Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21045 del 22/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/07/2021, (ud. 27/05/2021, dep. 22/07/2021), n.21045

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

F.M., rappresentata e difesa, giusta procura speciale

conferita in calce al ricorso, dall’Avv.to Zingarelli Luigi del Foro

di Terni, che ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliata

presso lo studio del difensore, alla via San Nicandro n. 39 in

Terni;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 111, pronunciata dalla Commissione tributaria

regionale Umbria Lazio, 20.1.2015 e pubblicata il 4.2.2015;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Di Marzio Paolo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di verifica fiscale, con instaurazione del contraddittorio precontenzioso ed ampia produzione documentale da parte della contribuente, a F.M. erano notificati gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS), relativo all’anno 2007, e n. (OMISSIS), attinente l’anno 2008, con i quali le era contestato, ai fini Irpef, il conseguimento di un maggior reddito in applicazione dei criteri dell’accertamento sintetico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, il c.d. redditometro.

2. La contribuente impugnava gli avvisi di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Perugia, che riuniva i ricorsi, criticando innanzitutto la mancata valorizzazione della cospicua produzione documentale consegnata all’Agenzia delle entrate già nella fase precontenziosa, e pure l’omessa valorizzazione della partecipazione alle spese per incrementi patrimoniali del coniuge, che lavorava in Svizzera ed aveva conseguito in quegli anni un reddito cospicuo. La Ctp rilevava che la contribuente risultava proprietaria di auto di grossa cilindrata (Mercedes SL350, Golf 1900 TDE), di sei motocicli, di cui alcuni di elevata qualità, nonché di abitazione principale e secondaria, ed aveva acquistato nel 2009 un terreno agricolo. Riteneva quindi, la Ctp, che la F. non fosse riuscita ad assicurare la prova che le spese sostenute per gli incrementi patrimoniali, e quelle necessarie per il mantenimento dei beni, fossero state affrontate con denaro proveniente dal marito, ed in conseguenza rigettava il ricorso.

3. Avverso la decisione sfavorevole conseguita innanzi alla Ctp, la contribuente proponeva appello innanzi alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, rinnovando le proprie censure. La Ctr confermava che, a fronte degli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione finanziaria, nel rispetto delle regole proprie dell’accertamento sintetico, la ricorrente non era stata in grado di dimostrare, se non proprio nella misura in cui la stessa Agenzia delle entrate ne aveva già tenuto conto, di avere ricevuto dal marito il denaro necessario per sostenere le spese affrontate per incrementi patrimoniali e mantenimento dei beni. In conseguenza rigettava l’impugnativa proposta dalla contribuente.

4. La decisione sfavorevole pronunciata dalla Ctr è stata fatta oggetto di ricorso per cassazione da F.M., che si affida a due motivi di ricorso. Si è costituita e resiste mediante controricorso l’Agenzia delle entrate. La ricorrente ha anche depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente occorre esaminare l’eccezione di nullità della notificazione del ricorso per cassazione, proposta nel suo atto difensivo dall’Avvocatura dello Stato quale difensore dell’Agenzia delle entrate. Invero non ignora il collegio giudicante che questa Suprema Corte si è pronunciata, nel passato, nel senso che qualora l’Agenzia delle entrate si sia costituita nel giudizio di secondo grado assistita e difesa da propri funzionari, senza avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, la notifica del ricorso per cassazione solo presso quest’ultima, e non presso gli uffici dell’Agenzia delle entrate, origina la nullità dell’atto introduttivo del giudizio. Questo orientamento, che pur si condivide, sembra però meritare un approfondimento, specie in considerazione del fatto che l’Avvocatura dello Stato è l’unico possibile difensore dell’Amministrazione finanziaria nei giudizi tributari che si svolgono innanzi alla Corte di legittimità. Ne consegue che, essendosi l’Avvocatura tempestivamente costituita per difendere l’Agenzia delle entrate nel giudizio di cassazione, ed avendo proposto compiutamente le proprie difese, può ritenersi applicabile nel caso di specie il disposto di cui all’art. 156 c.p.c., comma 3, secondo cui “La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”, ipotesi che risulta integrata nel caso in esame.

Può pertanto affermarsi il principio di diritto secondo cui: “la notificazione del ricorso per cassazione avverso la sentenza di una Commissione tributaria, eseguita non presso l’Agenzia delle Entrate, o un ufficio periferico della stessa, bensì presso l’Avvocatura Generale dello Stato, qualora nella fase di merito l’Agenzia non sia stata rappresentata dall’Avvocatura, è affetta da nullità e non da inesistenza, con la conseguenza che la nullità della notifica rimane sanata per effetto della costituzione in giudizio dell’Avvocatura, la quale abbia articolato le proprie difese per conto dell’Agenzia, ai sensi del disposto di cui all’art. 156 c.p.c., comma 3”, rimanendo da segnalare che questo orientamento, diversamente da quanto ritenuto dalla controricorrente, non si pone in contrasto, bensì conferma, l’indirizzo interpretativo espresso anche dalla Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza 29.10.2007, n. 22641.

2. Mediante il suo primo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, F.M. contesta la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6, in cui è incorsa la Ctr per aver erroneamente ritenuto che fosse compito della ricorrente assicurare prova che le risorse provenienti dal marito fossero state utilizzate per far fronte alle spese sostenute per incrementi patrimoniali e manutenzione dei suoi beni, mentre le competeva soltanto dimostrare l’esistenza di queste disponibilità.

3. Con il suo secondo strumento di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente critica “l’omessa/insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per la controversia, prospettato dalle parti” (ric., p. 9).

4. Mediante il primo motivo di ricorso, la contribuente lamenta che la Ctr ha violato la legge, avendo rigettato la propria impugnativa ritenendo non essere stata raggiunta la prova che le risorse provenienti dal marito fossero state direttamente utilizzate per far fronte alle spese sostenute per incrementi patrimoniali e manutenzione di beni mentre, in realtà, a lei competeva soltanto dimostrare l’esistenza di queste disponibilità economiche della famiglia.

Viene pertanto in rilievo, in primo luogo, il disposto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, che, nella versione vigente “ratione temporis”, dettava: “Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”.

Invero, l’Agenzia delle entrate in fase precontenziosa aveva parzialmente accolto gli argomenti della contribuente, riscontrando che parte del denaro utilizzato per l’acquisto del terreno agricolo di cui in premessa, e dettagliatamente in atti, era stato fornito dal marito, e l’Amministrazione finanziaria aveva tenuto conto del dato, riducendo la pretesa tributaria. Il marito della ricorrente, all’epoca dei fatti per cui è causa, lavorava in Svizzera quale contabile, e conseguiva un reddito lordo superiore ai 60.000,00 Euro annui.

La Ctr ha quindi evidenziato che delle censure proposte dalla ricorrente, nei limiti in cui potevano ritenersi fondate, aveva già tenuto conto l’Agenzia delle entrate nel redigere l’atto impositivo, ed ha aggiunto che la contribuente non ha fornito ulteriori “giustificazioni… sufficienti a provare che le spese di acquisto e di mantenimento dei beni-indice di redditività (redditometro) siano esclusivo frutto del reddito del coniuge” (sent. Ctr, p. IV).

4.1. In materia, invero, questa Corte di legittimità ha avuto modo di esprimere un indirizzo ormai consolidato, che appare condivisibile e merita pertanto di essere confermato. In proposito, infatti, si è già avuta l’occasione di chiarire che “in tema di accertamento cd. sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva dalla percezione di ulteriori redditi di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, (applicabile “ratione temporis”), è onerato della prova contraria in ordine sia alla disponibilità di detti redditi che all’entità degli stessi ed alla durata del possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere. (La S.C., in applicazione del principio, ha confermato la decisione impugnata con la quale era stato rigettato il ricorso della contribuente che aveva acquistato, nell’anno di imposta, un immobile deducendo genericamente la provenienza dalla suocera delle somme necessarie)”, Cass. Sez. V, 20.1.2017, n. 1510, ed è stato pure di recente ribadito il concetto, statuendo che “in tema di accertamento cd. sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva da risorse di natura non reddituale di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, (applicabile “ratione temporis”), per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva a tali ulteriori redditi, è onerato della prova contraria in ordine alla loro disponibilità, alla loro entità ed alla durata del relativo possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti da cui emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione di accoglimento del ricorso del contribuente che aveva acquistato in favore del nipote un immobile pagandone l’anticipo ed accollandosi il restante mutuo, poi estinto con assegno circolare, deducendo la provenienza delle liquidità da operazioni di disinvestimento di titoli mobiliari e dalla disponibilità di risorse non reddituali, senza tuttavia provarne l’utilizzo per l’acquisto contestato)”, Cass. Sez. V, 4.8.2020, n. 16637.

La tesi della contribuente, secondo cui “la Commissione di secondo grado… si sarebbe dovuta limitare a valutare la capacità reddituale complessiva del nucleo familiare” (ric., p. 8), non appare pertanto condivisibile. Non risulta infatti fondato, alla luce del riassunto orientamento giurisprudenziale, l’argomento secondo cui l’onere di fornire la prova contraria che grava sul contribuente si risolve nel fornire la mera dimostrazione che il nucleo familiare disponeva di fondi sufficienti a far fronte alle spese sostenute.

Nel caso di specie, che presenta specifiche peculiarità, la contribuente, la quale ha dichiarato il reddito di Euro 2.184,00 per l’anno 2007, e di Euro 750,00 per l’anno 2008 (controric., p. 2, dato non contestato), risulta proprietaria di abitazione principale e secondaria, autovetture di elevata cilindrata, sei motocicli, anche di elevata qualità, e di un terreno agricolo. Appare singolare pure che gli acquisti dei beni mobili registrati, sostiene la ricorrente, siano stati effettuati per contanti, senza utilizzare strumenti tracciabili di pagamento. La contribuente afferma di aver potuto provvedere alle spese per incrementi patrimoniali, e per la manutenzione dei suoi beni, avvalendosi delle somme che le ha messo a disposizione il marito. Tuttavia, sebbene abbia provveduto ad ampia allegazione documentale, non riporta analiticamente nel motivo di ricorso da quali documenti, ed in quale misura, emergano elementi sintomatici del fatto che la provvista per le spese sostenute sia stata fornita dal marito, o comunque che ciò sia potuto accadere. La contribuente afferma che aveva accesso alle risorse finanziarie del marito, ma neppure espone, nel suo motivo di ricorso per cassazione, con quali modalità ed in quale misura poteva accedere, non segnala come abbia (eventualmente) fornito la prova documentale degli importi che ne ha tratto, e neppure indica quale sia il loro valore complessivo.

Operate le rettifiche indicate alla motivazione proposta dalla Ctr, pertanto, la sua decisione risulta comunque corretta.

In conseguenza il primo motivo di ricorso appare infondato e deve quindi essere respinto.

5. Con il secondo motivo di ricorso la contribuente contesta l’omessa o insufficiente motivazione della Ctr circa un fatto decisivo per il giudizio.

Non può procedersi all’analisi nel merito della contestazione, perché proposta sul fondamento di una formula dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non più vigente, essendo stata, la sentenza impugnata in questa sede, depositata dalla Ctr dell’Umbria in data 4.2.2015. La contribuente avrebbe pertanto dovuto proporre le proprie lagnanze in ossequio alla nuova formulazione della norma, che prevede la ricorribilità per cassazione, in relazione al vizio di motivazione in cui sia incorso il giudice impugnato, soltanto contestando “l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

In proposito questa Corte di legittimità ha avuto occasione di chiarire, pronunciando a Sezioni Unite, che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, Cass. SS.UU., 7.4.2014, n. 8053.

Non rispetta questi principi il secondo motivo di ricorso introdotto dalla impugnante, e lo stesso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo. Deve inoltre darsi atto che ricorrono le condizioni perché sia dovuto dalla ricorrente il versamento degli oneri relativi al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso proposto da F.M., che condanna al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, e le liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

 

 

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