scritta.

Diritto

CONSIDERATO

che col primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, nonchè l’omessa pronuncia in ordine alla domanda di accertamento circa la subordinazione del rapporto di lavoro, oltre che l’errata interpretazione e qualificazione dell’atto interruttivo ed il vizio di motivazione in ordine alla sua idoneità ad interrompere la prescrizione;

che secondo il ricorrente tale erronea valutazione era dipesa dal fatto che egli stesso aveva erroneamente qualificato come non subordinato il rapporto in esame, mentre la Corte di merito avrebbe dovuto preliminarmente pronunziarsi sulla richiesta di accertamento della subordinazione (per la quale era stata effettuata istruttoria in secondo grado) e, in caso positivo, avrebbe potuto riconoscere carattere interruttivo alla richiesta di accredito contributivo del 2.7.2002, essendo il rapporto di “co.co.co.” (collaborazione continuata e coordinata) qualificabile come subordinato;

che il motivo è infondato, non essendovi omessa pronunzia) dal momento che la Corte di merito si è espressa al riguardo precisando che la lettera del 2.7.2002, alla quale il D.R. aveva connesso efficacia interruttiva della prescrizione, si riferiva, per il periodo in esame dall’1.6.1999 al 3.10.1999, ai contributi relativi al rapporto di collaborazione continuata e coordinata, senza alcun riferimento alla pretesa natura subordinata del rapporto in quel periodo e, quindi, ai relativi contributi, venendo, in tal modo ad essere confermata la decisione del primo giudice di rigetto della domanda volta all’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato in relazione al primo periodo 1.6.99 – 3.10.99;

che il motivo denota, altresì, un evidente profilo di inammissibilità nella parte in cui si imputa contraddittoriamente alla Corte d’appello di essere incorsa contemporaneamente in vizio di omessa pronunzia e di insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla valutazione dell’idoneità interruttiva dello stesso atto al quale il D.R. attribuisce una tale efficacia, posto che il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, mentre il vizio di omessa pronunzia implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto (cfr. Cass. sez. lav. n. 13866 del 18.6.2014 e Cass. sez. 3, n. 15882 del 17.7.2007);

che col secondo motivo, proposto per violazione del giudicato interno, il ricorrente assume che avendo il primo giudice escluso la subordinazione, in mancanza di impugnazione incidentale, l’INPS non avrebbe potuto eccepire in appello la prescrizione indirettamente negata dal giudice di primo grado che si era pronunziato nel merito della questione e che nemmeno la Corte d’appello avrebbe potuto rilevarla d’ufficio;

che il motivo è infondato in quanto l’Inps, che era risultato vincitore in primo grado in ordine al punto della mancata dimostrazione dell’esistenza del rapporto subordinato per il periodo in contestazione, non aveva bisogno di proporre appello incidentale per invocare la prescrizione del diritto all’accredito contributivo in relazione al periodo di lavoro subordinato rimasto sfornito di prova;

che si è, infatti, affermato (Cass. sez. 2, n. 14086 dell’11.6.2010) che “la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado non ha l’onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione le eccezioni e le questioni che risultino superate o assorbite, difettando di interesse al riguardo, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel nuovo giudizio in modo chiaro e preciso, tale da manifestare in forma non equivoca la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.” (conf. a Cass. sez. 5, n. 1161 del 27.1.2003; in senso conf. v. anche da ultimo Cass. sez. lav. n. 24124 del 28.11.2016);

che nella fattispecie l’Inps aveva eccepito preliminarmente la prescrizione quinquennale con riferimento al periodo 1.6.1999 3.10.1999 e la Corte d’appello di Roma aveva anche respinto l’eccezione di tardività sollevata dal D.R. con riferimento alla dedotta prescrizione da parte dell’istituto di previdenza, per cui era inequivocabile l’intento della difesa di tale ente di chiedere il riesame della questione;

che col terzo motivo, dedotto per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia in ordine alla quantificazione delle spese che erano state riconosciute in primo grado in favore del ricorrente (si assume che il primo giudice condannava l’Inps al pagamento per metà delle spese legali omettendo, tuttavia, di quantificarle), il D.R. sostiene che è stato omesso l’esame del motivo con cui in appello era stata impugnata la pronunzia di primo grado in punto di mancata quantificazione delle spese; che il presente motivo difetta di autosufficienza in quanto il ricorrente non riproduce la statuizione di primo grado – che a suo giudizio avrebbe omesso di quantificare le spese riconosciute in suo favore in ragione di una metà – nè tantomeno il contenuto preciso del motivo d’appello col quale avrebbe fatto valere in quella sede le specifiche doglianze a tal riguardo, per cui non è consentito a questa Corte di verificare la sussistenza o meno del lamentato vizio;

che, in definitiva, il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 1600,00, di cui Euro 1500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2017

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