Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21017 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/10/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 02/10/2020), n.21017

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14389-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

CONSILIUM ITALY SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1881/7/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della TOSCANA, depositata il 24/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. COSMO

CROLLA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. Consilium Italy srl impugnava davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze la cartella di pagamento emessa a seguito di liquidazione, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, della dichiarazione mod. Unico 2012 presentata per l’anno 2011, in particolare l’Ufficio disconosceva un credito di imposta maturato negli anni 2008 e 2009 per l’attività di ricerca e sviluppo indebitamente compensato stante la mancata compilazione del quadro RU della dichiarazione da parte della società contribuente.

2. La CTP accoglieva il ricorso della società annullando la cartella in quanto i dati relativi al credito di imposta erano stati conosciuti dall’Amministrazione sin dal 2009 e, quindi, l’Ufficio lo avrebbe dovuto riconoscere in virtù del principio di leale collaborazione delle parti tra il contribuente e il Fisco.

3. La sentenza veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate e la Commissione Tributaria Regionale del Toscana rigettava l’appello osservando: a) che il credito di imposta poteva essere fatto valere anche in mancanza di dichiarazione purchè fossero stati provati in giudizio requisiti sostanziali come avvenuto nel caso di specie; b) che l’Ufficio non poteva emettere una cartella, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, ma avrebbe dovuto procedere con un preventivo avviso di accertamento.

4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi a due motivi. La soc. Coonsilium Italy non si è costituita.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi da 280 a 283 e del D.M. n. 76 del 2008, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si sostiene che la CTR abbia errato nel reputare irrilevante la mancata indicazione del credito nella dichiarazione relativa all’anno di riferimento.

1.1 Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la procedura automatizzata consente anche la riduzione dei crediti d’imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni.

2. Il primo motivo è fondato.

2.1 Il beneficio fiscale per cui è causa è previsto dalla L. n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) art. 1, comma 280, che attribuisce alle imprese “un credito d’imposta nella misura del 10 per cento dei costi sostenuti per attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo, in conformità alla vigente disciplina comunitaria degli aiuti di Stato in materia, secondo le modalità dei commi da 281 a 285. La misura del 10 per cento è elevata al 15 per cento qualora i costi di ricerca e sviluppo siano riferiti a contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca” il successivo, comma 282, prescrive che il credito deve essere indicato nella relativa dichiarazione dei redditi.

2.2 Il D.M. n. 76 del 2008, art. 5, stabilisce che “L’impresa beneficiaria indica, a pena di decadenza, in un’apposita sezione della dichiarazione dei redditi il prospetto relativo ai costi sulla base dei quali è stato determinato l’importo del credito d’imposta”.

2.3 Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, nettamente prevalente rispetto all’isolato precedente citato nell’impugnata sentenza, il beneficiario decade dalla suddetta possibilità di fruizione del credito di imposta “ove non indichi il credito nella dichiarazione relativa al periodo di imposta di concessione del beneficio. E trattandosi di decadenza direttamente contemplata dalla disciplina dell’istituto, non giova invocare il principio, richiamato nel ricorso, della generale emendabilità della dichiarazione fiscale, mediante presentazione di successiva dichiarazione integrativa, nella specie presentata nei quattro anni successivi alla dichiarazione che si va ad integrare, perchè (‘emendabilità, finanche con atti rilevanti in sede processuale, non consente di superare il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze, così come affermato, d’altronde, dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 15063 del 2002 (conf. Cass. S.U. n. 13378 del 2016) all’atto del definitivo riconoscimento del principio anzidetto” (cfr tra le tante Cass. 711/2019, Cass. 26421/2018).

2.4 E’ stato inoltre precisato che ” La decadenza appare, inoltre, logicamente coerente con la scelta di accordare il beneficio in rapporto all’esercizio fiscale interessato. E l’adempimento dei corrispondenti obblighi dichiarativi si palesa strumentale all’espletamento delle successive congruenti verifiche, a opera dell’amministrazione finanziaria, limitatamente all’afferente periodo d’imposta: la mancata indicazione del credito, nella dichiarazione relativa al periodo di imposta nel corso del quale è concesso, ne impedisce il riconoscimento in diminuzione dell’imposta altrimenti dovuta” (Cass. 22673 del 2014; Cass. n. 30172 del 2017).

3. Il secondo motivo è anch’esso fondato.

3.1 Ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, l’Amministrazione finanziaria provvede tra l’altro, avvalendosi di procedure automatizzate, a: “e) ridurre i crediti di imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione”.

3.2 La norma prevede dunque espressamente il ricorso al controllo automatizzato anche in sede di disconoscimento dei crediti del contribuente, a condizione che i presupposti di tale disconoscimento non derivino da un’attività di natura accertativa o rettificativa, ma emergano “sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione”.

3.3 In proposito la giurisprudenza di questo Collegio ha affermato (Cass. ord. 4360/17) che “in tema di controlli delle dichiarazioni tributarie, l’attività dell’Ufficio accertatore, correlata alla contestazione di detrazioni e crediti indicati dal contribuente, qualora nasca da una verifica di dati indicati da quest’ultimo e dalle incongruenze dagli stessi risultanti, non implica valutazioni, sicchè è legittima l’iscrizione a ruolo della maggiore imposta ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, non essendo necessario un previo avviso di recupero”.(cfr Cass. n. 4360/2017 e 29582/2018).

3.4 Nel caso di specie, è pacifico che il disconoscimento sia appunto stato operato non per contestazione di merito o per difformi valutazioni giuridiche, ma sul mero riscontro formale di una carenza della dichiarazione reddituale 2012, il cui quadro RU non faceva menzione dei crediti utilizzati in compensazione.

4. Ne consegue l’accoglimento del ricorso, con la cassazione della sentenza impugnata.

5. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto e non essendo state dedotte altre questioni controverse sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., mediante rigetto del ricorso introduttivo.

6. Le spese del presente giudizio di legittimità vengono poste a carico della soccombente, con compensazione delle spese di merito stante il delinearsi soltanto in corso di causa del su riportato indirizzo interpretativo.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso

– cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente;

– pone le spese del presente giudizio a carico di quest’ultima, liquidate in Euro 2.300 per compensi oltre spese prenotate a debito;

– compensa le spese relative ai giudizi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

 

 

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