Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2103 del 24/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 24/01/2019, (ud. 19/12/2018, dep. 24/01/2019), n.2103

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16922-2016 proposto da:

N.M., in proprio e nella qualità di erede di F.E.,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIAMPIERO

CLEMENTINO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9050/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il giorno 08/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/12/2018 dal Consigliere Dott. DORONZO ADRIANA.

Fatto

RILEVATO

che:

N.M., in qualità di coniuge ed erede di F.E., dipendente dell’Agenzia delle Entrate – Direzione regionale della Campania, ha adito il Tribunale di Benevento chiedendo che fosse accertata e dichiarata, nei confronti dell’Agenzia convenuta, la dipendenza da causa di servizio dell’infarto del miocardio da cui era stato colpito il coniuge e che lo aveva condotto alla morte;

il Tribunale di Benevento, dopo aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio, ha accolto la domanda sul presupposto che la malattia denunciata era da ricollegarsi allo stress da lavoro, in mancanza di altri fattori scatenanti;

la Corte d’appello di Napoli ha invece accolto l’appello della Agenzia delle Entrate sulla base di una seconda consulenza, reputando più verosimile la derivazione dell’infarto da aterosclerosi delle arterie coronarie, laddove doveva escludersi che l’attività lavorativa avesse costituito causa unica o concausa preponderante nel determinismo dell’infarto;

contro la sentenza la N. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi; l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

la proposta del relatore è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il motivo di ricorso, costituito dalla nullità della sentenza per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento all’art. 111 Cost. e all’art. 132 c.p.c., n. 4, è prospettato sotto quattro diversi profili:

a) la consulenza tecnica d’ufficio di primo grado era perfettamente ed esaustivamente motivata; b) il consulente di primo grado aveva una qualifica specialistica superiore a quella del c.t.u. nominato in secondo grado, essendo cardiologo; c) la consulenza tecnica d’ufficio di secondo grado si era fondata su dati ipotetici e non su un approfondito studio della documentazione in atti; d) le circostanze su evidenziate non avrebbero dovuto condurre alla decisione di compensare le spese di entrambi gradi del giudizio;

il motivo, nella sua intera articolazione, è inammissibile;

rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico d’ufficio sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o “in toto”, le indagini, sostituendo l’ausiliare del giudice; l’esercizio di tale potere, non è sindacabile in sede di legittimità, ove ne sia data adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici; peraltro, il provvedimento con cui il giudice dispone la rinnovazione delle indagini non priva di efficacia

l’attività espletata dal consulente sostituito (Cass. 14/11/2008, n.

27247; Cass. 30/03/2010, n. 7622);

anche la scelta del consulente tecnico è rimessa al potere discrezionale del giudice, salva la facoltà delle parti di far valere mediante istanza di ricusazione ai sensi degli artt. 63 e 51 c.p.c. gli eventuali dubbi circa la obiettività e l’imparzialità del consulente stesso, dubbi che, ove l’istanza di ricusazione non sia stata proposta, non sono più deducibili mediante il ricorso per cassazione (Cass. 17/11/1997, n. 11412);

la censura non è riconducibile al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo vigente a seguito della sua riformulazione ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile ratione temporis nel presente giudizio;

ciò in quanto, secondo l’interpretazione resane dalle Sezioni Unite di questa Corte, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, cosicchè tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;

ipotesi queste non ricorrenti nel caso in esame, dal momento che la Corte d’appello ha motivato sia sulla scelta di rinnovare la consulenza tecnica d’ufficio – sottolineando che la prima era giunta a conclusioni meramente ipotetiche sul nesso di causalità tra l’attività lavorativa svolta e l’infarto, in ragione anche della genericità delle allegazione circa la condizioni di lavoro del de cuius -, sia sulla preferenza accordata alla seconda consulenza tecnica d’ufficio, proprio in ragione della mancanza di dati anamnestici precedenti all’infarto e di allegazioni sulle condizioni di lavoro;

una motivazione, dunque, è certamente esistente non solo sotto l’aspetto formale ma anche sotto il profilo sostanziale, essendo idonea a rendere conoscibile il percorso logico giuridico seguito dal giudice per pervenire alla sua decisione, e nella stessa non sono riscontrabili intrinseche contraddizioni, peraltro neppure evidenziate;

dall’altro lato, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr, Cass., SU, 7 aprile 2014, n. 8053/8054);

in realtà, il motivo si limita ad esprimere un dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice rispetto alle conclusioni del c.t.u., senza addurre alcuna devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o omissioni di accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non avrebbe potuto prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi (Cass. ord. 03/02/2012, n. 1652);

la sentenza merita pertanto di essere integralmente confermata anche in punto di spese, sul quale è evidente la carenza di interesse ad impugnare della ricorrente, giacchè ove il giudice non avesse ritenuto di compensarle non avrebbe potuto che porle a carico della stessa in applicazione del principio della soccombenza;

le spese del presente giudizio vanno poste a carico del ricorrente soccombente, nella misura indicata in dispositivo;

poichè il ricorso è stato notificato in data successiva al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2000 per compensi professionali e Euro 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15 % delle spese generali e altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 19 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2019

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