Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21029 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/10/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 02/10/2020), n.21029

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3832-2019 proposto da:

N.A.Z., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ENNIO CERIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS) COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SALERNO SEZIONE DI

CAMPOBASSO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

17/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Z.N.A. (corretto in Z.A.), nativo del (OMISSIS), ricorre per cassazione, affidandosi ad un motivo, avverso il decreto del Tribunale di Campobasso del 17 dicembre 2018, n. 2771, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari). Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

1.1. Quel tribunale ritenne che: i) il racconto del richiedente era “estremamente vago, generico, incoerente e contraddittorio, e, pertanto, non credibile”; ii) dal recente rapporto del Ministero degli Esteri, consultato nel febbraio 2018, non era emerso che il (OMISSIS) fosse oggetto di guerre civili o situazioni di conflitto generalizzato, mentre la violenza dovuta alle forze terroristiche era circoscritta ad alcune zone del Paese diverse da quella (Punjab) di provenienza dell’odierno ricorrente; iii) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, non essendo state allegate, ancor prima che dimostrate, specifiche condizioni di vulnerabilità (per motivi di salute o familiari).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il formulato motivo di ricorso – rubricato “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8” – ascrive al tribunale, da un lato, di aver valutato la situazione della regione del (OMISSIS) di provenienza del ricorrente sulla base di un non specificato rapporto ministeriale, senza utilizzare altre fonti qualificate, e, dall’altro, di aver erroneamente ritenuto inverosimile il suo racconto circa i presupposti della protezione sussidiaria ed umanitaria, omettendo di attivare i poteri istruttori ufficiosi.

1.1. Tale doglianza si rivela complessivamente inammissibile.

1.1.1. Giova, invero, sottolineare che il tribunale molisano ha ampiamente esposto le ragioni che l’hanno indotto a considerare come analogamente aveva ritenuto, la commissione territoriale – affatto inattendibile il racconto dell’odierno ricorrente, giudicato generico, sfornito di elementi di riscontro e contraddittorio (cfr., amplius, pag. 4-5 del decreto impugnato).

1.1.2. Questa Corte ha recentemente chiarito che il giudizio in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto decisorio reso il 17 dicembre 2018), come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (vizio motivazionale, nella specie, peraltro non denunciato su questo specifico aspetto), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019).

1.2. La giurisprudenza di legittimità ha poi precisato che, in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, investe certamente le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019).

1.2.1. Quanto, invece, alla sussistenza, nella specie, delle condizioni di cui all’art. 14, lett. c), del menzionato D.Lgs., essa è stata esclusa dal tribunale a quo sul presupposto che, “secondo il più recente report del Ministero degli Esteri consultato nel 2018”, la regione del Pakistan (Punjab) da cui proviene il ricorrente non sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante.

1.2.2. Su questo preciso punto, peraltro, l’odierna doglianza di si rivela affatto carente di specificità, omettendo di indicare puntualmente (e non attraverso la sola dicitura, assolutamente generica, “…Amnesty International, Institute for Economics and Peac, Human Rzght batch…”. Cfr. pag. 4 del ricorso) – altresì, riproducendone il contenuto nell’odierno ricorso – le diverse fonti asseritamente più attendibili ed aggiornate, già sottoposte all’attenzione del tribunale, da cui attingere un convincimento diverso da quello esplicitato da quest’ultimo Cass. n. 29056 del 2019).

1.2.3. Esclusivamente per ragioni di completezza, infine, si evidenzia che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019).

1.3. Conclusioni pressochè analoghe si impongono in relazione al mancato riconoscimento della cd. protezione umanitaria (da scrutinarsi sulla base della relativa disciplina anteriore a quella introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018 (cfr. Cass., SU, 13.11.2019, nn. 29459-29461; Cass. n. 4890 del 2019), atteso che il tribunale, oltre alla ritenuta inattendibilità del ricorrente sui fatti che ne fondavano la corrispondente istanza, ha comunque rimarcato il non essere state allegate, dallo stesso, ancor prima che dimostrate, specifiche condizioni di vulnerabilità (per motivi di salute o familiari), senza che il rilievo in tal modo operato abbia trovato adeguata e puntuale replica nell’illustrazione della proposta censura che si limita ad invocare (come già relativamente alla protezione sussidiaria), circostanze e/o fatti di violenza indiscriminata e/o mancato riconoscimento di diritti nel proprio Paese avulsi del tutto da ogni contestualizzazione.

1.4. In definitiva Z.N.A. (corretto in Z.A.), con l’odierna censura, per come concretamente (ed affatto genericamente) argomentata, tenta sostanzialmente di opporre alla valutazione fattuale contenuta nel decreto impugnato una propria alternativa interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica del vizio di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

2. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originane o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, il comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

 

 

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