Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21032 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/10/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 02/10/2020), n.21032

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

A.A.I., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ELISA SFORZA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI (OMISSIS) SEZIONE

DI (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2474/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 08/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 24 luglio/8 ottobre 2018, la Corte di Appello di Bologna respinse il gravame proposto da A.A.I. contro l’ordinanza, resa, del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, dal tribunale di quella stessa città il 21 novembre 2016, reiettiva della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari).

1.1. In particolare, quella corte ritenne inattendibili le dichiarazioni del richiedente (perchè contraddittorie, vaghe e generiche) e, comunque, i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste inidonei a consentirne raccoglimento.

2. Avverso questa sentenza A.A.I. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, cui resiste, con controricorso, il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate censure prospettano, rispettivamente:

I) “Travisamento del contenuto dell’audizione del ricorrente innanzi al Tribunale di Bologna”, contestandosi la valutazione di ritenuta inattendibilità del racconto dell’odierno ricorrente;

II) “Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8”. Si ascrive alla corte distrettuale di aver respinto la domanda dell’appellante di riconoscimento della protezione sussidiaria giudicando inattendibile il racconto dell’appellante sulla base di considerazioni attinenti ad usi e costumi tradizionali e religiosi di cui non ha citato la fonte e senza acquisire di ufficio o disporre l’acquisizione di informazioni precise ed aggiornate provenienti da fonti autorevoli ed attendibili;

III) “Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto di cui alla Dir. n. 2011/95/UE, art. 8, ed alla relativa disciplina di attuazione (D.Lgs. n. 251 del 2007 – D.Lgs. n. 18 del 2014)”, per avere la corte bolognese respinto la richiesta di protezione sussidiaria motivando esclusivamente con riferimento alla situazione della regione nigeriana di (OMISSIS), omettendo integralmente di accertare la complessiva situazione della Nigeria;

2. I riportati motivi, esaminabili congiuntamente perchè evidentemente connessi, sono complessivamente insuscettibili di accoglimento.

2.1. Giova premettere, invero, che questa Corte ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto, intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente (perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro) ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua (pur corretta) interpretazione (cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra, invece, violazione di legge, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretativo ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); ai) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

2.2. Costituisce, poi, principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

2.3. Nella specie, la corte territoriale: i) ha condiviso la valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente, già affermata dalla Commissione territoriale e poi dal giudice di prime cure, con valutazione in fatto (“… Gli episodi di percosse e minacce denunciati dal richiedente sono dunque ricollegati, prima, alla ribellione a seguire le orme del padre quale traditio man e custode dell’oracolo (OMISSIS) e, poi, durante l’audizione innanzi al tribunale, all’appartenere alla setta degli (OMISSIS). Tuttavia, praticare il culto di (OMISSIS), che in realtà è una divinità delle profondità e degli abissi marini, è cosa diversa dall’appartenere agli (OMISSIS), che sono una sorta di “loggia massonica” con rituali assolutamente segreti e riservati agli adepti. Il richiedente, inoltre, non è stato in grado di fornire una descrizione, seppur minima ed approssimativa, dei rituali che si accompagnano al culto di (OMISSIS), e, soprattutto, dell’oracolo, nè del tentato furto del quale si sarebbe reso responsabile… Dinanzi alla Commissione, infine, il richiedente completava il suo racconto denunciando un episodio di stupro subito in Libia, di cui non ha fatto cenno, invece, durante la sua audizione innanzi al Tribunale… Non appare poi verosimile che il richiedente, in caso di rientro nel Paese di origine, possa subire atti di persecuzione per uno dei motivi indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, e ciò specialmente in forza della circostanza che il cognato vigilante, che lo aveva aiutato a fuggire, e la sorella, moglie del primo, che gli aveva procurato i soldi per il viaggio non abbiano subito conseguente di sorta da parte della comunità offesa dal tentato furto dell’oracolo”. Cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) qui evidentemente non sindacabile (se non nei ristretti limiti e con le peculiari modalità – cfr. Cass., SU. n. 8053 del 2014 – in cui è oggi prospettabile, giusta l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa nell’ottobre 2018, il vizio motivazionale, nella specie, peraltro non denunciato. Cfr. Cass. n. 21142 del 2019; Cass. n. 3340 del 2019); ii) ha ponderato, indicando le fonti del proprio convincimento (UNHCR, Amnesty International; Viaggiare sicuri del Ministero degli Esteri) la situazione sociale politica ed economica della specifica zona della Nigeria ((OMISSIS)) di provenienza dell’odierno ricorrente (dove, dunque, questi andrebbe, se del caso, rimpatriato), escludendo che la stessa potesse configurarsi in termini di gravità quale descritta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

2.3.1. A tanto deve aggiungersi che: i) in tema di protezione internazionale dello straniero, nell’ordinamento italiano la valutazione della “settorialità” della situazione di rischio di danno grave deve essere intesa, alla stregua della disciplina di cui al D.Lgs. n. 25 del 2007, nel senso che il riconoscimento del diritto ad ottenere lo status di rifugiato politico, o la misura più gradata della protezione sussidiaria, non può essere escluso in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del Paese d’origine, ove egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, mentre non vale il contrario, sicchè il richiedente non può accedere alla protezione se proveniente da una regione o area interna del Paese d’origine sicura, per il solo fatto che vi siano nello stesso Paese anche altre regioni o aree invece insicure (cfr. Cass. n. 25862 del 2019; Cass. n. 13088 del 2019); in tema di protezione internazionale sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. e), ove il richiedente invochi l’esistenza di uno stato di diffusa e indiscriminata violenza nel Paese d’origine tale da attingerlo qualora debba farvi rientro, e quindi senza necessità di deduzione di un rischio individualizzato, l’attenuazione del principio dispositivo, cui si correla l’attivazione dei poteri officiosi integrativi del giudice del merito, opera esclusivamente sul versante della prova, non su quello dell’allegazione (cfr. Cass. n. 13403 del 2019); iii) il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadite dalle più recenti Cass. n. 9842 del 2019 e Cass. n. 25862 del 2019).

2.3.2. Alla stregua dei suesposti principi, qui pienamente condivisi, ne consegue che A.A.I., con i motivi in esame, per come concretamente argomentati, tenta sostanzialmente di opporre alla valutazione fattuale contenuta nella sentenza impugnata una propria alternativa interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica del vizio di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, regolate dal principio di soccombenza e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna A.A.I. al pagamento, nei confronti del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

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