Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21048 del 07/08/2019

Cassazione civile sez. I, 07/08/2019, (ud. 12/03/2019, dep. 07/08/2019), n.21048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4870/2014 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Colli

Portuensi n. 345, presso lo studio dell’avvocato Venditti Stefano,

rappresentata e difesa dall’avvocato Loguercio Ugo, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

La Curatela del Fallimento del (OMISSIS) s.n.c., in persona del

curatore P.C., elettivamente domiciliata in Roma V.le

Mazzini 134 presso lo studio dell’avvocato Fiorillo Luigi,

rappresentata e difesa dall’avvocato Fontana Giorgio, giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1100/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 18/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/03/2019 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 18 marzo 2013 la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto da M.C. avverso la sentenza del Tribunale di Avellino con cui era stata rigettata la sua domanda di ammissione allo stato passivo del fallimento (OMISSIS) s.n.c..

La Corte territoriale ha condiviso l’impostazione del giudice di primo grado secondo cui non era stata fornita dall’appellante la prova del dedotto rapporto di lavoro subordinato con la società poi fallita.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.C.. La Curatela si è costituita in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo M.C. ha dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Lamenta la ricorrente che nel ricorso introduttivo erano stati ben individuati il periodo di lavoro e le somme dovute, così come nel verbale d’udienza del 28 settembre 2011, richiamando le note ex art. 184 c.p.c., erano stati indicati le mansioni, gli orari di lavoro, l’inserimento dell’organizzazione aziendale con le certificazioni contenute nel libro matricola.

Una più approfondita lettura degli atti difensivi e dei documenti dallo stesso prodotti, e, in particolare, del libro matricola, avrebbe condotto ad una diversa decisione.

La ricorrente si duole che la dedotta omessa valutazione da parte del giudice di primo grado del valore giuridico del libro matricola sia stata ritenuta irrilevante dal giudice d’appello.

2. Il primo motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che la ricorrente, pur avendo dedotto di aver indicato nel ricorso introduttivo del giudizio e nelle note ex art. 184 c.p.c. le proprie mansioni, l’orario di lavoro, il proprio inserimento nell’organizzazione aziendale della società – indici che, unitamente all’assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il giudice di primo grado aveva ritenuto mancanti, nel caso di specie, per la qualificazione del rapporto instaurato con la fallita come di lavoro subordinato – non ha avuto cura di precisare tali elementi, neppure sommariamente, nel ricorso per cassazione, di talchè il ricorso medesimo difetta del necessario requisito di autosufficienza e specificità.

In ogni caso, il motivo è inammissibile dal momento che non è stato indicato alcun fatto decisivo del quale sia stato omesso l’esame.

In particolare, la ricorrente, nel dolersi dell’omessa valutazione da parte della Corte di merito del libro matricola, ritenendolo un fatto decisivo rilevante a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non considera, tuttavia, che secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il dedotto omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. SSUU n. 8053/2014).

Sul punto, la sentenza impugnata ha evidenziato, alludendo proprio al libro matricola, l’irrilevanza che altri lavoratori fosse stati ammessi allo stato passivo sulla base della stessa documentazione ritenuta non idonea per la ricorrente, data la diversità della posizione di ciascun dipendente esaminato.

Va, infine, osservato che la ricorrente, dolendosi della mancata valutazione da parte del giudice d’appello del libro matricola, ha dimostrato di non averne in alcun modo colto la ratio decidendi, soprattutto con riferimento alla declaratoria di inammissibilità del quarto motivo d’appello, come sarà approfondito nell’analisi del terzo motivo.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 115,116 c.p.c. e artt. 2709 e 2710 c.c..

Reitera la ricorrente la doglianza che la Corte di merito avrebbe omesso la valutazione del valore giuridico del libro matricola e retribuzioni.

4. Il motivo è infondato.

la ricorrente non può invocare il valore probatorio delle scritture contabili nei confronti del curatore, che non è imprenditore ed è terzo rispetto alle parti del rapporto da cui deriva il credito insinuato al passivo (ex multis Cass. 10081/2011, 1543/2006, 5582/2005).

3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 342 c.p.c..

Evidenzia la ricorrente che nell’atto di appello erano state, in realtà, indicate le ragioni per le quali era stata richiesta la riforma della sentenza impugnata, evidenziando che i testi escussi (ispettore del lavoro, consulente del lavoro, commercialista, operai colleghi dei ricorrenti) avevano la capacità di valutare nel settore specifico se il ricorrente avesse la qualità di lavoratore subordinato. Era stato dunque assolto l’onere di contrapporre alle argomentazioni della sentenza di primo grado censure idonee ad incrinare il fondamento giuridico della sentenza di primo grado.

3. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che il giudice di secondo grado ha coerentemente ritenuto il quarto motivo d’appello inammissibile sul rilievo che l’appellante, odierna ricorrente, si era limitata a riproporre le stesse deduzioni già respinte dal giudice di primo grado, senza prendere in esame la motivazione di rigetto e senza sottoporla a critica.

Infatti, a fronte dell’analisi specifica e approfondita da parte del Tribunale dell’attività istruttoria svolta, l’appellante si era limitata a sostenere genericamente che dall’istruttoria svolta doveva ritenersi provato il rapporto di lavoro subordinato.

E’ evidente che la ricorrente, nel formulare in questi termini le proprie censure, non abbia adempiuto all’onere di specificità dei motivi dettato dall’art. 342 c.p.c. (anche nel testo applicabile “ratione temporis” anteriore alle modifiche apportategli dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a)), che esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinarne il fondamento logico giuridico, che con le prime devono necessariamente confrontarsi, nel senso che quanto più approfondite e dettagliate sono le argomentazioni del provvedimento impugnato, tanto più puntuali devono essere i motivi di gravame per confutare l’impianto argomentativo del giudice di primo grado (vedi recentemente sez 2, n. 4695 del 23.02.2017, Rv. 643056; vedi anche sez. 1 n. 22781 del 27/10/2014, Rv. 632982; Sez. L. n. 4068 del 19/02/2009, Rv. 607163).

Peraltro, se è pur vero che nell’ultima parte della trattazione del quarto motivo d’appello, il giudice di secondo grado ha erroneamente evidenziato che nell’atto d’appello non erano stati indicati i passaggi della motivazione della sentenza di primo grado oggetto di censura requisito richiesto soltanto dal testo novellato dell’art. 342 c.p.c., introdotto dalla L. n. 134 del 2012, non applicabile nel presente giudizio – tale errore non è decisivo.

La Corte d’Appello, come sopra già accennato, ha, infatti, ben messo in luce che la sig.ra M. si era limitata a dedurre di ritenere provato il rapporto di lavoro subordinato instaurato sulla base della documentazione esibita ed alla luce dei testi escussi, senza confrontarsi minimamente con l’articolata motivazione del giudice di primo grado, che aveva evidenziato l’insussistenza degli indici rilevatori del rapporto di lavoro subordinato nonchè valorizzato le stesse affermazioni della ricorrente, moglie del legale rappresentante della società fallita, che aveva dichiarato di non avere ricevuto mai alcuna retribuzione durante tutto il rapporto lavorativo.

A fronte di tali considerazioni, idonee a sorreggere la statuizione di inammissibilità del gravame anche sulla base del testo dell’art. 342 c.p.c., comma 1 anteriore alla novella, la ricorrente, ignorando il percorso argomentativo della Corte di merito, si è limitata nel proprio ricorso a dedurre di aver osservato nei motivi d’appello il requisito della specificità sul mero rilievo che i testimoni dalla stessa scelti erano persone che avevano la capacità di valutare nel settore specifico se la ricorrente avesse la qualità di lavoratore subordinato.

Peraltro, nel formulare tale censura, la ricorrente non si è neppure correlata con la specifica argomentazione della sentenza impugnata, che aveva escluso la possibilità per i testi “di esprimere giudizi e valutazioni, essendo abilitati a deporre solo in relazione a fatti”.

4. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in conseguenza dell’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Lamenta la ricorrente che il giudice di merito non ha correttamente valutato le deposizioni testimoniali e la documentazione esibita, dall’esame delle quali era, invece, emersa piena prova del rapporto di lavoro subordinato.

5. Il motivo è inammissibile.

Non è stato dedotto dalla ricorrente alcun fatto decisivo e discusso tra le parti, del quale sia stato omesso l’esame, essendosi la stessa limitata a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito e ad accreditare una diversa ricostruzione del fatto, articolando quindi in sostanza una censura di merito, come tale inammissibile in sede di legittimità.

6. Con il quinto motivo è stato dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5).

Lamenta la ricorrente che con il quinto motivo d’appello aveva censurato la qualificazione attribuita dal giudice di primo grado al suo rapporto instaurato con la società poi fallita, evidenziando che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello, la sentenza di primo grado non aveva richiamato, solo a titolo esemplificativo, l’impresa familiare, avendo invece contrapposto tale rapporto a quello di lavoro subordinato.

7. Il motivo è inammissibile per genericità.

La ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 senza neppure precisare quale fosse il fatto storico decisivo, e discusso tra le parti, il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte di merito. Peraltro, il giudice di secondo grado aveva altresì preso specificamente posizione sulla censura formulata dal ricorrente, secondo cui il giudice di primo grado avrebbe erroneamente qualificato il rapporto nello schema dell’art. 230 bis c.c., osservando, in merito, che non era stata fornita la prova della sussistenza dei caratteri del lavoro subordinato e comunque tale affermazione era stata fatta dal giudice di primo grado solo a titolo esemplificativo.

8. Con il sesto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 230 bis, 2094 e 2222 c.c.nonchè artt. 115 e 116 c.p.c..

Lamenta la ricorrente che la Corte di merito ha erroneamente ipotizzato la riconducibilità del suo rapporto con la fallita al rapporto di lavoro autonomo o societario senza valutare le risultanze istruttorie, che deponevano per la natura subordinata del rapporto.

9. Il motivo è inammissibile.

La ricorrente, anche su questo punto, non ha colto la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha fatto riferimento al lavoro autonomo, al rapporto societario alle prestazioni compiute affectionis vel benevolentaie causa al solo scopo di evidenziare che l’impresa familiare, indicata a titolo esemplificativo dal giudice di primo grado, non costituiva l’unica forma di collaborazione lavorativa esistente alternativa al rapporto di lavoro subordinato, del quale non erano stati comunque provati gli indici sintomatici.

La ricorrente non fa altro che sottoporre a questa Corte una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, formulando quindi una censura di merito, non ammessa in sede di legittimità.

10. Con il settimo motivo è stato dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5), concernente la richiesta audizione in appello di testi non escussi in primo grado per la riduzione della lista.

11. Il motivo è inammissibile.

A prescindere dal rilievo già evidenziato al punto 2, sulla scorta dell’insegnamento del Supremo Collegio nella sentenza n. 8053/2014, che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, nel caso di specie, la Corte di merito si è espressamente pronunciata sulla richiesta di audizione dei testi non ammessi dal giudice di primo grado, disattendendola sul rilievo che “qualunque possa essere il contenuto della loro deposizione, non sarebbero superati i giudizi di infondatezza ed inammissibilità dei motivi di impugnazione sopra rilevati, che non impingono nel contenuto delle deposizioni testimoniali”.

E’ quindi evidente che la ricorrente, nel richiedere l’audizione dei residui testimoni, non fa che svolgere, inammissibilmente, una critica all’esercizio dei poteri istruttori discrezionali del giudice di merito.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nei termini di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 10.200, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso spese generali in ragione del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2019

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