Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21017 del 13/09/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 21017 Anno 2013
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: MERCOLINO GUIDO

SENTENZA

Data pubblicazione: 13/09/2013

priazione – interessi

sul ricorso prop o. sto da
MAZZILLI FRANCESCA, MAZZILLI GIUSEPPE, MAZZILLI GRAZIA,
MAZZILLI ANTONIA e MAZZILLI ANNA, elettivamente domiciliati in Roma,
alla via Tomacelli n. 98, presso l’avv. MASSIMO CORTESI, unitamente all’avv.
ANTONIO COPPOLA del foro di Bari, dal quale sono rappresentati e difesi in
virtù di procura speciale a margine del ricorso
RICORRENTI

contro
COMUNE DI GIOVINAZZO
INTIMATO

avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari n. 739/06, pubblicata 1’11 agosto 2006.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28 maggio

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2013 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Pasquale FIMIANI, il quale ha concluso per l’accoglimento del primo e del

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. — Francesca, Giuseppe, Grazia, Antonia ed Anna Mazzilli convennero in
giudizio il Comune di Giovinazzo, chiedendo la determinazione dell’indennità dovuta per l’espropriazione di due fondi di loro proprietà riportati in Catasto al foglio
2, particelle 917 e 794, espropriati con decreto del 7 giugno 1984, ed il risarcimento del danno per la perdita della proprietà di un altro fondo riportato in Catasto al foglio 2, particella 918, illegittimamente occupato, oltre all’indennità dovuta
per l’occupazione legittima.
1.1. — Il Tribunale di Bari, dopo aver dichiarato, con sentenza non definitiva
del 13 gennaio 1995, la propria competenza in ordine ad entrambe le domande,
con sentenza definitiva del 12 settembre 2001 determinò l’indennità di espropriazione in Lire 1.900.980 per la particella 917 e Lire 2.635.250 per la particella 794,
ed il risarcimento del danno in Lire 2.318.360, oltre interessi legali dal 13 febbraio
1990.
2.

Sull’appello dei Mazzilli, la Corte d’Appello di Bari, con sentenza del-

1’11 agosto 2006, ha rideterminato l’indennità di espropriazione in Euro 4.782,45,
oltre ad Euro 26.257,00 per l’espropriazione dei manufatti abitativi insistenti sui
fondi, il risarcimento del danno in Euro 6.442,28, oltre rivalutazione, e l’indennità
di occupazione in Euro 836,93 per le particelle 917 e 794, Euro 969,27 per la particella 918 ed Euro 4.594,97 per i manufatti abitativi, riconoscendo sulle predette
somme gl’interessi legali con decorrenza dalla domanda. Ha poi condannato il

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secondo motivo di ricorso, restando assorbito il terzo.

Comune al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio, liquidando per
il giudizio di appello la somma complessiva di Euro 5.710,00, ivi compresi Euro
2.710,00 per esborsi, Euro 1.000,00 per diritti ed Euro 2.000,00 per onorario, oltre

3. — Avverso la predetta sentenza i Mazzilli propongono ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. 11 Comune non ha
svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. — Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 49 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, degli
artt. 1282, 2043 e 1219 cod. civ. e degli artt. 132 n. 4 e 359 cod. proc. civ., nonché
l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha immotivatamente riconosciuto
gl’interessi sulle somme liquidate con decorrenza dalla domanda.
Sostengono infatti che gl’interessi sull’indennità di espropriazione, aventi natura compensativa, sono dovuti con decorrenza dalla data dell’espropriazione, per
il solo fatto che il relativo importo, da depositarsi presso la Cassa Depositi e Prestiti, è rimasto a disposizione dell’ente espropriante, ed indipendentemente da
qualsiasi indagine in ordine alla natura colposa del ritardo nell’adempimento.
Gl’interessi sul risarcimento del danno per occupazione appropriativa, aventi anch’essi natura compensativa, decorrono invece dalla scadenza del termine fissato
nella dichiarazione di pubblica utilità, che, congiuntamente all’intervenuta trasformazione dell’immobile, fa sorgere a carico dell’ente l’obbligo di risarcire il
danno derivante dalla perdita della proprietà; tale decorrenza dovrebbe essere peraltro riconosciuta anche ove si ritenesse che detti interessi abbiano carattere mo-

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al rimborso delle spese generali.

ratorio, in quanto il debitore del risarcimento è costituito in mora ex re dalla data
del fatto illecito. Gl’interessi sull’indennità di occupazione, richiesti per comodità
di calcolo con decorrenza dalla scadenza del periodo di occupazione legittima, so-

1.1. — Il motivo è fondato nella parte concernente la decorrenza degl’interessi sulle somme dovute a titolo d’indennità di espropriazione ed occupazione.
In tema di espropriazione per pubblica utilità, questa Corte ha costantemente
affermato il principio secondo cui sull’importo, avente natura di debito di valuta,
riconosciuto a titolo di differenza tra l’indennità determinata in via amministrativa
e quella liquidata dall’Autorità giudiziaria a seguito del giudizio di opposizione alla stima, gl’interessi sono dovuti in misura legale con decorrenza dalla data in cui,
per effetto dell’emissione del decreto di espropriazione, ha avuto luogo l’acquisto
della proprietà del fondo da parte dell’espropriante, con la conseguente insorgenza
dell’obbligo di corrispondere l’indennità: in quanto volti a riequilibrare l’ingiusto
vantaggio che l’espropriante ha tratto dalla possibilità di continuare a fruire di un
capitale che avrebbe dovuto già far parte del patrimonio del creditore, nonostante
l’avvenuto conseguimento della piena disponibilità dell’immobile, tali interessi
hanno infatti natura compensativa, e sono quindi dovuti indipendentemente dalla
configurabilità di una responsabilità colposa per il ritardo nel pagamento dell’indennità, per il solo fatto che la relativa somma è rimasta a disposizione dell’espropriante (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. I, 20 giugno 2011, n. 13456; 30 aprile
2008, n. 10929; Cass., Sez. I, 14 marzo 2006, n. 5520).
Hanno parimenti natura compensativa, in quanto volti a compensare il proprietario della mancata disponibilità dei frutti che avrebbe percepito periodicamente, gl’interessi legali sulle somme, costituenti anch’esse debito di valuta, dovu-

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no infine dovuti dalla fine di ciascun anno di occupazione.

te a titolo d’indennità per l’occupazione legittima, la cui decorrenza dev’essere invece ancorata, per ciascuna annualità, alla scadenza del relativo periodo di occupazione. A seguito della dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 20,

legge I° gennaio 1977, n. 10), nella parte in cui non consentiva di agire in giudizio per la liquidazione dell’indennità di occupazione in mancanza della determinazione della stessa da parte della commissione di cui all’art. 16 della legge n. 865
cit. o della sua comunicazione agl’interessati (cfr. Corte cost., sent. n. 470 del
1990), l’insorgenza del relativo diritto risulta infatti svincolata dal procedimento
amministrativo di liquidazione. Poiché, peraltro, pur essendo collegato alla durata
effettiva dell’occupazione, il relativo credito dev’essere calcolato su base annua, ai
sensi del terzo comma dell’art. 20 cit., e sulla medesima base va calcolato l’importo eventualmente dovuto per periodi inferiori all’anno, la corresponsione dell’indennità deve aver luogo per ciascuna annualità alla scadenza del relativo periodo,
ed in ogni caso alla cessazione dell’occupazione, se avvenuta anteriormente, con
la conseguenza che, divenendo esigibile da tale data il credito del proprietario, è
dalla stessa che devono essere fatti decorrere i relativi interessi (cfr. Cass., Sez. I,
21 aprile 2006, n. 9410; Cass., Sez. I, 14 marzo 2006, n. 5520, cit.; 11 novembre
2003, n. 16908). La medesima decorrenza dev’essere riconosciuta nel caso in cui,
non trovando applicazione la predetta disposizione, l’indennità di occupazione
debba essere liquidata in misura pari agl’interessi legali sull’indennità di esproprio,
non valendo l’adozione di tale criterio a trasformare in obbligazione d’interessi
quella che rimane un’obbligazione volta a reintegrare il proprietario del pregiudizio subìto per il mancato godimento dell’immobile (cfr. Cass., Sez. Un., 26 giugno
2003, n. 10165; Cass., Sez. 1, 5 aprile 2006, n. 7892; 19 luglio 2002, n. 10535; 10

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quarto comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (come modificato dall’art. 14

luglio 1998, n. 6722).
Tali principi, costituenti jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte,
non risultano puntualmente applicati nella sentenza impugnata, con cui la Corte

di espropriazione e di occupazione, correttamente qualificati come debiti di valuta, ha riconosciuto i relativi interessi con decorrenza dalla data della domanda giudiziale, in tal modo disattendendo una domanda specificamente proposta dai ricorrenti; questi ultimi, infatti, nell’impugnare la sentenza di primo grado, avevano
lamentato, tra l’altro, l’avvenuto riconoscimento degl’interessi con decorrenza dalla data della lettera raccomandata con cui avevano costituito in mora l’Amministrazione, anziché da quella della perdita della proprietà per gl’interessi dovuti sull’indennità di espropriazione, e dalla scadenza del periodo di occupazione legittima per quelli dovuti sull’indennità di occupazione.
1.2. — Inammissibili risultano invece le censure riguardanti la decorrenza
degl’interessi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno per occupazione appropriativa.
In quanto volto a ristorare il pregiudizio derivante da un fatto illecito extracontrattuale, tale risarcimento si configura infatti come debito di valore, la cui liquidazione, com’è noto, deve aver luogo con riferimento al valore che l’immobile
irreversibilmente trasformato aveva all’epoca della perdita della proprietà, espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione sopravvenuta fino alla
data della decisione definitiva; gl’interessi sull’importo così liquidato non hanno
natura moratoria ma compensativa, in quanto il loro riconoscimento risponde alla
funzione di adeguare l’entità del risarcimento all’ulteriore pregiudizio arrecato al
proprietario dal ritardo nel conseguimento della disponibilità dell’equivalente pe-

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d’Appello, pur escludendo la rivalutazione degli importi dovuti a titolo d’indennità

cuniario del danno subìto, del quale essi costituiscono dunque una componente, al
pari di quella rappresentata dalla somma attribuita a titolo di rivalutazione monetaria (cfr. Cass., Sez. 1, 21 aprile 2006, n. 9410; 7 ottobre 2005, n. 19636). Si trat-

criteri presuntivi ed equitativi correlati alla remuneratività del denaro, la quale
presuppone che la somma liquidata a titolo di risarcimento, comprensiva della rivalutazione, risulti inferiore a quella di cui il creditore disporrebbe alla data della
decisione ove avesse potuto impiegare utilmente l’importo originariamente dovutogli nelle forme ritenute usuali dalla comune esperienza. Il mero ritardo nella
percezione dell’equivalente pecuniario non consente pertanto automaticamente il
riconoscimento degl’interessi, occorrendo a tal fine l’allegazione e la prova (anche
presuntiva) del danno subìto dal creditore, la cui sussistenza dev’essere esclusa
nell’ipotesi in cui la remuneratività degl’impieghi prospettati, oppure quella media
del denaro nel periodo in considerazione, risulti inferiore al tasso di svalutazione
(cfr. ex plurimis, Cass., Sez. III, 12 febbraio 2010, n. 3355; 1° marzo 2007, n.
4791; Cass., Sez. I, 25 agosto 2006, n. 18490). In ogni caso, gl’interessi non possono essere riconosciuti sulla somma definitivamente rivalutata con decorrenza
dalla data dell’illecito, dovendosi avere invece riguardo agl’incrementi nominali
del capitale originario con riferimento a singoli momenti (da individuarsi in concreto, secondo le circostanze del caso) e ad indici prescelti di rivalutazione monetaria, ovvero al capitale rivalutato in base ad un indice medio, e ciò al fine di evitare una sostanziale duplicazione del risarcimento, con la conseguente indebita locupletazione del creditore in danno del debitore (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. III, 9
marzo 2010, n. 5671; 3 marzo 2009, n. 5054; Cass., Sez. II, 10 marzo 2006, n.
5234).

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ta, in altri termini, di una modalità di liquidazione del danno da ritardo, fondata su

Alla stregua di tali principi, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, la mera deduzione dell’errata individuazione della data di decorrenza degli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno

riconoscimento degli stessi da una data anteriore, occorrendo anche l’allegazione
e la prova dell’inidoneità dell’importo complessivamente riconosciuto per capitale
ed interessi a ristorare per intero il pregiudizio derivante dalla perdita della proprietà e quello ulteriore connesso al ritardo nel conseguimento dell’equivalente
pecuniario. L’inadempimento del relativo onere da parte del ricorrente assume nella specie un particolare rilievo, in quanto la Corte di merito, pur avendo fatto decorrere gl’interessi dalla data della domanda giudiziale, anziché da quella in cui ha
avuto luogo la perdita del diritto dominicale, li ha riconosciuti sull’intero controvalore dell’immobile occupato, rivalutato fino alla data della decisione, in tal modo adottando un criterio di liquidazione del danno da ritardo la cui svantaggiosità
per i ricorrenti avrebbe dovuto costituire oggetto di rigorosa dimostrazione.
2. — Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono in via subordinata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 99, 112, 132 n. 4, 329 e 359 cod. proc.
civ., nonché l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, assumendo che, nel far decorrere gl’interessi dalla domanda, la Corte d’Appello ha immotivatamente operato in loro danno una reformatio in pejus della sentenza di primo grado, senza che alcuna censura fosse stata sollevata dal Comune,
rimasto contumace nel giudizio di appello.
2.1. — La censura, che nella parte riguardante gl’interessi dovuti sulle indennità di espropriazione ed occupazione resta assorbita dall’accoglimento parziale
del primo motivo, risulta invece infondata in riferimento agl’interessi dovuti sulla

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per l’occupazione appropriativa non può essere considerata sufficiente ai fini del

somma liquidata a titolo di risarcimento del danno.
Costituendo l’attribuzione degl’interessi una mera modalità o tecnica di liquidazione del danno da ritardo, che rappresenta a sua volta una componente del pre-

ed irreversibilmente trasformato, la relativa pronuncia non integra un capo a sé
stante della sentenza recante la liquidazione del danno, autonomo rispetto a quello
avente ad oggetto il riconoscimento del controvalore dell’immobile: pertanto, impugnato quest’ultimo capo, non può essere utilmente invocato il giudicato in ordine alla misura degli interessi precedentemente attribuiti, e il giudice dell’impugnazione, anche in difetto di una specifica censura in ordine alle modalità di liquidazione di tali interessi adottata nella sentenza impugnata, può procedere alla riliquidazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell’ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore, restando irrilevante che sia stata o meeno proposta impugnazione anche in ordine agl’interessi già conseguiti e alla loro misura
(cfr. Cass., Sez. Un., 5 aprile 2007, n. 8520; Cass., Sez. III, 18 luglio 2011, n.
15709; 26 aprile 2010, n. 9926).
3.

Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa appli-

cazione degli artt. 91, 92, 132 n. 4 e 359 cod. proc. civ., dell’art. 24 della legge 13
giugno 1942, n. 794, della legge 7 novembre 1957, n. 1051 e dei d.m. 5 ottobre
1994, n. 585 ed 8 aprile 2004, n. 127, nonché l’omessa motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nella liquidazione delle
spese processuali, la Corte territoriale si è immotivatamente discostata dalle note
specifiche da loro depositate.
In particolare, essa ha riconosciuto per esborsi un importo inferiore al com-

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giudizio complessivamente subito dal titolare del fondo illegittimamente occupato

penso del c.t.u. nominato in appello, omettendo di tener conto anche delle spese di
bollo e registrazione e dei diritti di copia della sentenza di primo grado, di quelle
di notifica dell’atto d’appello, del contributo di iscrizione a ruolo e di quello per le

to i diritti in misura inferiore a quella richiesta, senza indicare le prestazioni non
riconosciute, ed ha determinato l’onorario in misura inferiore ai minimi tariffari,
omettendo di tener conto dell’importanza e del numero delle questioni trattate e di
riconoscere l’aumento previsto per la difesa di più persone.
3.1. —11 motivo è fondato.
In presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, il giudice non
può infatti limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli
onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l’onere di dare un’adeguata motivazione dell’eliminazione o della riduzione delle voci da lui operata,
al fine di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l’accertamento della
conformità della liquidazione alle risultanze degli atti ed alle tariffe (cfr. Cass.,
Sez. VI, 30 marzo 2011, n. 7293; Cass., Sez. lav., 24 febbraio 2009, n. 4404).
Tale onere nella specie è rimasto totalmente inadempiuto, avendo la Corte
d’Appello liquidato gli onorari di avvocato ed i diritti di procuratore in misura notevolmente inferiore a quella indicata nelle due note specifiche depositate dagli
appellanti, e riportate testualmente nel ricorso per cassazione, senza fornire alcuna
indicazione in ordine alle voci eliminate o ridotte, ed avendo riconosciuto a titolo
di esborsi un importo addirittura inferiore alle sole spese sostenute dai ricorrenti
per la c.t.u. espletata. La mancata esposizione delle ragioni di tale liquidazione, in
presenza delle note prodotte in giudizio, risulta di per sé sufficiente ai fini dell’accoglimento della censura, non occorrendo procedere in questa sede alla verifica

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notifiche d’ufficio, nonchè del compenso dovuto al consulente di parte; ha liquida-

della legittimità dei singoli importi richiesti, avuto riguardo all’impossibilità d’individuare quelli che la sentenza impugnata ha ritenuto non dovuti, nonché di risalire ai motivi della relativa esclusione.

sure accolte, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Bari,
che provvederà, in diversa composizione, anche alla liquidazione delle spese relative al giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie parzialmente il primo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Bari, anche
per la liquidazione delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2013, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile

4. — La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dalle cen-

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