Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2102 del 29/01/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 2102 Anno 2018
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: FORTUNATO GIUSEPPE

Data pubblicazione: 29/01/2018

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 1502/2014 R.G. proposto da
Giuseppa Manfredi, rappresentata e difesa dall’Avv. Emanuele Cardinali,
con domicilio eletto in Roma, via Ovidio, n. 26, presso lo studio dell’Avv.
Gianluca Mancini;
– ricorrente –

contro

Alessio Concettoni, rappresentato e difeso dall’Avv. Vito Ludovico Ascoli e
dall’Avv. Arturo Antonucci, con domicilio eletto in Roma, Corso Trieste, n. 87,
presso lo studio dell’Avv. Arturo Antonucci.
– con troricorrente Laura Concettoni.

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 668/2012, depositata
il 29.11.2012.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 ottobre 2017 dal
Consigliere Giuseppe Fortunato;
42 liti, Q:v,

Le. C CAld.:

uditi gli Avv. eig-R-1-uca Kaucin_i e Arturo Antonucci;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
dott. Lucio Capasso, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Laura ed Alessio Concettoni hanno adito il Tribunale di Ancona, proponendo
domanda di divisione giudiziale dell’asse ereditario di Giovanni Concettoni e
di collazione della donazione immobiliare effettuata da quest’ultimo in favore
della seconda moglie, Giuseppa Manfredi, con rogito del 6.11.1993, instando
inoltre per il rendimento del conto e la restituzione dei frutti percepiti dopo
l’apertura della successione.
Hanno dedotto di essere eredi del de cuius (quali figli nati dal primo
matrimonio), il quale aveva disposto di tutti i suoi averi con testamento
pubblico del 6.11.1993, istituendo erede universale Giuseppa Manfredi,
moglie in seconde nozze, e attribuendo ad essi “quanto spettante per legge”.

-intimata –

Giuseppa Manfredi ha aderito alla richiesta di divisione, spiegando
riconvenzionale per fare accertare che il rogito del 19.3.1980 con cui
Giovanni Concettoni aveva venduto taluni immobili ad Alessio e Laura
Concettoni, dissimulava una donazione, della quale ha chiesto la riduzione e
la collazione ex art. 737 c.c..

domande principali, ha dichiarato inammissibile la riconvenzionale proposta
da Giuseppa Manfredi e ha assegnato a quest’ultima il 50% dei beni ereditari
indicati in citazione ed il restante ai due figli.
Con sentenza n. 688/2012, depositata in data 6.11.2012, la Corte d’appello
di Ancona, su impugnazione di tutte le parti, ha confermato la pronuncia di
inammissibilità della domanda di simulazione relativa della compravendita
immobiliare del 19.3.1980 e di quella di riduzione e, in riforma della prima
decisione, ha dichiarato che la Manfredi è tenuta a conferire alla massa
ereditaria quanto ricevuto per donazione dall’ex coniuge in data 6.11.1993,
ordinando la prosecuzione del giudizio per le attività divisionali.
Contro tale sentenza Giuseppa Manfredi proposto ricorso per cassazione,
sviluppato in quattro motivi.
Alessio Concettoni ha depositato controricorso, chiedendo di respingere il
ricorso.
La ricorrente ha depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.

Occorre preliminarmente respingere l’eccezione di inammissibilità

sollevata dal Procuratore generale sull’assunto che il ricorso sarebbe privo
dei requisiti di chiarezza e sinteticità, essendo formato mediante il reiterato
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Il tribunale, con sentenza n. 804, depositata il 2.7.2008, ha respinto le

inserimento nel corpo dell’atto di tutta la documentazione che la parte ha
posto a sostegno dell’impugnazione, senza discernere quella pertinente a
ciascuna censura, e mediante la reiterazione, per le singole doglianze, delle
contestazioni comuni alle altre, senza limitarsi ad esporre solo quelle
pertinenti a ciascun motivo.

individuare il contenuto delle singole censure e gli elementi probatori di cui la
parte ha inteso avvalersi con riferimento a ciascuna contestazione, elementi
che risultano trascritti o richiamati nel corpo del ricorso con indicazione della
fase e del grado in cui sono stati prodotti o acquisiti al processo.
Di conseguenza non risultano pregiudicati l’esame del ricorso e l’intelligibilità
delle questioni sottoposte al vaglio di questa Corte.
2. Con il primo motivo di ricorso Giuseppa Manfredi lamenta la violazione
degli artt. 1414, 1417, 2721, 2722, 2725, 2727, 2729 c.c. in relazione
all’art. 360, comma, I, n. 3 c.p.c., sostenendo che la Corte di merito opinando che l’erede universale che agisce in simulazione e collazione
subisca le medesime limitazioni che incontrano i contraenti nella prova della
simulazione ex art. 1417 c.c. – abbia ritenuto l’inutilizzabilità dei molteplici
elementi presuntivi volti a dimostrare il carattere simulato della vendita,
ponendosi in contrasto con l’insegnamento secondo cui le limitazioni di cui
agli artt. 2721 e 2729, c. 2, c.c. sono poste nell’interesse delle parti e
possono operare solo su eccezione di parte, non essendo rilevabili d’ufficio.
Con il secondo motivo è dedotta la violazione degli artt. 564 c.c. e 1414 c.c.
in relazione all’art. 360, comma I, n. 3 c.p.c..

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La descritta modalità di redazione del ricorso non impedisce – tuttavia – di

La Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto ostativa per la
proponibilità delle domande di simulazione e riduzione la mancata
accettazione dell’eredità con beneficio di inventario da parte della Manfredi,
non considerando che dette azioni erano state proposte da e verso coeredi,
non operando – per previsione testuale – l’art. 564 c.c..

relazione all’art. 360 comma I, n. 4 c.p.c. asserendo di aver proposto in
appello una domanda subordinata di accertamento della nullità della vendita
immobiliare del 17.3.1980 per mancanza o illiceità della causa, ma che la
Corte nulla ha statuito sul punto, e che, trattandosi di nullità rilevabile
d’ufficio ai sensi dell’art. 1421 c.c., la questione poteva essere proposta
anche in appello.
Con il quarto motivo si contesta la violazione dell’art. 360 comma I, n.5
c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo della causa, oggetto di
discussione tra le parti per aver il giudice di merito avrebbe omesso di
scrutinare l’invalidità dell’atto di compravendita del 17.3.1980 benché tale
questione fosse stata sollevata con la comparsa di costituzione in appello,
sostanziando comunque un’eccezione rilevabile d’ufficio.
3. Il primo motivo è inammissibile.
La Corte di merito – nel rigettare l’appello della Manfredi – ha
prioritariamente rilevato un vizio di inammissibilità dell’azione di riduzione
per la “carenza dell’indicazione e dei limiti entro i quali sarebbe stata lesa la
quota di riserva, sull’assunto che la parte che intende avvalersi della
riduzione deve allegare, oltre che provare, ogni dato idoneo a stabilire se e
entro quali limiti sia intervenuta detta lesione, ed ha affermato che la
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Con il terzo motivo la Manfredi lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. in

Manfredi si era limitata ad invocare – senza ulteriori deduzioni – la sola quota
che le spettava quale legittimaria.
Ha poi dichiarato inammissibile anche la domanda di simulazione: la
ricorrente, non potendo ottenere la riduzione, non aveva alcun interesse a
far accertare il carattere simulato della compravendita del 17.3.1980 ed

quanto le spettasse in base alla quota di riserva.
E’ utile considerare che la statuizione di inammissibilità, intervenendo su una
questione processuale che ha valenza pregiudiziale idonea a definire il
processo, è di per sé autosufficiente, quale “sillogismo perfetto”, e consuma
la potestas iudicandi del giudice, che non deve procedere anche all’esame del
merito.
Detta statuizione riveste rilievo assorbente nell’ordine logico delle questioni
da esaminare per giungere alla decisione finale, per cui la contestuale
definizione anche delle questioni di merito finisce per fondarsi su
argomentazioni meramente rafforzative che, anche se revocate o annullate,
non possono travolgere in alcun caso l’intera decisione (Cass. s.u.,
14.3.1990, n. 2078; Cass. s.u. 15.5.1992, n. 5794; Cass. s.u. 20.2.2007, n.
3840; Cass. s.u. 12.12.2014, n. 26243 in motivazione).
Il rigetto della domanda nel merito, contenuto in una sentenza che ne abbia
pregiudizialmente dichiarato l’inammissibilità, integra – difatti – una
motivazione “ad abundantiam” che la parte non ha interesse a contestare
perché improduttiva di effetti giuridici ed inidonea al giudicato: è quindi
ammissibile la sola impugnazione che si rivolga alla statuizione pregiudiziale
ed è viceversa inammissibile per difetto di interesse l’impugnazione nella
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inoltre, essendo stata istituita erede universale, aveva già ottenuto più di

parte in cui pretenda un sindacato esclusivamente in ordine alla motivazione
sul merito.
Di conseguenza, non avendo la Manfredi svolto censure avverso la pronuncia
di inammissibilità della domanda di riduzione e simulazione, non può dolersi
della statuizione con cui la Corte d’appello ha escluso che la simulazione

merito e, per quanto detto, resa in carenza di potestas iudicandi.
4. Il secondo motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha ritenuto inammissibile le azioni di simulazione e
riduzione non solo per il fatto che Giuseppa Manfredi non avesse accettato
l’eredità di Giovanni Concettoni con beneficio di inventario (che è condizione
di ammissibilità dell’azione: cfr. Cass. 23.2.2011, n. 17896; Cass.
10.2.1987, n. 1407; Cass. 5.8.1982, n. 701; Cass. 9.7.1971, n. 2200; 2011,
n. 17896), ma anche per carenza di interesse, avendo la parte conseguito
più di quanto le spettasse in base alla quota di riserva per effetto
dell’istituzione testamentaria.
La Manfredi ha però contestato che dette azioni fossero sottoposte alla
condizione di cui all’art. 564 comma primo, c.c. senza nulla obiettare quanto
alla dichiarata carenza di interesse a proporre la domanda, trascurando che
la decisione si basa su più argomentazioni autonome pertinenti al medesimo
profilo dell’inammissibilità, ciascuna delle quali idonee a sostenere da sola la
pronuncia.
In tali ipotesi il motivo volto a censurare una sola delle rationes decidendi è
inammissibile poiché, anche nella ipotesi siano fondate le censure introdotte,
il loro accoglimento non potrebbe mai condurre alla cassazione della
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potesse provarsi per presunzioni, essendo detta pronuncia attinente al

sentenza impugnata, stante la intervenuta definitività delle altre (Cass.
9.5.2017, n. 11222; Cass. 4.3.2016, n. 4293; Cass. 21.1.2015, n. 1062;
Cass. 6.6.2014, n. 12839).

5. Il terzo motivo è infondato.
A parere della ricorrente la Corte avrebbe omesso di statuire sulla domanda

domanda che, sebbene proposta direttamente in appello, prospettava una
questione rilevabile d’ufficio su cui il giudice avrebbe dovuto comunque
pronunciarsi.
Questa Corte, nello scrutinare la complessa tematica della rilevabilità d’ufficio
delle nullità riguardo alle azioni di adempimento, risoluzione e di
annullamento, sulla premessa che detta patologia riflette il massimo
disvalore giuridico del contratto cui occorre negare qualsivoglia idoneità a
produrre effetti giuridici, ha precisato che la Corte d’appello e la Corte di
legittimità sono sempre tenute a rilevare eventualità nullità evicibili dagli atti,
pur in assenza di deduzioni di parte (Cass. s.u. 12.12.2014, n. 26242) e che
tale principio va coordinato con il divieto di domande nuove in appello (cfr.
Cass. s.u. 12.12.2014, n. 26423).
In tale sede il thenna decidendum resta – difatti – definitivamente
cristallizzato dal contenuto della decisione impugnata e, tenuto conto della
divieto di cui all’art. 345 c.p.c., il giudice di appello investito di una domanda
nuova volta alla declaratoria di nullità contrattuale non può esaminarla
perché inammissibile, potendo soltanto ritenerla convertita in eccezione di
nullità rilevabile anche d’ufficio (cfr. Cass. s.u. 12.12.2014, n. 26243).

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di nullità (per illiceità o mancanza di causa) della vendita del 17.3.1980,

Sia il rilievo officioso della nullità da parte del giudice sia la proponibilità di
detta questione in forma di eccezione (pur se per conversione di una
domanda di nullità inammissibile in quanto non proposta in primo grado)
presuppongono, tuttavia, che l’invalidità emerga ex actis, sia suscettibile di
immediato rilievo da parte del giudice in base ad elementi di fatto già

n. 10609; Cass. 29.4.2016, n. 8489; Cass. 16.3.2016, n. 5249).
Per contro, la nullità della vendita del 17.3.1980, che la ricorrente ricollega
alla mancanza assoluta di volontà dispositiva del de cuius (determinatosi a
cedere gran parte del suo patrimonio in favore dei figli all’unico scopo di
pervenire alla definizione consensuale del divorzio dalla prima moglie), e
all’assenza “di qualsivoglia spirito di liberalità e di corrispettività”, avrebbe
richiesto una nuova valutazione dei profili funzionali e contenutistici dell’atto
di trasferimento da una prospettiva in precedenza non scrutinata e sulla base
di circostanze esterne all’atto, tali da non poter costituire oggetto di un
immediato rilievo sulla base dell’esame delle risultanze già acquisite o già
oggetto di dibattito processuale.
Nessuna conversione della domanda in eccezione di nullità in eccezione
poteva prodursi in appello e quindi non si profila un’omissione di pronuncia ai
sensi dell’art. 112 c.p.c., la quale è configurabile solo riguardo a domande
ritualmente introdotte (mentre la proposizione di una domanda inammissibile
non determina l’insorgere di alcun potere-dovere del giudice di pronunciarsi
su di essa; Cass. 31.3.2010, n. 7951; Cass. 7.5.2009, n. 10489; Cass.
20.3.2006, n. 6094).
6. Il quarto motivo è infondato.
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acquisiti al processo senza possibilità di ulteriori indagini (Cass. 28.4.2017,

La ricorrente, censurando la violazione dell’art. 360, comma primo, n. 5)
c.p.c. si duole che la Corte d’appello non abbia rilevato la nullità della
compravendita del 17.3.1980 per mancanza o illiceità della causa, pur
trattandosi di questione che doveva essere esaminata d’ufficio.
La sentenza impugnata è stata pubblicata il 23.11.2012, dunque, dopo

comma 1, n. 5, come modificato dall’art. 54 comma 1, lettera b) e comma 3
del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L.
7 agosto 2012, n. 83.
La disposizione, nel rendere sindacabile l’omesso esame di un fatto decisivo
della causa che sia stato oggetto di dibattito tra le parti evoca i soli fatti
materiali dedotti in lite, principali o secondari, risultante dal testo della
sentenza o dalle altre acquisizioni processuali, e non è invocabile per il vizio
di omessa rilevazione della nullità negoziale, che invece afferisce al modo di
essere del contratto, ossia alla sua idoneità a produrre effetti giuridici per la
sussistenza di un vizio che ne infici la validità, e alla sua qualificazione in
di validità (o invalidità) (Cass. 8.3.2017, n. 5795; Cass. s.u.
7.4.2014, n. 8053).
7. Il ricorso è quindi respinto, con aggravio delle spese processuali a carico
della ricorrente, con liquidazione in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art.
13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello dovuto per la presente impugnazione integralmente rigettata.

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1’11.09.2012, trovando applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c.,

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali, pari ad C 200,00 per esborsi ed C 7000,00 per compenso, oltre
al rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%, iva e c.a.p..
Si dà atto che il ricorrente è tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di

1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il
comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, 26.10.12017.
re estenso e
o
Il Presidente
dott. Vincenzo Mazzacane
f

t

nano Giuzne

ia NERI

contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art.

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