Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21035 del 11/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 11/09/2017, (ud. 13/07/2017, dep.11/09/2017),  n. 21035

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9289/2017 proposto da:

B.O. alias C.O., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA FEDERICO CESI n. 72, presso lo studio dell’avvocato ANDREA

SCIARRILLO, rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRO SGARBI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 246/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 14/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 13/07/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

B.O. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo illustrato con memoria, avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 246/2017, depositata il 14 febbraio 2017, con la quale l’appello dell’odierno ricorrente – avverso la decisione di prime cure che aveva rigettato la domanda per il riconoscimento della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria – veniva rigettato;

che l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva;

Considerato che:

con l’unico, articolato motivo di ricorso l’istante si duole del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto insussistenti i presupposti della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e art. 14, lett. c), benchè in patria il B. avesse subito violenze e minacce, costituenti “trattamenti degradanti e disumani”, nonchè della protezione umanitaria del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ex art. 32 e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, sebbene il medesimo avesse subito violenze ed avesse riportato lesioni personali, in relazione alle quali aveva anche invano richiesto la nomina di un c.t.u.;

Ritenuto che:

non colga nel segno il riferimento – operato dal ricorrente – alla pretesa violazione, da parte del giudice di seconda istanza, del disposto dell’art. 10 Cost., comma 3, dal momento che il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3 (Cass. 04/08/2016, n. 16362);

in tema di protezione internazionale sussidiaria, il requisito della individualità della minaccia grave alla vita o alla persona di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14,lett. c), non sia subordinato, in conformità alle indicazioni della Corte di Giustizia UE (sentenza 17 febbraio 2009, in C-465/07), vincolante per il giudice di merito, alla condizione che il richiedente “fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale”, in quanto la sua esistenza può desumersi anche dal grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, da cui dedurre che il rientro nel Paese d’origine determinerebbe un rischio concreto per la vita del richiedente (Cass. 30/07/2015, n. 16202);

siffatta situazione di pericolo possa derivare anche da sistemi di regole non scritte sub statuali, imposte con la violenza e la sopraffazione verso un genere, un gruppo sociale o religioso o semplicemente verso un soggetto o un gruppo familiare nemico, in presenza di tolleranza, tacita approvazione o incapacità a contenere o fronteggiare il fenomeno da parte delle autorità statuali (Cass. 10/04/2015, n. 7333; Cass. 16/12/2015, n. 25319);

Considerato che:

nel caso di specie, per contro, la Corte d’appello ha accertato, con ampia motivazione, che la stessa narrazione effettuata dall’istante nella quale il pericolo di morte, in caso di ritorno in patria era essenzialmente ancorato dal medesimo a minacce poste in essere da uno zio paterno, mosso da odio verso la madre del B., e da rancore verso l’istante, per la perdita del bestiame affidatogli in custodia – era tale da escludere i requisiti della protezione sussidiaria, avendo il richiedente allegato una vicenda strettamente privata, senza fare in alcun modo riferimento, neppure in sede di interrogatorio da parte della Commissione, “a problematiche relative al contesto sociopolitico del Gambia” (pp. 6-8);

il carattere strettamente privato della vicenda – che non aveva in alcuno modo coinvolto lo Stato, nè partiti politici o gruppi di pressione al suo interno, e neppure un gruppo religioso, come nella decisione di questa Corte n. 3758/2016, invocata in memoria dal ricorrente, che, pertanto, non si attaglia al caso concreto – ha, di conseguenza, comportato, secondo la corretta valutazione del giudice di appello, l’irrilevanza ai fini decisori della chiesta c.t.u. che, se anche avesse, invero, confermato la sussistenza delle lesioni allegate dall’istante, e cagionate dall’aggressione da parte del proprio congiunto, non avrebbe potuto comportare l’accoglimento della domanda di protezione sussidiaria;

Ritenuto che:

la versione dei fatti allegata dal ricorrente induca, peraltro, ad escludere anche la sussistenza dei presupposti della protezione umanitaria, atteso che il diritto alla protezione in parola non può essere riconosciuto per il semplice fatto che lo straniero non versi in condizione di piena integrità fisica, necessitando, invece, che tale condizione sia l’effetto della grave violazione dei diritti umani subita dal richiedente nel Paese di provenienza (Cass. 21/12/2016, n. 26641);

quanto alla mancata traduzione del testo integrale del provvedimento di diniego della protezione internazionale, l’eventuale nullità del provvedimento amministrativo, emesso dalla Commissione territoriale, per omessa integrale traduzione in una lingua conosciuta dall’interessato o in una delle lingue veicolari, non esoneri il giudice adito – una volta che sia stata proposta l’impugnazione – dall’obbligo di esaminare il merito della domanda (cosa che, nella specie, la Corte territoriale ha fatto), poichè oggetto della controversia non è il provvedimento negativo, bensì il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale comunque il giudice deve statuire (nella specie con esito negativo), non rilevando in sè la nullità del provvedimento, ma solo le eventuali conseguenze di essa sul pieno dispiegarsi del diritto di difesa (Cass. 22/03/2017, n. 7385; Cass. 09/12/2011, n. 26480);

Ritenuto che:

per tutte le ragioni suesposte, il ricorso debba essere rigettato, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimato Ministero dell’Interno nel presente giudizio;

dagli atti il processo risulti esente, per l’avvenuta ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio, sicchè non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

Rigetta il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2017

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