Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21045 del 11/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 11/09/2017, (ud. 14/06/2017, dep.11/09/2017),  n. 21045

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1428/2013 proposto da:

PARTITO RIFONDAZIONE COMUNISTA DIREZIONE NAZIONALE (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CUNFIDA 16, presso lo studio

dell’avvocato UMBERTO CASSANO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE TORINO in persona del Sindaco pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3602/2012 del TRIBUNALE di TORINO, depositata

il 28/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/06/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza 28.5.2012, il Tribunale di Torino ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dal Partito della Rifondazione Comunista-Direzione Nazionale, contro la sentenza del Giudice di Pace n. 8076/2010 che aveva a sua volta respinto l’opposizione contro una ordinanza ingiunzione emessa dal Comune di Torino per violazione del Regolamento Comunale sulle Pubbliche Affissioni: secondo il giudice di appello, mancava agli atti la copia della sentenza di primo grado impugnata e non se ne poteva ricostruire il contenuto neppure dalla lettura dell’atto di appello e quindi trovava applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte con la sentenza n. 238/2010.

Contro tale decisione il Partito della Rifondazione Comunista ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un’unica censura illustrata da memoria, mentre l’ente territoriale non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorrente denunzia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Osserva in particolare che la sentenza è illegittima perchè dalla documentazione depositata nel fascicolo di ufficio risulta depositata la sentenza del giudice di pace. Ricorda poi che il giudice dovrebbe ben sapere che in mancanza dell’atto “opposto” la stessa cancelleria non avrebbe permesso il deposito del ricorso o quanto meno avrebbe indicato da qualche parte la mancanza dell’atto e la mancanza di tali elementi e la presenza di timbri testimoniano il deposito dell’atto impugnato. Si sofferma poi sul difetto di motivazione della sentenza impugnata richiamando i principi di diritto in materia e ribadisce l’eccezione di difetto di legittimazione passiva. Per assoluta estraneità agli addebiti.

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

Il giudice di appello ha fondato la pronuncia di inammissibilità del gravame sul principio di diritto, più volte affermato da questa Corte, secondo cui l’art. 348 c.p.c., nella formulazione introdotta dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, non contempla più la declaratoria di improcedibilità dell’appello in conseguenza della mancata presentazione nella prima udienza del fascicolo di parte e, quindi, della sentenza impugnata, nè la possibilità di concedere all’appellante, che non abbia depositato detto fascicolo, una dilazione per giustificati motivi. Ne consegue che la mancanza in atti della sentenza impugnata, ancorchè quest’ultima possa risultare indispensabile per ottenere una pronuncia di merito sul gravame, non implica comunque la declaratoria di improcedibilità dell’impugnazione, ma non consente neppure la rimessione della parte in termini per la sua produzione ovvero la rimessione della causa sul ruolo per consentirne l’acquisizione, imponendo, pertanto, al giudice di appello l’emissione di una decisione di merito, ove questa sia possibile sulla base degli atti, ovvero, se il contenuto della sentenza impugnata non sia desumibile in modo inequivoco dall’atto di appello, di una decisione di inammissibilità per carenza degli elementi essenziali di tale atto e, segnatamente, della specificità dei motivi sotto il profilo della loro pertinenza alle “rationes decidendi” (v. Sez. 2, Sentenza n. 238 del 11/01/2010 Rv. 610961; Sez. L, Sentenza n. 2171 del 28/01/2009 Rv. 606869; principio ripreso anche in Sez. 3, Sentenza n. 27536 del 10/12/2013 Rv. 629736 e, più di recente, in Sez. 3, Sentenza n. 23713 del 22/11/2016 Rv. 642989).

Tenendo presente tale principio, il Tribunale ha rilevato la mancanza della sentenza impugnata negli atti del processo, rilevando che il suo contenuto non era suscettibile di ricostruzione neppure attraverso l’esame dell’atto di appello. In particolare, ha riscontrato l’omesso deposito del fascicolo (contenente la sentenza impugnata) successivamente al ritiro avvenuto all’udienza di precisazione delle conclusioni, benchè a verbale fosse stato disposto, anche se non ve ne era la necessità, che gli atti “erano da ridepositarsi con il deposito delle conclusionali”.

Ebbene, a fronte di un tale puntuale rilievo del giudice di appello, il ricorrente replica semplicisticamente che la sentenza era agli atti del fascicolo e che se non fosse stato così il cancelliere “non avrebbe accettato il deposito del ricorso o avrebbe indicato da qualche parte la mancanza dell’atto”, ma non coglie il nucleo della questione, perchè ciò che occorreva dimostrare non era la presenza della sentenza nel fascicolo di parte e il deposito dello stesso all’atto della costituzione dell’appellante in giudizio, ma il successivo deposito in cancelleria al momento della decisione (dopo il ritiro avvenuto all’udienza di precisazione delle conclusioni) e tale circostanza andava documentata con apposita attestazione del cancelliere.

Pertanto, appaiono irrilevanti le presunzioni indicate dal ricorrente a sostegno della sua tesi senza precisare neppure dove si troverebbero i timbri che confermerebbero il regolare deposito del fascicolo al momento della decisione).

Per il resto il ricorso si concentra su altri temi (quello della motivazione della sentenza di primo grado e della legittimazione passiva) che però nulla hanno a che vedere con la specifica ratio decidendi del giudice di appello.

In conclusione, il ricorso va rigettato, ma senza addebito di ulteriori spese (non avendo l’altra parte svolto difese in questa sede).

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2017

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