Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21026 del 12/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 12/10/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 12/10/2011), n.21026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 11781-2010 proposto da:

COMUNE DI CATANZARO (OMISSIS) in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 59, presso lo

studio dell’avvocato MIRIGLIANI RAFFAELE, che lo rappresenta e

difende, giusta Delib. G.M. 24 febbraio 2010, n. 102 e giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

IMPIMA SRL (OMISSIS) in liquidazione in persona del suo

Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato DINACCI GIAMPIERO,

che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

– controracorrente –

avverso la sentenza n. 1045/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO

del 9.12.09, depositata il 19/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/07/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito per il ricorrente l’Avvocato Raffaele Mirigliani che si riporta

ai motivi del ricorso;

udito per la controricorrente l’Avvocato Giampiero Dinacci che si

riporta agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CARMELO

SGROI che ha concluso per la trattazione del ricorso in pubblica

udienza.

La Corte:

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1^. – E’ stata depositata in cancelleria il 17 gennaio 2011 la seguente relazione, in applicazione dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:

1. E’ impugnata la sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 18 dicembre 2009;la quale ha condannato il comune di Catanzaro per l’avvenuta occupazione espropriativa di alcuni fondi di proprietà della s.r.l. Immobiliare Piazza Matteotti ubicati in quel comune (art. 120440, fg. 41 part. 18,31,34, 93): a) al risarcimento del danno per la perdita della proprietà ed accessori nella misura di Euro 836.756,14; b) al pagamento dell’indennità per la loro occupazione temporanea disposta con decreto sindacale del 23 aprile 1983 nella misura di Euro 50829,43, oltre accessorì. Ha ritenuto al riguardo che l’immobile, pur rientrando in zona agricola ed essendo adibito a discarica di fatto,era stato utilizzato per la costruzione di edilizia giudiziaria sicchè doveva essergli attribuito il valore delle aree edificabili vicine, tenendo conto delle obbiettive caratteristiche della zona e delle utilizzazioni del suolo. Mentre i fabbricati andavano stimati considerando il valore corrente di mercato di un edificio nuovo meno le spese che la proprietaria avrebbe dovuto affrontare per realizzarlo.

2. Il Comune di Catanzaro ha proposto ricorso per cinque motivi con i primi tre dei quali deduce che la decisione impugnata viola gli art. 2043 e 2056 cod. civ., della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, L. n. 8657 del 1971, art. 16 e L. n. 2359 del 1865, art. 39 avendo disatteso la normativa sulla determinazione del valore dei fabbricati rurali ubicati nell’ambito di terreni agricoli; e con i restanti due che ha disapplicato i parametri di ricognizione legale e di stima di detti terreni,da determinare in base al criterio dell’edificabilità legale: e quindi alla loro destinazione in base agli strumenti urbanistici,che nel caso era agricola,come accertato del resto dalla c.t.u..

3. Il ricorso, ammissibile perchè avente per oggetto le violazioni delle disposizioni di legge indicate,in cui è incorsa la sentenza impugnata nella determinazione di entrambi gli indennizzi,può essere esaminato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5 ed essere accolto per manifesta fondatezza se sono condivise le considerazioni che seguono.

Quanto ai terreni di cui la stessa Corte di appello ha evidenziato l’inclusione in zona qualificata dal P.R.G. come agricola,la decisione non ha tenuto in alcun conto i seguenti principi giurisprudenziali,ripetutamente enunciati da questa Corte,anche a sezioni unite: “In tema di liquidazione del danno da occupazione illegittima di un suolo agricolo, la valutazione del danno deve essere compiuta sulla base della classificazione urbanistica, senza che i criteri di classificazione dell’area possano essere obliterati per dare prevalenza ai criteri di effettualità; tuttavia, la riconosciuta inedificabilità “ex lege”, e la conseguente esclusione della valutabilità del bene come edificatorio, non comportano che necessariamente i suoli che tale qualifica non posseggono debbano essere valutati in base alla loro utilizzazione agricola, essendo tale conseguenza stabilita soltanto nei giudizi di opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione; pertanto, al proprietario è consentito di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all’interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità, e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, fibbia un’effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria (Cass. sez. un. 19551/2003; nonchè 1526 e 1041/2006;

26615/2008).

4. Nessuna rilevanza hanno gli indici da cui la Corte di appello ha ritenuto di trarre la cd. edificabilità di fatto dell’immobile,in quanto “Nel sistema di disciplina della stima dell’indennizzo espropriativo introdotto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis caratterizzato dalla rigida dicotomia, che non lascia spazi per un tertium genus, tra “aree edificabilì” ed “aree agricole” o “non classificabili come edificabili” (tuttora indennizzabili in base a valori agricoli tabellari ex L. n. 865 del 1971) – un’area va ritenuta edificabile quando, e per il solo fatto che, come tale, essa risulti classificata secondo un criterio di prevalenza o autosufficienza della edificabilità legale; la cosiddetta edificabilità “di fatto” rileva esclusivamente in via suppletiva – in carenza di strumenti urbanistici ovvero, in via complementare (ed integrativa), agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata, incidente sul calcolo dell’indennizzo” (Cass. sez. un. 172/2001 e successive).

E non ha rilevanza neppure l’avvenuta costruzione in conseguenza dell’espropriazione,di un edificio pubblico,in quanto “l’attività di trasformazione del suolo per la realizzazione dell’opera pubblica, ove questa sia inderogabilmente rimessa all’iniziativa pubblica, non può essere assimilata al concetto d’edificazione che la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, prende in considerazione agli effetti indennitari e risarcitori, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area: restando escluso che la previsione d’interventi unicamente finalizzati alla realizzazione dello scopo pubblico per cui si rende necessario l’esproprio conferisca natura fabbricativa ai terreni, attenendo al diverso concetto d’edificabilità pubblica che discende dal sistema stesso della legge urbanistica, in cui l’edilizia esplicabile per edifici e impianti ha una disciplina diversa dai limiti posti all’esplicazione delle facoltà dominicali, com’è desumibile dalla L. n. 1150 del 1942, art. 41 quater” (Cass. 2605/2310; 21095/2009, 16537/2009).

5. La decisione è assolutamente difforme dalla giurisprudenza di questa Corte anche per quanto riguarda la stima dei fabbricati realizzati nell’ambito di terreni agricoli, che ai fini dei criteri estimativi posti dall’art. 5 bis, non possono essere assimilati nè alle aree edificate, nè a quelle edificabili. Per essi,infatti,una volta accertata la natura agricola dei terreni, la L. n. 865 del 1971, art. 16, comma 9 dispone, anzitutto, che deve essere accertato se la costruzione è stata eseguita senza (licenza o) concessione edilizia o in contrasto con essa,in quanto in ciascuno di detti casi, l’indennità deve essere determinata in base al valore (agricolo) della sola area. Mentre, se queste condizioni risultano entrambe soddisfatte,il giudice del merito deve liquidare l’indennizzo per il fabbricato separatamente o includerlo nel valore del suolo a seconda che,alla stregua del suo insindacabile apprezzamento,la costruzione si configuri o non come bene autonomo rispetto al terreno che la incorpora (Cass. 4585/1988; 4679/1981; 4742/1979); sicchè solo se ricorre un’ipotesi di autonomia funzionale di questa rispetto al suolo,la Corte di merito può farne oggetto di autonoma valutazione patrimoniale ed aggiungere al valore agricolo del fondo quello di costruzione del fabbricato nello stato in cui si trova al momento della vicenda ablativa (Cass. 13782/2000; 11058/1998).

6. Errato è conseguentemente anche il criterio di computo dell’indennità di occupazione temporanea che per le aree agricole “va determinata, ai sensi della L. n. 865 del 1971, art. 20, comma 3, in una somma pari, per ciascun anno di occupazione, ad un dodicesimo dell’indennità che sarebbe dovuta per l’espropriazione dell’area da occupare, calcolata a norma dell’art. 16, ovvero, per ciascun mese o frazione di mese di occupazione, ad un dodicesimo dell’indennità annua, e ciò anche nel caso in cui il procedimento non si concluda con decreto di esproprio, ma la proprietà passi ugualmente all’ente pubblico per occupazione appropriativa” (Cass. 10217/2009; 6980/2007;

23279/2006).

7 . La destinazione tanto delle aree,quanto dei fabbricati doveva pertanto essere accertata dalla Corte di appello esclusivamente in base ai criteri suddetti.

2^. Il pubblico ministero non ha presentato conclusioni scritte.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

3^. – Il collegio, esaminato il ricorso, la relazione,il controricorso e le difese ulteriori,ha condiviso gli argomenti svolti nella relazione e la soluzione che vi è stata proposta,tranne che per la parte relativa alla determinazione dell’indennità di occupazione temporanea. Nelle more del giudizio,infatti, per effetto della sentenza 181 del 2011 della Corte Costituzionale è venuto meno il criterio di calcolo dell’indennità di espropriazione di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16 per contrasto con l’art. 42 Cost., comma 3 e art. 117 Cost., sul quale il successivo art. 20 fondava la stima dell’indennità di occupazione temporanea.

Per le relative determinazioni torna dunque nuovamente applicabile il criterio generale dell’indennizzo pari al valore venale del bene, fissato dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 che è l’unico criterio ancora vigente rinvenibile nell’ordinamento, e per di più non stabilito per singole e specifiche fattispecie espropriative, ma destinato a funzionare in linea generale in ogni ipotesi o tipo di espropriazione salvo che un’apposita norma provvedesse diversamente.

E che quindi nel caso concreto si presenta idoneo a riespandere la sua efficacia per colmare il vuoto prodotto nell’ordinamento dall’espunzione del criterio dichiarato incostituzionale (Cass. 4602/1989; 3785/1988; sez. un. 64/1986) anche per la sua corrispondenza con la riparazione integrale in rapporto ragionevole con il valore venale del bene garantita dall’art. 1 del Protocollo allegato alla Convenzione europea, nell’interpretazione offerta dalla Corte EDU. L’applicazione del criterio in questione da parte del giudice di rinvio comporta necessariamente l’estensione anche alla stima dell’indennizzo in questione dei medesimi principi già applicati per quello rivolto a risarcire l’espropriazione illegittima degli stessi fondi non edificatori; quali impongono di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio: perciò consentendo pure al proprietario interessato da un’espropriazione rituale, di dimostrare sempre all’interno della categoria suoli inedificabili, anche attraverso rigorose indagini tecniche e specializzate, che il valore agricolo sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà. E, quindi,che il fondo,suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell’edificatorietà, abbia un’effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative,chioschi per la vendita di prodotti ecc.): semprecchè assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative.

4. – Il ricorso va pertanto accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla stessa Corte di appello di Catanzaro che si atterrà ai principi esposti e provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso,cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Lecce in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2011

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