Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21023 del 11/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 11/09/2017, (ud. 07/04/2017, dep.11/09/2017),  n. 21023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14400-2014 proposto da:

L’UNIONE SARDA SPA, L’UNIONE EDITORIALE SPA, in persona dei

rispettivi Presidenti del Consiglio di Amministrazione,

Z.S., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FLAMINIA 318

presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO FIORAVANTI, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI FRAU;

– ricorrenti –

contro

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARRAI

55, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CARTA, rappresentato e

difeso dall’avvocato EFISIO PINTOR;

– controricorrente –

e contro

CR.LU., R.C., CR.RA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4531/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 26/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/04/2017 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La s.p.a U.S., la s.p.a U.e. e Z.S. hanno proposto domanda di revocazione della sentenza della Corte di Cassazione n. 4531 del 2014.

La decisione ha avuto origine dalla domanda di annullamento per vizio del consenso del contratto preliminare e del definitivo di cessione di quote della s.r.l. J&Co Arkhè e Partners-Jap, in seguito Jap, proposta dalla s.p.a. U.s. nei confronti dei venditori Cr.Lu., cr.Ra., R.C. e C.G..

La sentenza di primo grado aveva accolto la domanda ma la Corte territoriale l’ha rigettata accogliendo la riconvenzionale dei venditori ( Cr.Lu. e Ra. e R.C.) e condannando l’ U.s. al pagamento del residuo prezzo delle quote nonchè alla s.r.l. Jap la somma di Euro 258.228,45 a titolo di finanziamento il cui obbligo era previsto nel contratto di vendita.

Nel giudizio era intervenuto Z.S., che, come socio di riferimento delle società attrici, aveva trasferita a C.G. e a Cr.Lu. cinquemila azioni ciascuno della s.p.a. L’ U.E., sempre in adempimento degli obblighi pattuiti con la cessione quote.

La Corte d’appello aveva escluso artifici e raggiri da parte dei cedenti.

La Corte di cassazione i con la sentenza revocanda, per quel che ancora interessa, su ricorso delle società attrici e di Z.S. ha accolto il primo motivo con il quale si denunciava l’ultrapetizione della sentenza impugnata nella parte in cui ha esteso la statuizione di condanna oltre che agli appellanti al C. che non aveva proposto appello. Quest’ultimo non aveva proposto appello incidentale contro il rigetto della domanda riconvenzionale proposta in primo grado e, conseguentemente non gli doveva essere estesa la statuizione di condanna.

Deve, in conclusione, cassarsi la sentenza impugnata per la parte in cui ha condannato la s.p.a. U.E. a pagare la somma di Euro 90.379,96 anche il C., il quale, sebbene soccombente sul capo concernente il capo del pagamento del prezzo in primo grado, non aveva proposto appello.

Nel dispositivo della sentenza revocanda viene ribadito l’accoglimento del primo motivo “nei sensi di cui in motivazione” con compensazione integrale delle spese processuali nel rapporto ricorrenti – C..

Nell’unico motivo di revocazione viene dedotto l’errore materiale o la revocazione della sentenza di questa Corte n. 4531 del 2014 nella parte in cui non ha disposto la cassazione di tutte le voci di condanna disposte dalla Corte d’Appello di Cagliari a favore del C. e a carico dei ricorrenti, consistenti non solo nella quota del residuo prezzo (riconosciuta) ma anche in ulteriori importi relativi a somme che il C. doveva alla s.r.l. Jap ed infine nel rimborso anche a suo favore delle spese relative al procedimento cautelare e al successivo di reclamo, ponendole a carico di Z.S..

E’ stato depositato controricorso e memoria di entrambe le parti.

La censura è inammissibile. Nella sentenza revocanda è specificamente affermato che l’accoglimento del primo motivo riguarda l’estensione dell’appello incidentale sulla domanda riconvenzionale relativa al pagamento del prezzo pro quota. (pag. 6 e 7 sentenza revocanda).

L’oggetto della domanda riconvenzionale proposta in primo grado riguarda, secondo quanto espressamente affermato dalla sentenza revocanda, soltanto il pagamento del residuo prezzo. L’accertamento svolto sul contenuto di essa non ha formato oggetto di specifica censura. Il ricorrente ha dedotto l’errore revocatorio dal dispositivo della sentenza d’appello, mentre la sentenza revocanda si fonda sull’esame comparativo del dispositivo e della domanda riconvenzionale proposta da C., per pervenire all’individuazione dell’oggetto di quest’ultima soltanto nel prezzo pro quota.

Peraltro, le voci ritenute omesse in virtù di errore di fatto revocatorio hanno una giustificazione causale e un’imputabilità soggettiva del tutto diverse rispetto a quella oggetto di accoglimento del ricorso. In quest’ultima il C. è titolare in via esclusiva del diritto di credito relativo al pagamento del prezzo residuo. L’altra voce riguarda, invece, una statuizione di condanna al pagamento di una somma a “titolo di finanziamento il cui obbligo era previsto nel contratto di vendita” in favore della s.r.l. Jap” (così nella sentenza revocanda).

La parte ricorrente afferma che il pagamento in oggetto doveva essere eseguito in nome e per conto degli appellanti e di Gianfranco C. e, conseguentemente doveva formare oggetto delle disposizioni cassate della sentenza d’Appello. Infine l’ultima statuizione della quale si era richiesta la cassazione ha ad oggetto la condanna alle spese processuali per alcune fasi processuali (procedimento cautelare e reclamo) in favore del C..

L’esclusione di queste voci dall’accoglimento del primo motivo non è riconducibile ad una svista percettiva o ad un’omissione fattualeírna costituisce evidente conseguenza della complessiva argomentazione svolta dalla Corte di Cassazione nella parte relativa all’accoglimento del primo motivo. La condanna al pagamento di Euro 258.238,45 non è disposta in favore del C. ma della s.r.l. Jap. La posizione creditoria del C. non deriva direttamente dalla statuizione di condanna ma attiene ad un rapporto interno tra cedenti e la s.r.l. Jap, nè risulta agevolmente comprensibile alla luce degli atti dimessi nel presente giudizio revocatorio.

Ugualmente la statuizione relativa alle spese di lite poste a carico del ricorrente Z. riguarda una fase peculiare del giudizio di merito, e non l’oggetto della domanda riconvenzionale sulla quale in via esclusiva si è concentrata la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Cagliari.

In conclusione, le lamentate omissioni risultano il frutto della valutazione, svolta dalla Corte di Cassazione della posizione processuale del C. nel giudizio d’appello, come sollecitata dal primo motivo di ricorso. Tale valutazione ha condotto all’accoglimento del vizio di ultrapetizione limitatamente alla quota di prezzo residuo e non alle altri voci richieste, secondo una scelta esclusivamente dettata da ragioni giuridiche.

All’inammissibilità del ricorso consegue l’applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese del presente giudizio.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare nei confronti del controricorrente le spese processuali del presente giudizio da liquidarsi in Euro 5000 per compensi, 200 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2017

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