Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21026 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/10/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 02/10/2020), n.21026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 975-2019 proposto da:

H.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CHISIMAIO 29,

presso lo studio dell’avvocato MARILENA CARDONE, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONISCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA (OMISSIS)

SEZIONE DI (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 724/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 31/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. H.A. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona n. 724/2018, reiettiva del gravame da lui proposto contro la decisione del Tribunale della stessa città che, – al pari di quanto già fatto dalla Commissione territoriale – aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, tenuto conto del racconto del richiedente, ritenuto (analogamente a quanto opinato dalla commissione territoriale e dal giudice di prime cure) inattendibile, e della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza (Bangladesh), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi di ricorso prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 4, ed art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, sostanzialmente criticandosi la decisione impugnata nella parte in cui aveva negato la protezione invocata giudicando l’appellante non credibile senza indagare e valutare anche la situazione Bangladesh e la condizione in cui il primo si sarebbe venuto a trovare se ivi rimpatriato;

II) “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8”, censurandosi la sentenza impugnata che, a suo dire, non aveva rispettato il principio della cooperazione istruttoria officiosa;

III) “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., (del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6)”, criticandosi la medesima sentenza nella parte in cui aveva negato all’appellante anche la protezione umanitaria.

2. I primi due motivi, esaminabili congiuntamente perchè connessi, sono complessivamente insuscettibili di accoglimento.

2.1. Giova, invero, sottolineare che la corte dorica ha ampiamente esposto le ragioni che l’hanno indotta a considerare, come analogamente avevano ritenuto il tribunale di quella stessa città, e, ancor prima, la commissione territoriale, affatto inattendibile il racconto dell’odierno ricorrente, giudicato generico, sfornito di elementi di riscontro e contraddittorio (cfr., amplius, pag. 3-5 della sentenza impugnata).

2.1.1. Questa Corte ha recentemente chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019).

2.1.2. Nella specie, peraltro, il primo motivo, benchè rechi in rubrica il richiamo anche all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (da intendersi nel testo, qui applicabile ratione temporis, modificato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), è totalmente carente quanto al rispetto delle modalità di deduzione di un siffatto vizio come precisate da Cass., SU, n. 8053 del 2014.

2.2. La giurisprudenza di legittimità ha poi precisato che, in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, investe certamente le domande formulate ai sensi del predetto decreto, art. 14, lett. a) e b), (Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019).

2.2.1. Quanto, invece, alla sussistenza, nella specie, delle condizioni di cui al menzionato D.Lgs., art. 14, lett. c), essa è stata esclusa dalla corte marchigiana sul presupposto che la regione del Bangladesh da cui proviene il ricorrente non sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante, dovendosi, in parte qua, evidentemente intendere richiamate per relationem le fonti internazionali utilizzate dal giudice di prime cure (cfr. sulla possibilità di un siffatto modus procedendi, Cass. nn. 17839 e 17842 del 2019, in motivazione), come ragionevolmente può evincersi dalla decisione oggi impugnata.

2.2.2. Su questo preciso punto, peraltro, la corrispondente doglianza di H.A. si rivela affatto carente di specificità, omettendo di indicare puntualmente (e non attraverso la sola dicitura, assolutamente generica, secondo cui la situazione del Bangladesh “… di rapporti Amnesty International, ha subito un notevole peggioramento negli ultimi anni”. Cfr. pag. 7 del ricorso) – altresì, riproducendone il contenuto nell’odierno ricorso – le diverse fonti asseritamente più aggiornate, già sottoposte all’attenzione della corte distrettuale, da cui attingere un convincimento diverso da quello esplicitato da quest’ultima (cfr. Cass. n. 29056 del 2019).

2.2.3. Esclusivamente per ragioni di completezza, infine, si evidenzia che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019).

3. Conclusioni pressochè analoghe si impongono, da ultimo, con riferimento al terzo motivo, volto a censurare il mancato riconoscimento della cd. protezione umanitaria (da scrutinarsi sulla base della relativa disciplina anteriore a quella introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018 (cfr. Cass., SU, 13.11.2019, nn. 29459-29461; Cass. n. 4890 del 2019), atteso che la corte anconetana, oltre alla ritenuta inattendibilità del ricorrente sui fatti che ne fondavano la corrispondente istanza, ha comunque sostanzialmente escluso l’esistenza di qualsivoglia specifica allegazione in punto di sua vulnerabilità amplius, pag. 6 della sentenza impugnata), senza che il rilievo in tal modo operato abbia trovato adeguata e puntuale replica nell’illustrazione del motivo suddetto.

4. In definitiva H.A. con tutti i motivi in esame, tenta sostanzialmente di opporre alla esaustiva valutazione fattuale contenuta nella sentenza impugnata una propria alternativa interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica del vizio motivazionale o di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

5. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alla spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

 

 

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