Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21050 del 19/10/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 21050 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 5821-2010 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F.

97103880585,

in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
2871

contro

TAFURI LUCIANO C.F.TFRLCN69T11F839N,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PIEMONTE N. 39, presso lo
studio dell’avvocato ALESSANDRA GIOVANNETTI, che lo

Data pubblicazione: 19/10/2015

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ORESTE
CARDILLO, giusta delega in atti;
– contrari:corrente –

avverso la sentenza n. 1067/2009 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 27/02/2009 R.G.N. 5170/2006;

udienza del 18/06/2015 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega verbale PESSI
ROBERTO;
udito l’Avvocato CARDILLO ORESTE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso
per: inammissibilità o in subordine rigetto.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. 5821/2010

.
;

FATTO E DIRITTO

A

Con sentenza dell’1-6-2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Napoli

rigettava la domanda proposta da Luciano Tafini nei confronti della s.p.a. Poste

al contratto di lavoro intercorso tra le parti dal 3-1-2000 al 29-2-2000, per
“esigenze eccezionali” ex art. 8 ceni 1994 come integrato dall’acc. 25-9-1997 e
succ., con le pronunce conseguenziali.
Il Tafuri proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma con l’accoglimento della domanda.
La società si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza depositata il 27-2-2009, in
parziale accoglimento dell’appello, dichiarava la nullità del termine apposto al
contratto de quo, con la conseguente sussistenza di un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato, e condannava la società a corrispondere al Tafuri le
retribuzioni spettanti dalla data della notifica del ricorso di primo grado, oltre
accessori.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre
motivi.
Il Tafuri ha resistito con controricorso.
Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.
Ciò posto, va rilevato che con i primi due motivi la ricorrente censura, ex
art. 360, comma primo, numeri 3) e 5), l’impugnata sentenza nella parte in cui
,

ha ritenuto la nullità del termine apposto al contratto de quo in quanto stipulato
(per “esigenze eccezionali…”) oltre la scadenza ultima fissata dagli accordi

Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine finale apposto

collettivi attuativi dell’acc. az. 25-9-1997 ed all’uopo sostiene la insussistenza
di tale scadenza e la natura meramente ricognitiva dei detti accordi.
I detti motivi risultano infondati e vanno respinti.
In base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, “in materia di

1987, n. 56, nel consentire anche alla contrattazione collettiva di individuare
nuove ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, ha
consentito il ricorso ad assunzione di personale straordinario nei soli limiti
temporali previsti dalla contrattazione collettiva, con conseguente esclusione
della legittimità dei contratti a termine stipulati oltre i detti limiti; resta altresì
escluso che le parti sociali, mediante lo strumento dell’interpretazione autentica
delle vecchie disposizioni contrattuali ormai scadute (volta ad estendere
l’ambito temporale delle stesse), possano autorizzare retroattivamente la
stipulazione di contratti non più legittimi per effetto della durata in precedenza
stabilita, tanto più che il diritto del lavoratore si era già perfezionato e le
organizzazioni sindacali non possono disporre dello stesso.” (v. fra le altre
Cass. 16-11 -2010 n. 23120).
In particolare, come è stato precisato, “con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il
successivo accordo attuativo, sottoscritto il 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa
alla trasformazione giuridica dell’ente e alla conseguente ristrutturazione
aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali, fino alla data del 30
aprile 1998. Ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a
termine cadute dopo il 30 aprile 1998 per carenza del presupposto normativo
2

assunzioni a termine dei dipendenti postali, l’art. 23 della legge 28 febbraio

t

derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi
contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. I della legge 18 aprile 1962 n.
230” (v. Cass. 18-11-2011 n. 24281, cfr. Cass. 28-11-2008 n. 28450, 4-8-2008
n. 21062, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 23-8-2006

Con il terzo motivo la società, denunciando violazione degli artt. 1217 e
1233 c.c., lamenta che la Corte di merito non avrebbe svolto alcuna verifica in
ordine alla effettiva messa in mora del datore di lavoro e non avrebbe tenuto
“conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività
lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la
società resistente”, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di
esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.
La ricorrente formula, quindi, il seguente quesito di diritto:

“Per il

principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore — a seguito
dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato
– ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di
riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datare di
lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della
disciplina di cui agli arti. 1206 e segg. cod. civ. “.
Tale quesito non riguarda il tema dell’aliunde perceptum e comunque,
anche in ordine all’argomento della mora credendi risulta del tutto generico e
non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione
in astratto delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il momento di
conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di
merito (in tal senso v. fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 e Cass. 29-4-2011 n.
3

n. 18378).

e

9583). Il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo
motivo, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti

Ma

essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla
fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5-1-2007 n. 36), dovendosi
pertanto ritenere come inesistente un quesito generico e non pertinente.
Peraltro neppure può ignorarsi che nella fattispecie anche la illustrazione
del motivo risulta del tutto generica e priva di autosufficienza in quanto si
incentra nella doglianza circa la mancanza di una verifica da parte della Corte
territoriale sul punto e nella affermazione della non configurabilità della messa
in mora nella istanza per il tentativo obbligatorio di conciliazione, senza che
venga riportato il contenuto di tale atto e senza, peraltro, considerare che la
sentenza impugnata ha ravvisato la messa in mora nella notifica del ricorso
introduttivo di primo grado, di guisa che – la censura risulta altresì inconferente
con il decisum.
Del pari, per quanto concerne l’aliunde perceptum (in relazione al quale
manca del tutto il quesito) alcunché di specifico viene poi indicato dalla
ricorrente, laddove al riguardo era pur sempre necessaria una rituale
acquisizione della allegazione e della prova (pur non necessariamente
proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato cfr.. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8-2007 n.
17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099 -).
Così risultato inammissibile il terzo motivo, riguardante le conseguenze
economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche
modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32,

commi 5 0 , 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24
novembre 2010.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di

una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso,
in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 272-2004 n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad
essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v.
fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie. Il ricorso va pertanto
respinto e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore del
Tafuri, con attribuzione ai difensori per dichiarato anticipo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare al Tafuri le
spese, liquidate in euro 100,00 per esborsi e curo 3.500,00 per compensi, oltre
spese generali e accessori di legge, con attribuzione agli avv.ti Oreste Cardillo
e Alessandra Giovannetti.
Roma 18 giugno 2015

legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva,

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