Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21045 del 06/10/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 21045 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso 2387-2013 proposto da:

CAPORALE LUCIANO (7bLCN48S18G3171-)

CAPORALE DOMENICO

(CPRDNC42E16D546U) CAPORALE MILENA (CPRMLN55T54G317E)
CAPORALE FRANCESCO quali eredi di Caporale Salvatore,
tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A.
BONGIORNO 76/C, presso lo studio dell’avvocato
2014
42

BERNARDINI,

BALDO

rappresentati e difesi dall’avvocato

CLAUDIA PIZZURRO, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrenti contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE

8 0415740580
(

in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente

Data pubblicazione: 06/10/2014

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,
difende,

che lo rappresenta e

ope legis;
– controricorrente

avverso il decreto nel procedimento R.G. 311/2011 della

26/07/2012;
udita la relazione della causa

svolta nella pubblica

udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott.
MARIA ROSARIA SAN GIORGIO.

CORTE D’APPELLO di SALERNO del 19.6.2012, depositato il

R.g. 2387/2013
Rilevato in fatto
1. – Con ricorso depositato in data 11 novembre 2008 presso la Corte d’appello di
Catanzaro e, in riassunzione, in data 4 marzo 2011 presso la Corte d’appello di
Salerno, Domenico, Francesco, Luciano e Milena Caporale, in qualità di unici eredi di
Salvatore Caporale, hanno lamentato la irragionevole durata di un giudizio instaurato

pensioni civili di Roma, avente ad oggetto la riliquidazione del trattamento
pensionistico, dichiarato interrotto il 17 giugno 2005 per decesso del ricorrente, e poi,
dopo la riassunzione ad opera degli eredi del Caporale, deciso con sentenza di
estinzione della Corte dei conti di Catanzaro pubblicata il0 6 marzo 2008.
2. — La Corte adita, con decreto depositato il 26 luglio 2012, ha condannato il
Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore dei ricorrenti in
qualità di eredi di Salvatore Caporale, e nei limiti della quota a ciascuno di essi
spettante per legge, della somma complessiva di euro 5383,00, dichiarando
integralmente compensate le spese del giudizio, in considerazione del
ridimensionamento della pretesa (avendo i ricorrenti chiesto la liquidazione della
somma di euro 9000,00), della natura necessaria del procedimento ex legge Pinto, e
della condotta processuale dell’Amministrazione, che, non costituendosi, non aveva
opposto alcuna contestazione.
3. — Per la cassazione di tale decreto ricorrono Domenico, Francesco, Luciano e
Milena Caporale quali eredi di Salvatore Caporale sulla base di due motivi, illustrato
anche da successiva memoria. L’Amministrazione intimata resiste con controricorso.
Considerato in diritto
1. – Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione in forma semplificata.
2. — Con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2 della
legge n. 89 del 2001 e dell’art. 6 della CEDU. La liquidazione dell’equa riparazione
sarebbe dovuta avvenire, secondo i ricorrenti, con riferimento ad una somma di
almeno euro 1500,00 per ogni anno di ritardo, anziché nella misura media di euro
1000,00 per anno.
I

da quest’ultimo il 12 febbraio 1992 innanzi alla Corte dei conti, III Sez. giurisd. per le

3. — Il motivo è infondato.
In tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del
processo, i criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le
deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate
e non irragionevoli. Peraltro, ove non emergano elementi concreti in grado di far

che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa
comporta che la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola,
non inferiore a curo 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni
eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a curo 1000 per quelli successivi, in
quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo da ultimo indicato comporta un
evidente aggravamento del danno (v., tra le altre, Cass., sentt n. 17922 del 2010, n.
21840 del 2009).
4.

Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art 91

cod.proc.dv. con riguardo alla disposta compensazione delle spese di lite in assenza
di giusti motivi, non potendo considerarsi tali quelli indicati nel decreto impugnato.
5. — Con il terzo motivo si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione in
ordine alla decisione della Corte di merito di compensare le spese di lite.
6. — I due motivi, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione, sono
meritevoli di accoglimento nei limiti di seguito indicati.
Il giudice di merito ha giustificato la integrale compensazione delle spese del giudizio,
adducendo, da un lato, la ragione della mancata strutturazione del processo di equa
riparazione in modo tale da consentire una fase conciliativa, ragione che, fondata su
un auspicio de iure condendo, non è qualificabile né grave né eccezionale ai sensi dell’art
92, secondo comma, cod.proc.civ. (v., tra le altre, Cass., sent. n. 22763 del 2013), e,
dall’altro, la mancata opposizione alla domanda da parte della Amministrazione, e il
ridimensionamento della pretesa, che, invece, non giustificano, di per sè, la
compensazione (v., exp/urimis, Cass., sent. n. 23632 del 2013).

2

apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire

Le sopra indicate ragioni avrebbero giustificato, invece, la compens’aiio”neidelle spese
per la metà, con addebito delle stesse all’ Amministrazione per la 06e residua.
Conclusivamente, il primo motivo deve essere rigettato, mentre il secondo ed il terzo
devono essere accolti nei limiti sopra indicati. Il decreto impugnato deve essere
pertanto annullato limitatamente alla statuizione sulla compensazione integrale delle
spese del giudizio di merito. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la

condanna del Ministero della Economia e delle Finanze al pagamento nella misura del
cinquanta per cento delle spese del giudizio di merito — che vengono liquidate come
da dispositivo — da distrarre in favore dell’avv. Claudia Pizzurro e dell’avv. Elvira
Stefano, antistatari, e da compensare tra le parti per la residua metà, e di quelle del
presente giudizio, da distrarre in favore dell’avv. Claudia Pizzurro, antistatario.

P. Q .M.
La Corte rigetta il primo motivo, accoglie per quanto di ragione il secondo ed il
terzo. Cassa il decreto impugnato limitatamente alla liquidazione delle spese del
giudizio di merito, e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro della
Economia e delle Finanze al pagamento nella misura del cinquanta per cento, delle
spese del giudizio di merito, che liquida in complessivi Euro 873,00, di cui Euro
50,00 per esborsi, Euro 378,00 per diritti ed Euro 1UM7per onorari, oltre alle
spese generali ed accessori come per legge, da distrarre in favore degli avvocati
Claudia Pizzurro ed Elvira Stefano, anfistatari, e di quelle del giudizio di legittimità,
che liquida in curo 506,25 , oltre ad curo 100,00 per esborsi e agli accessori di legge,
spese da distrarre in favore dell’avv. Claudia Pizzurro, antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta — II Sezione civile della
Corte Suprema di Cassazione, il 9 gennaio 2014.

causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con la

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