Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21048 del 13/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 13/10/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 13/10/2011), n.21049

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Giancarlo – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PREDEN SERGIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.M.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2500/2005 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 31/01/2006 R.G.N. 766/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA per delega RICCIO ALESSANDRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per ricorso fondato: accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 3/5/01 D.M.A., premesso di essere titolare di pensione diretta di invalidità in regime internazionale a decorrere dall’1/1/81 e di essersela vista ricalcolare dall’Inps a seguito della concessione della pro – rata estero, con conseguente riduzione della stessa da L. 507.156 a L. 272.501 mensili, adi il giudice del lavoro del Tribunale di Lecce per ottenere il ripristino della pensione originaria già maturata alla data del 31/7/87, sul presupposto che l’importo mensile a tale data era superiore al trattamento minimo già dall’1/1/85. A seguito di rigetto della domanda, motivata dalla riscontrata correttezza dell’applicazione degli aumenti di cui alla L. n. 140 del 1985, art. 4 e dell’operazione di riduzione della pensione in base a quanto previsto dalla L. n. 153 del 1969, art. 8, u.c. il D.M. propose appello e, con sentenza del 25/11/05 – 31/1/06, la Corte d’appello di Lecce accolse l’impugnazione, condannando l’Inps al pagamento in favore del ricorrente della differenza tra l’importo della pensione erogatagli dal 31/7/87 e quello dovuto, oltre accessori di legge e spese del doppio grado del giudizio.

La Corte salentina pervenne a tale decisione dopo aver rilevato che in senso favorevole all’appellante deponevano sia la circolare n. 117 del 25/5/85 che la sentenza n. 7812/02, passata in giudicato, di altro giudice del lavoro del Tribunale di Lecce emessa in un caso simile.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’Inps che affida l’impugnazione a due motivi di censura.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo l’Inps deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, dolendosi della mancata pronunzia di inammissibilità del gravame in ragione della assoluta genericità dello stesso.

Invero, secondo la difesa dell’ente previdenziale l’impugnazione non era stata proposta dal D.M. avverso le reali ragioni di rigetto della sua domanda, vale a dire la ritenuta correttezza, da parte del primo giudice, delle operazioni dell’ente previdenziale di applicazione dei benefici e di riduzione della pensione, di cui alle rispettive fonti normative della L. n. 140 del 1985, art. 4 e della L. n. 153 del 1969, art. 8 bensì sulla semplice richiesta di accertamento del diritto a conseguire le maggiorazioni di cui alla L. n. 140 del 1985, art. 4.

2. Col secondo motivo l’Inps si lamenta della insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, adducendo che dalla sentenza impugnata non emergono le vere ragioni della decisione adottata, non essendo a tal fine sufficiente il semplice richiamo operato “per relationem” dalla Corte territoriale ad una circolare amministrativa e ad un precedente dello stesso ufficio giudiziario concernente un altro caso considerato simile, senza che di tali provvedimenti fosse stato illustrato il contenuto atto a far comprendere le motivazioni del convincimento del medesimo organo giudicante in ordine alla ritenuta fondatezza dell’appello.

Osserva la Corte che per una esatta comprensione della vicenda è opportuno ricostruire i termini della questione che dagli atti di causa emerge essersi svolta nel seguente modo: – In data 1/8/87 l’Inps ricalcolò la pensione di invalidità in regime internazionale del D.M., giacchè in quel momento quest’ultimo aveva maturato anche il diritto a percepire il pro-rata estero, riducendone l’importo mensile da L. 507.156 a L. 272.501. Il D.M. si lamentò, tuttavia, di aver subito la revoca dei benefici di cui alla L. n. 140 del 1985, art. 4 per cui ne chiese il ripristino o, in subordine, la cristallizzazione delle somme maturate alla data di concessione del pro-rata estero. Non ottenendo alcun risultato da tale ricorso amministrativo, il medesimo assistito chiese al Tribunale il riconoscimento del pro rata di pensione italiano, quale pensione superiore al trattamento minimo, ai sensi della L. n. 140 del 1985, art. 4 con condanna dell’Inps al pagamento delle differenze tra l’importo della pensione erogatagli dall’1/8/87 e quello spettategli, oltre che al versamento dei ratei derivanti dall’applicazione delle perequazioni che competevano alle pensioni superiori al trattamento minimo; in subordine, chiese l’applicazione della L. n. 407 del 1990, art. 7, comma 3 vale a dire la cristallizzazione dell’importo mensile in godimento al 31/10/87 (L. 507.158), sul quale applicare le perequazioni previste dalla legge.

L’Inps si difese sostenendo che a seguito del riconoscimento del pro- rata estero aveva provveduto, ai sensi della L. n. 153 del 1969, art. 8 a riliquidare la pensione italiana sulla base della sola contribuzione versata, ma garantendo, comunque, i benefici L. n. 140 del 1985, ex art. 4.

Il primo giudice pervenne alla conclusione, sulla base della consulenza d’ufficio, che il beneficio L. n. 140 del 1985, ex art. 4 era stato correttamente applicato, oltre ad essere mantenuto anche per il calcolo dei ratei pensionistici spettanti dopo l’1/8/87;

inoltre, il medesimo giudicante appurò che era stata eseguita correttamente anche l’operazione di riduzione della pensione, a decorrere dall’1/8/87, ai sensi della L. n. 153 del 1969, art. 8 all’esito del riconoscimento della pensione da parte dell’istituto previdenziale estero.

Orbene, essendo questi i fatti di causa, ritiene la Corte che i motivi di doglianza dell’Inps sono fondati.

Infatti, ha ragione la difesa del ricorrente a porre in evidenza, col primo motivo di censura, che la Corte d’appello avrebbe dovuto preliminarmente valutare l’ammissibilità del gravame a fronte della proposizione, da parte del D.M., di motivi di impugnazione che non possedevano il necessario grado di specificità richiesto dall’art. 342 c.p.c. Infatti, il giudice di primo grado pervenne alla conclusione, sulla base della consulenza tecnica d’ufficio, che il beneficio L. n. 140 del 1985, art. 4 era stato correttamente applicato dall’Inps e che lo stesso era stato considerato anche per il calcolo dei ratei pensionistici spettanti dopo l’1/8/87; il medesimo giudicante appurò, inoltre, che l’operazione di riduzione della pensione, a decorrere dall’1/8/87, era stata correttamente eseguita dall’istituto di previdenza ai sensi della L. n. 153 del 1969, art. 8 all’esito del riconoscimento della pensione da parte dell’istituto previdenziale estero.

Orbene, a fronte di tale autonoma “ratio decidendi” posta a base del rigetto della domanda del D.M., quest’ultimo non formulò, secondo l’odierno ricorrente, motivi specifici di impugnazione atti a porre in discussione l’accertata correttezza delle suddette operazioni da parte dell’ente previdenziale appellato, ma limitò l’appello alla semplice richiesta di accertamento del diritto a conseguire le maggiorazioni di cui alla L. n. 140 del 1985, art. 4 non investendo, in tal modo, il nucleo fondamentale della decisione gravata.

Invero, la specificità dei motivi esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni della sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono, cosicchè alla parte volitiva dell’appello deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice (cfr., fra le altre, Cass., sez. 1A, 21-2-97 n. 1599; id., 23-7-97 n. 6893; id., 1-8-97 n. 7152; id., 12-8-97 n. 7424; id., 1-9-97 n. 8297; Cass., sez. 3^, 15-4-98 n. 3805; id., 26-6-98 n. 6335). Infatti, la cognizione del giudice nel giudizio di appello – che non è un “novum iudicium” con effetto devolutivo generale – resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso l’enunciazione di specifici motivi.

Con particolare riferimento al rito del lavoro, questa Corte ha ribadito che l’art. 434 c.p.c. impone all’appellante di individuare con chiarezza non solo le statuizioni investite dal gravame, ma anche le censure in concreto mosse alla motivazione della sentenza impugnata, in modo che sia possibile desumere quali siano le argomentazioni fatte valere da chi ha proposto l’impugnazione in contrapposizione a quelle desumibili dalla sentenza impugnata. Più di recente le sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. n. 28057 del 25/11/2008) hanno avuto modo di statuire che “ai fini della specificità dei motivi richiesta dall’art. 342 cod. proc. civ. l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno dell’appello, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purchè ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice.” In definitiva ha ragione la difesa dell’Inps a sostenere che nella fattispecie si imponeva, preliminarmente, da parte del giudice d’appello, la valutazione di ammissibilità dell’impugnazione a fronte di censure che non apparivano possedere un sufficiente grado di specificità.

Egualmente fondato è il secondo motivo di doglianza col quale è posto in evidenza che non è dato comprendere l’iter logico-giuridico seguito dal giudice d’appello nella decisione di accoglimento del gravame, non emergendo un tale ragionamento dal semplice richiamo “per relationem” ad una circolare amministrativa e ad un precedente dello stesso ufficio giudiziario concernente un altro caso ritenuto simile, atti dei quali nemmeno è noto il contenuto. In effetti, è fondato il rilievo critico dell’ente ricorrente in base ai quale non solo non vengono spiegate le ragioni per le quali la Corte territoriale finisce per condividere le conclusioni della circolare n. 117 del 25/5/85 e della sentenza dello stesso Tribunale, passata in giudicato, recante il numero 7812/02, emessa in un caso ritenuto simile, ma nemmeno si da conto del modo in cui si è inteso superare uno degli argomenti fondamentali della decisione di primo grado, vale a dire quello che fa leva sulla riscontrata correttezza della duplice operazione di conservazione dei benefici L. n. 140 del 1985, ex art. 4 e di riduzione della pensione eseguita dall’istituto previdenziale a norma della L. n. 153 del 1969, art. 8, u.c.. Come si è, infatti, già avuto modo di precisare (Cass. sez. lav. n. 662 del 17/1/2004) ” la motivazione “per relationem” si può considerare carente o meramente apparente – e come tale censurabile in sede di legittimità- solo quando il “decisum” si fondi esclusivamente sul mero rinvio a precedenti o a massime giurisprudenziali richiamati in modo acritico e non ricollegati esplicitamente alla fattispecie controversa, di tal che venga impedito un controllo sul procedimento logico seguito dal giudice proprio per l’impossibilità di individuare la “ratio decidendi”.(Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto priva di una vera e propria motivazione la sentenza che conteneva nella parte motiva soltanto un rinvio ad altra decisione dello stesso giudice di merito, relativa ad una controversia simile a quella sub judice, congiunto alla considerazione – non motivata – secondo la quale l’indennità di trasferta, come la indennità speciale ed i compensi per lavoro straordinario, in quanto aventi natura continuativa, devono considerarsi parte della “retribuzione globale di fatto” e quindi rientrano nella base di calcolo della tredicesima, delle ferie e del t.f.r.).” Più di recente si è ribadito (Cass. sez. lav. n. 25866 del 21/12/2010) che “in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli un’obiettiva carenza nell’indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando il giudice non indichi affatto le ragioni del proprio convincimento rinviando, genericamente e “per relationem”, al quadro probatorio acquisito, senza alcuna esplicitazione al riguardo, nè disamina logico- giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito.

(Nella specie, relativa ad un giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione che aveva irrogato una sanzione amministrativa al datore di lavoro per non aver assunto una lavoratrice per il tramite dell’ufficio di collocamento, la S.C., in applicazione del riportato principio, ha cassato la sentenza di merito che aveva annullato l’ordinanza richiamando genericamente “la documentazione allegata dall’opponente e l’espletata prova testimoniale”, senza alcuna esplicazione al riguardo).” Il ricorso va, pertanto, accolto con cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa ad altra Corte d’appello, che nella fattispecie si indica in quella di Bari, che provvederà a riesaminare, alla luce dei principi sopra illustrati, l’appello proposto dal D.M. avverso la sentenza n. 290 del 27/1/2004 del Tribunale di Lecce in funzione di giudice del lavoro e a determinare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio, anche per le spese alla Corte d’Appello di Bari.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA