Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21023 del 18/10/2016


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Cassazione civile sez. II, 18/10/2016, (ud. 23/06/2016, dep. 18/10/2016), n.21023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22560/2012 proposto da:

N.V., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TRIONFALE 21, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA CASAGNI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ISABELLA DI BENEDETTO;

– ricorrente –

contro

D.M., (OMISSIS), D.R. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 34, presso lo studio

dell’avvocato QUIRINO D’ANGELO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIOVANNI DI BIASE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 572/2012 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 03/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato ISABELLA DI BENEDETTO, difensore della ricorrente,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

N.V. con atto di citazione del 14 novembre 2003 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Pescara D.C., chiedendo che fosse accertato e dichiarato il suo acquisto per usucapione del diritto di proprietà esclusiva di un appartamento nel fabbricato bifamiliare in (OMISSIS) e dell’adiacente orto, nonchè fosse dichiarato l’avvenuto acquisto in comunione pro indiviso con la titolare delle pertinenze comuni costituite dalla strada di accesso dalla cantina, dal garage, dal fondaco e dal circostante giardino di circa 800 mq. Esponeva l’attrice di essersi trasferita nel compendio immobiliare nel (OMISSIS) dopo che C.U. (defunto marito della convenuta) che ne era il proprietario aveva chiamato il fratello C.E. (suo marito), ma di aver, successivamente, posseduto uti dominus per circa 35 anni gli immobili in maniera piena, indisturbata, e avendo, quindi, maturato l’usucapione.

Si costituiva D.C., la quale chiedeva il rigetto della domanda sostenendo che il contratto di comodato ricognitivo del (OMISSIS) avrebbe assunto decisiva valenza in suo favore quale prova dell’insussistenza dell’usucapione e titolo di detenzione. La D. avanzava, altresì, domanda riconvenzionale, chiedendo la restituzione dell’immobile e delle pertinenze oggetto di causa.

Il Tribunale di Pescara, con sentenza n. 1433 del 2007, rigettava la domanda proposta dall’attrice ed accoglieva la domanda riconvenzionale avanzata dalla sig.ra D. e condannava l’attrice al rimborso in favore della convenuta delle spese del giudizio.

La Corte di appello dell’Aquila, pronunciandosi su appello proposto da N.V. e con contraddittorio integro, con sentenza n. 572 del 2012 rigettava l’appello e confermava la sentenza del Tribunale di Pescara e condannava l’appellante al pagamento delle spese del giudizio. Secondo la Corte distrettuale, posto che l’interversione del possesso ex art. 1141 c.c., comma 2 e art. 1164 c.c., presuppone che vi sia stata opposizione fatta contro il diritto del proprietario, la circostanza che il detentore prima del compimento del ventennio, non solo non abbia fatto opposizione contro il proprietario, ma abbia espressamente rinunciato a farla, riconoscendo di aver detenuto, piuttosto che posseduto, l’immobile oggetto di causa non era possibile evincere ragionevolmente elementi a fondamento del preteso mutamento da detenzione in possesso secondo la prospettazione di parte appellante.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da N.V. con ricorso affidato a cinque motivi. Gli eredi di D.M. D.R. e M., hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso N.V. lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1165 e 2944 c.c.. Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale, erroneamente, avrebbe deciso la controversia, attribuendo alla scrittura privata del (OMISSIS), sottoscritta dal di lei marito ( C.E.) una valenza ricognitiva di un titolo di detenzione esistente ab origine e una funzione di valida interruzione dell’usucapione, senza tener conto che la sig. N. era estranea a quella scrittura e alla stessa non poteva essere opposta. Opponibile. E, comunque, anche a prescindere dall’estraneità della N. rispetto alla scrittura privata di cui si dice, a quella scrittura non potrebbe essere ricollegato un effetto interruttivo sia perchè stipulata ex post sia perchè privo della chiara e non equivoca volontà di attribuire il diritto al suo titolare.

1.1.- Il motivo è infondato.

Va qui premesso che la presunzione del possesso in colui che esercita un potere di fatto non opera, a norma dell’art. 1141c.c., quando la relazione con il bene non consegua ad un atto volontario di apprensione, ma derivi da un iniziale atto o fatto del proprietario-possessore perchè l’attività del soggetto che dispone della cosa (configurabile come semplice detenzione o precario) non corrisponde all’esercizio di un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario. Ora nel caso in esame, come risulta per stessa ammissione della sig.ra N., così come evidenziato dalla sentenza impugnata, la relazione che si era instaurata tra la N. e il bene risaliva ad un atto volontario del cognato C.U. il quale ha invitato il fratello Ernesto a trasferirsi a (OMISSIS) mettendo a disposizione del fratello e della di lui moglie (sig.ra N.) uno dei due appartamenti di cui era composta la palazzina di proprietà dell’ospitante U.. Di certo, dunque, come correttamente afferma la Corte distrettuale, la circostanza appena riferita escludeva, ragionevolmente, che al capo famiglia (ad C.E.) fosse stata intenzionalmente attribuito il possesso, piuttosto, che la detenzione in attuazione di comprensibile solidarietà tra consanguinei.

1.2.- A sua volta, la posizione della N. non può essere separata da quella del proprio marito. Come, infatti, ha avuto modo di affermare questa Corte in altra occasione, il solo fatto della convivenza non pone di per sè in essere, nelle persone che convivono con chi possiede il bene, un potere sulla cosa che possa essere configurato come possesso sulla medesima (Cass. n. 1745 del 07/02/2002). Piuttosto, la posizione della sig.ra N. era dipendente dalla posizione del proprio coniuge avente diritto ad occupare l’immobile adibito a luogo di residenza familiare e, così come il proprio marito, anche la sig.ra N. aveva instaurato la sua relazione con il bene per un atto volitivo del proprietario, inidoneo a trasferire il possesso del bene.

1.3. Inconferente è, altresì, il rilievo secondo il quale la scrittura privata non avrebbe potuto avere un effetto interruttivo del possesso, essendo priva della chiara volontà di attribuire il diritto al suo titolare perchè il ragionamento della Corte, volto ad escludere l’avvenuta usucapione della proprietà del bene di cui si dice da parte della sig.ra N., non si fonda su un atto interruttivo, ma sulla circostanza che la relazione con il bene di cui si dice integrava, sin dall’origine, gli estremi di una detenzione e nel corso del tempo non era intervenuto un atto di interversione del possesso.

2.= Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 1803 e 1809 e/o dell’art. 2720 c.c.. Secondo la ricorrente la Corte avrebbe errato nell’aver qualificato come comodato un rapporto non gratuito, ma, manifestamente, improntato all’onerosità perchè non avrebbe considerato la mole di prove che dimostravano come la sig.ra N. (presunta comodataria) avesse direttamente affrontato dai primi anni del 1970 e contro la volontà del proprietario decisioni e spese per tasse o manutenzione anche straordinarie per l’immobile del tutto incompatibile con un comodato e con la gratuità prevista dall’art. 1803 c.c., comma 2.

E di più, erroneamente, la Corte distrettuale avrebbe accolto la domanda riconvenzionale della sig.ra D. di restituzione del bene perchè, se effettivamente esistente il comodato per esigenze abitative familiari, il comodato non poteva essere risolto con restituzione del bene al comodante per mera volontà ad nutum di quest’ultimo, ma solo per un suo comprovato bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c., comma 2.

2.1.- Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

E’ infondato nella parte in cui la ricorrente ritiene che la Corte nel qualificare comodato il rapporto oggetto della controversia non abbia tenuto conto delle spese sostenute per tasse o manutenzione, relative all’immobile, del tutto incompatibili con la gratuità del comodato perchè la ricorrente, pur tralasciando il fatto di non aver indicato, e lo avrebbe dovuto fare nel rispetto del principio di specificità del ricorso per cassazione, il contenuto essenziale dei documenti cui si riferisce nè il luogo e quando tali documenti siano stati prodotti in giudizio, non tiene conto che ai sensi dell’art. 1808 c.c., comma 1, il comodatario che, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione, può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante. Il carattere di essenziale gratuità del comodato, comunque, non viene meno per un modus posto a carico del comodatario, venendo meno soltanto se il vantaggio conseguito da questi si pone come corrispettivo del godimento della cosa con natura di controprestazione. Senza dire che il sostenere spese per tasse o manutenzione, in sè considerato, non integra gli estremi di un atto di interversio possessionis ai sensi dell’art. 1141 c.c..

2.2.- Inammissibile è invece, il rilievo secondo il quale la Corte nell’accogliere la domanda di restituzione del bene avanzata dalla sig.ra D. non avrebbe tenuto conto che il rapporto di comodato concesso per esigenze abitative familiari non avrebbe potuto esser risolto per mera volontà del proprietario, perchè trattasi di eccezione nuova.

E’ ius receptum che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili, per la prima volta, in sede di legittimità, questioni nuove o nuovi terni di contestazione, non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito.

3.- la ricorrente lamenta, ancora:

a) con il terzo motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 184 e 209 c.p.c.. Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe ignorato le istanze istruttorie reiterate tanto nelle precisazioni delle conclusioni in primo grado quanto in appello e di aver tenuto conto delle prove anche orali offerte dalla convenuta D., nonostante la loro tardività. Se non vi è dubbio, secondo la ricorrente, che le prove di controparte fossero inammissibili e non andassero nè espletate nè tanto meno valutate in primo ed in secondo grado non vi sarebbe neppure dubbio sul fatto che la Corte avesse, comunque, l’obbligo di pronunciarsi sulla domanda istruttoria in conformità alla regola processuale.

b) Con il quarto motivo, l’omessa motivazione sulla domanda preliminare inerenti le istanze istruttorie. Secondo la ricorrente la sentenza impugnata sarebbe irrimediabilmente carente delle necessarie giustificazioni sulla domanda preliminare reiterata in appello in via istruttoria e volta a dichiarare la tardività e nullità delle prove testimoniali della controparte nonchè a consentire la prosecuzione della prova orale dell’esponente signor N. ingiustamente troncata con l’esclusione di ben tre testimoni.

c) Con il quinto motivo, l’insufficiente e contraddittoria motivazione sulla domanda principale e sul possesso ad usucapionem. Secondo la ricorrente, la Corte abruzzese non avendo tenuto conto delle prove dedotte non avrebbe accertato l’insussistenza del preteso rapporto ultratrentennale di ospitalità e al contrario l’esistenza del godimento proibente domino così intenso da condurre al compimento di atti di straordinaria amministrazione e addirittura al pagamento delle tasse e degli altri oneri dell’immobile. Nessuna motivazione, quindi, sarebbe stata resa sull’aspetto fattuale e cioè sulle prove che dimostravano lo svolgimento in concreto di un possesso ad usucapionem.

3.1.- Tutti e tre i motivi, appena richiamati, che, per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di trattazione e di motivazione, possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza, sono inammissibili per genericità o perchè mancanti dei necessari profili di specificità.

Va qui osservato che il ricorrente per cassazione che denunci l’esistenza di vizi della sentenza correlati al rifiuto del giudice di merito di dare ingresso ai mezzi istruttori ritualmente prodotti, ha l’onere di indicare specificamente nel ricorso le deduzioni di prova che asserisce disattese, e/o quelle che avrebbero dovuto essere dichiarate inammissibili perchè tardive, onde consentire in sede di legittimità la verifica sulla sola base di tale atto di impugnazione e senza necessità di inammissibili indagini integrative della validità e decisività delle disattese deduzioni e senza che all’uopo possa per il principio c.d. di specificità del ricorso per cassazione, svolgere alcuna funzione sostitutiva il riferimento “per relationem” ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi del giudizio.

Ora, nel caso in esame, la ricorrente si limita a riferire che la Corte distrettuale avrebbe ignorato le istanze istruttorie reiterate sia in primo che in secondo grado e avrebbe esaminato prove inammissibili, senza indicare nè quale fossero le prove di cui si dice nè se fossero e in quale misura fossero decisive per il giudizio.

3.2.- A sua volta, come è stato già detto da questa Corte (Cass. n. 1875 del 30/01/2006) la mancata pronuncia su una istanza istruttoria, non integra, di per sè, il vizio di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, occorrendo che la risultanza processuale ovvero l’istanza istruttoria non esaminate attengano a circostanze che, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, avrebbero potuto condurre ad una decisione diversa da quella adottata.

Senza dire che, accertato, per stessa ammissione della ricorrente, che la relazione della N. con il bene di cui si dice era sorto a titolo di detenzione, le uniche prove rilevanti sarebbero state solo quelle che avrebbero dimostrato un’avvenuta intervesio possessionis. Epperò, al riguardo, la Corte distrettuale ha chiarito che nel caso concreto, ad escludere che fosse maturata la pretesa usucapione era da un verso l’ammissione della stessa N. a cui all’origine, il bene era stato concesso in detenzione da C.U. al proprio fratello C.E., nonchè alla di lui moglie ( N.V.) e che l’atto di ricognizione, più volte richiamato, induceva a ritenere che le parti avessero voluto confermare la sussistenza della mera detenzione al fine di evitare fraintendimenti futuri e che, comunque, non era possibile evincere ragionevolmente elementi a fondamento di un preteso mutamento dalla detenzione in possesso.

Sarebbe stato, in definitiva, necessario che, ai sensi dell’art. 1141 c.c., la ricorrente indicasse l’atto del terzo o l’atto di opposizione che egli aveva fatto nei confronti del possessore, in forza del quale l’originaria detenzione si sarebbe trasformata in possesso.

In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, a favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 23 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2016

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