Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21050 del 13/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 13/10/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 13/10/2011), n.21050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Giancarlo – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AZIENDA PER LA MOBILITA’ NELL’AREA DI TARANTO S.P.A. (AMAT S.P.A.),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BARONIO 54/A, presso lo studio dell’avvocato

BARBERIO ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

D.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.G. BELLI

39, presso lo studio dell’avvocato DI BIASE GIUSEPPE, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 198/2006 della SEZ. DIST. CORTE D’APPELLO di

TARANTO, depositata il 07/03/2007 R.G.N. 154/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato BARBERIO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 28/11/06 – 7/3/07 la Corte d’appello di Lecce accolse l’impugnazione proposta da D.V. avverso la sentenza n. 12420/04 del giudice del lavoro del Tribunale di Taranto, con la quale gli era stata rigettata la domanda diretta alla condanna della AMAT s.p.a al pagamento di due scatti di anzianità nella misura del 5% della retribuzione dal gennaio del 1997 pari a L. 2.193.668 in virtù dell’accordo aziendale del 26/2/72, e condannò la società convenuta alla corresponsione dei suddetti scatti, maggiorati degli accessori di legge, oltre che alla porzione di TFR dovuta in conseguenza della loro inclusione nella base di calcolo di tale trattamento finale, nonchè alle spese del doppio grado di giudizio.

La Corte territoriale motivò tale decisione rilevando che dalla lettera del 19/5/1997, indirizzata ai sindacati ed alla direzione amministrativa e legittimamente acquisita agli atti, la società AMAT s.p.a. aveva provveduto alla disdetta degli accordi economici e normativi a decorrere dal primo gennaio 1998, epoca successiva alla cessazione del rapporto lavorativo del D., il quale aveva prestato servizio fino al mese di gennaio del 1997, per cui il medesimo versava nelle condizioni per beneficiare degli scatti economici così come previsti dall’accordo aziendale ancora in vigore all’epoca in cui egli era alle dipendenze dell’azienda appellata. Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’AMAT s.p.a che affida l’impugnazione a tre motivi di censura. Resiste con controricorso il D.. La ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo la società ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., dell’art. 2697 c.c., degli artt. 88, 101, 112, 115, 116 c.p.c., dell’art. 170 c.p.c., comma 4, dell’art. 414 c.p.c., n. 5, degli artt. 416, 434, 436 c.p.c., dell’art. 87 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, oltre che l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

In pratica, ci si lamenta della presunta illegittima acquisizione agli atti del procedimento della lettera di disdetta, a decorrere dall’1/1/98, degli accordi economici e normativi, emessa dalla stessa AMAT s.p.a in data 19/5/97, dalla quale la Corte d’appello ha tratto il convincimento della sua inapplicabilità “ratione temporis” nei confronti dell’odierno intimato, il quale aveva prestato servizio fino al gennaio del 1997.

2. Col secondo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Con tale motivo la società denunzia, in sostanza, l’erronea interpretazione, da parte del giudice d’appello, del contenuto della suddetta lettera di disdetta in violazione dei canoni di ermeneutica.

3. Col terzo motivo è denunziata l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La ricorrente si duole, in particolare, sia della mancata valutazione degli effetti della precedente Delib. 6 luglio 1995, n. 204 prorogava la validità dell’accordo aziendale del 1972 sino al 31/10/96, sia dell’erronea valutazione della lettera di disdetta illegittimamente acquisita.

Si osserva, anzitutto, che i primi due motivi di censura sono inammissibili in quanto gli stessi non contengono, con riferimento alle denunziate violazioni di legge, la prescritta formulazione dei quesiti di diritto di cui all’art. 366-bis c.p.c.; egualmente, il primo ed il terzo motivo si rivelano inammissibili, con riguardo ai lamentati vizi motivazionali riconducibili all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per la mancata esposizione di un momento di sintesi omologo al quesito di diritto di cui al citato art. 366- bis c.p.c..

Invero, come questa Corte ha già avuto modo di statuire (Cass. sez. lav. n. 4556 del 25/2/2009), l’art. 366-bis cod. proc. civ., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.” Tra l’altro, le stesse Sezioni unite di questa Corte avevano in precedenza precisato (Cass sez. un. n. 20603 dell’1/10/2007) che “in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.” Va, quindi, dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2000,00 per onorario, oltre Euro 30,00 per esborsi, nonchè I.V.A, C.P.A e spese generali ai sensi di legge.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2011

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