Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21036 del 13/09/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 21036 Anno 2013
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: RAGONESI VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 931-2010 proposto da:
AGENZIA DEL TERRITORIO, in persona del Direttore pro
tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente 2013
1288

contro

COM.IN SERVICE S.R.L. (c.f. 12509510157), in persona
dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA G. ZANARDELLI 20, presso

Data pubblicazione: 13/09/2013

l’avvocato MASTROSANTI ROBERTO,

rappresentata e

difesa dall’avvocato FANTIGROSSI UMBERTO, giusta
procura in calce al controricorso;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

2002/2008 della CORTE

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/07/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO
RAGONESI;
udito,

per

la

controricorrente,

l’Avvocato

FANTIGROSSI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. UMBERTO APICE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 03/12/2008;

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 29 luglio 2005, COM.IN
SERVICE S.r.l. conveniva in giudizio davanti alla Corte

legge 10 ottobre 1990, n.287, l’Agenzia del Territorio, in fatto
deducendo che: essa era una società da tempo operante nel settore
delle informazioni economiche e finanziarie; la sua clientela era
rappresentata in prevalenza da studi professionali (notai, avvocati,
commercialisti, ecc,) e da banche, che richiedevano rapporti informativi sulla consistenza’ patrimoniale di persone fisiche e
giuridiche; detti rapporti erano realizzati anche attraverso la
consultazione di vari archivi e registri pubblici, tra cui, in
particolare, le Conservatorie del registri immobiliari e il Catasto
terreni e fabbricati; i prodotti e servizi informativi erano collocati
sul mercato in regime di libera concorrenza e costituivano il
frutto di un’autonoma attività intellettuale e imprenditoriale, posto
che essa non si risolveva nella mera distribuzione del dati ma
richiedeva una particolare competenza nella loro ricerca e
interpretazione, dando luogo alla produzione di informazioni
nuove e originali derivanti dal confronto dei vari archivi oltre che
dall’apporto interpretativo: in ciò consisteva la fondamentale
differenza tra il servizio pubblico reso dall’Agenzia del territorio
con la messa a disposizione dei dati grezzi e i servizi a valore
aggiunto, prodotti e commercializzati dalle imprese del settore;

d’Appello di Bologna ,ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della

poiché l’accesso ai pubblici registri era libero, essendo consentito a
chiunque di ispezionarli, si era formato “a valle” un autonomo
mercato del servizi informativi, che utilizzavano, come materia
prima, le informazioni pubbliche: detto mercato rispondeva alla
nozione di mercato rilevante, di cui possedeva gli elementi

rilevante); con le disposizioni contenute nei commi 367-374
dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2004 n. 311 (legge finanziaria
per il 2005), il legislatore nazionale aveva introdotto un nuovo
regime della materia, rafforzato da un apparato sanzionatorio ; tale
regime, cui l’Agenzia del Territorio aveva dato immediata
applicazione con la circolare n. 2/2005, rendeva manifesta la sua
strategia di “mettere fuori mercato” le imprese private e di offrire
direttamente i servizi in questione.
In diritto la società COM.IN Service deduceva che ,posto che
costituisce “impresa” anche il soggetto pubblico (nella specie,
Agenzia del Territorio) cui lo Stato italiano ha affidato la tenuta del
registri immobiliari e che la commercializzazione dei dati
costituisce attività di impresa, nel realizzare anch’essa servizi per il
mercato delle imprese e per i consumatori, l’Agenzia era tenuta a
conformarsi alle regole del mercato concorrenziale mentre la sua
condotta era stata improntata a totale inosservanza di dette regole,
ponendosi in contrasto con la Direttiva 2003/98/CE, con gli articoli
2, 3 e 8 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, con gli articoli 4,
comma 1, 10, comma 2, 31, comma 1, 81, 82 e 86 del Trattato CE
nonché con l’articolo 1 del Regolamento n. 17/62 del Consiglio.
Dette disposizioni impedivano infatti che lo Stato potesse riservare

costitutivi (mercato del prodotto rilevante e mercato geografico

a sè ovvero a una impresa pubblica (quale l’Agenzia del Territorio)
ovvero solo ad alcune imprese private, da questa discrezionalmente
scelte e convenzionate, l’esercizio dl un’attività imprenditoriale
che si sviluppava “a valle” ‘della funzione pubblica di tenuta dei
registri e di rilascio di certificazioni munite di pubblica fede e non

la responsabilità risarcitoria dell’Agenzia del Territorio, la
quale — con piena consapevolezza degli effetti negativi, di
rilevanza patrimoniale, del nuovo regime convenzionale — non
aveva attivato i suoi poteri di disapplicazione e aveva omesso di
dare riscontro all’istanza—diffida delle società interessate.
L’alterazione delle regole del buon andamento del mercato aveva
comportato un grave pregiudizio per la società attrice anche in
relazione alla perdita di avviamento commerciale, agli investimenti
effettuati, ai maggiori costi, al minori introiti e alla perdita di
valore dell’ azienda.
Ritualmente costituitasi, l’Agenzia del Territorio resisteva alla
pretesa.
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 2002 del 2008
accoglieva la domanda ,dichiarava che la condotta dell’Agenzia
per il territorio costituiva abuso di posizione dominante e quindi
illecito concorrenziale, rimetteva la causa in istruttoria per gli
accertamenti relativi alla domanda di risarcimento del danno.
Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione sulla base di tre
motivi l’Agenzia per il territorio .Resiste con controricorso
illustrato con memoria la Com.in service srl

interferiva con essa. In questo contesto doveva essere affermata

Motivi della decisione

Con il primo motivo l’Agenzia denuncia violazione di legge per

Territorio.

Sostiene che “i servizi di pubblicità immobiliare sono inclusi
espressamente dall’art. 2 punto 1 dello Statuto tra le funzioni e i
compiti statali (tipicamente pubblicistici) che nulla hanno a che
fare con servizi caratterizzati da una specifica connotazione
economica” … per cui “il fatto che l’Agenzia del Territorio
nell’espletamento dei servizi in discorso non possa considerarsi
come “impresa pubblica

f.1

esclude la pertinenza del richiamo ai

principi e alle regole di cui alla legge n. 287/1990 e la rilevanza
dei richiami al Trattato CEE ed alla Direttiva 2003/98/CE”….
Vi sarebbe in definitiva una differenza tra il servizio reso dalle
società private, di natura commerciale, e quello svolto
dall’Agenzia del Territorio, di natura esclusivamente istituzionale.
Il motivo è infondato.
Il collegio non può che riportarsi a quanto già deciso in analoga
fattispecie dalle Sezioni Unite di questa Corte che hanno stabilito
che ” la nozione d’impresa, nell’ambito del diritto comunitario
della concorrenza, abbraccia qualsiasi entità che eserciti
un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e
dalle modalità di finanziamento (omissis). Non risulta perciò
rilevante, ai fini che qui interessano, la qualifica di ente pubblico

avere il Giudice a quo qualificato come “impresa” 1 ‘Agenzia del

attribuito dall’ordinamento italiano all’Agenzia del territorio, il cui
assoggettamento alla disciplina antimonopolistica (anche solo
quella interna, stante il disposto dell’art. 1, comma 4, della più
volte citata legge n. 287 del 1990) dipende unicamente dai tipo di
attività che essa svolge e dal modo in cui siffatta attività si esplica

economica consistente nell’offerta di beni o servizi sul mercato da
cui esuli l’esercizio di un potere d’imperio. Ciò posto, appare
subito chiaro come l’indubbio carattere pubblico di una serie di
funzioni esplicate dall’Agenzia del territorio, ed in specie di quelle
attinenti alla tenuta ed alla pubblicità dei dati ipotecari e catastali,
non è risolutivo per dare risposta negativa al quesito posto. E
questo non tanto perché la stessa tenuta dei registri ora richiamati
non necessariamente implica l’esercizio di una potestà d’imperio,
quanto soprattutto in considerazione dell’ulteriore attività di
carattere economico che lo statuto abilita l’ente a svolgere, che è
destinata a ricadere nell’applicazione della normativa
antimonopolistica a prescindere dal fatto che il medesimo soggetto
contemporaneamente eserciti anche funzioni pubbliche non
connotate da carattere imprenditoriale”
Del tutto correttamente quindi la Corte d’appello ha ritenuto che
l’attività dell’Agenzia delle entrate, consistente nella messa a
disposizione di servizi a valore aggiunto in relazione ai dati che
essa acquisisce e detiene in via esclusiva, costituisce una attività
d’impresa sul mercato dei servizi relativi alle informazioni
ipocatastali che, come tale, è soggetta alla normativa
antimonopolistica.

sul mercato. Quel che conta, cioè, è che si tratti di un’attività

Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia ricorrente sostiene che
il Giudice a quo non avrebbe fatto corretta applicazione dell’art. 8
comma 2 della L. 287/1990 che esclude l’applicabilità della
normativa concorrenziale alle aziende che gestiscono servizi di
interesse economico generale.

Le Sezioni Unite di questa Corte, nel ribadire un orientamento già
in precedenza espresso, hanno osservato che” la circostanza che
l’impresa eserciti la gestione di servizi d’interesse generale non è
di per sé sufficiente ai fini dell’esenzione dall’osservanza delle
norme in materia di concorrenza, ed in particolare del divieto di
abuso di posizione dominante, occorrendo altresì che il
comportamento denunciato si ponga come strettamente connesso
all’adempimento degli specifici compiti affidati all’impresa (si
vedano Cass. 13 febbraio 2009, n. 3638; Cass. 10 gennaio 2008, n.
355; e Cass. 16 maggio 2007, n. 11312). E grava sull’impresa
l’onere di allegare gli elementi in forza dei quali possa ritenersi
dimostrata la suindicata connessione con la specifica missione
istituzionale (Cass. n. 3638/09, omissis.)
Alla luce di tale principio il Collegio non può non condividere in
relazione alla fattispecie in esame l’orientamento espresso dalla
citata sentenza delle Sezioni unite secondo cui ” ciò che non
risulta dimostrato è il necessario nesso funzionale, nel rispetto del
criterio di proporzionalità del sacrificio delle esigenze
concorrenziali, tra il servizio di formazione, conservazione e
gestione dei registri pubblici, da un lato, e dall’altro le limitazioni
che l’Agenzia del territorio è abilitata a porre nella successiva

Il motivo è infondato.

utilizzazione economica dei dati da parte di altri soggetti:
limitazioni nascenti dal generale divieto di riutilizzazione dei dati
stessi, dalla possibilità per i privati di sormontare tale divieto solo
previa stipulazione di apposite convenzioni alle condizioni stabilite
dall’Agenzia del territorio e dietro pagamento di tributi e tasse per

ogni archivio privato una volta scaduta la relativa convenzione. Il
che non consente di ritenere operante, in relazione a tali interventi
sul mercato dell’utilizzazione economica delle informazioni
commerciali, la deroga di cui al citato art. 8, comma 2.”
Anche in questo caso quindi la Corte d’appello ha fatto corretta
applicazione dei principi di diritto dianzi riportati.
Con il terzo motivo la difesa erariale censura la pronuncia della
Corte d’Appello ex art. 360 n. 3 cpc. in quanto non vi sarebbe
contrasto tra la L. 311/2004 commi 367-374 (“Finanziaria 2005″),
la Direttiva di riferimento sul riutilizzo (n. 2003/98/CE) e l’art. 82
del Trattato CE.
In particolare si sostiene che :a) il D.lgs. 24/01/2006 n. 36 avrebbe
recepito dandovi attuazione alla Direttiva di riferimento; b)
l’imposizione di una tariffa non viola la Direttiva ma rientra nei
compiti istituzionali dell’Am’ministrazione.
Il motivo è infondato. La decisione sul punto della Corte d’appello
è del tutto conforme a diritto.
Le disposizioni dei commi da 367 a 372 della legge n. 211 del
2004 non appaiono invero compatibili con i dettami, specifici e
vincolanti, contenuti nella direttiva 2003/98/CE.
Sul punto il Collegio non può che conformarsi ancora una volta al

ciascun atto di riutilizzazione, e dall’obbligo di eliminazione di

decisum delle Sezioni Unite secondo cui ” è vero che la direttiva
ammette espressamente la possibilità per il singolo Stato membro
di non consentire il riutilizzo dei dati conservati nei pubblici
registri (si veda, in particolare, il 9 considerando), ma se tale
riutilizzo, come definito dall’art. 2, n. 4, è invece consentito, allora

direttiva indicati (si veda il principio generale enunciato dall’art. 3
della stessa direttiva).
Il che non è garantito affatto dalle disposizioni nazionali di cui si
tratta, né quanto al modo col quale si permette il riutilizzo dei dati
(non già in base a licenze standard, come previsto dall’art. 8 della
direttiva, bensì a specifiche convenzioni), né quanto alla relativa
tariffazione (non già legata ai criteri di economicità e trasparenza
enunciati dagli artt. 6 e 7 della direttiva, bensì alla mera
duplicazione dei tributi o delle tasse previste per l’acquisizione
originaria del dato), né quanto all’esclusione di ogni effetto
limitativo della concorrenza, espressamente prescritta nella parte
terminale dell’art. 8, primo comma, della direttiva”.
Il ricorso va in conclusione rigettato. Segue alla soccombenza la
condanna al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da
dispositivo.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna l’Amministrazione ricorrente al
pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 2500,00
oltre euro 200,00 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Roma 18.7.13

deve esserlo con modalità e limiti non eccedenti quelli dalla stessa

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