Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21015 del 06/08/2019

Cassazione civile sez. II, 06/08/2019, (ud. 05/03/2019, dep. 06/08/2019), n.21015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1951-2015 proposto da:

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VIA SAN

BASILIO n. 61, presso lo studio dell’avvocato ANNALISA DI GIOVANNI,

rappresentato e difeso dall’avvocato B.G.M.;

– ricorrente –

contro

Z.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA SCROFA n.

64, presso lo studio dell’avvocato ZUNARELLI STUDIO LEGALE ZUNARELLI

E ASSOCIATI, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO RIGHI;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di RIMINI, depositata il

23/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/03/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. l’avv. B.F. evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Rimini Z.A. per il recupero del credito derivante dall’assistenza fornita dal professionista in favore del resistente, come difensore d’ufficio, nell’ambito di un procedimento penale già prendente avanti il medesimo ufficio giudiziario.

Con decreto del 3.1.2014 il Presidente del Tribunale di Rimini disponeva l’assegnazione del ricorso al collegio, rilevando che esso era soggetto al rito di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011.

Il collegio, con l’ordinanza impugnata, rigettava il ricorso rilevando che la procedura introdotta con il richiamato D.Lgs. n. 150 del 2011 riguardasse soltanto i compensi maturati dall’avvocato per l’assistenza in giudizi civili, e non anche quelli dipendenti ad attività svolta in relazione a processi penali.

Propone ricorso per la cassazione di detta sentenza B.F. affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso Z.A..

La parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso mosse dal controricorrente, rispettivamente per asserita assenza di decisività del provvedimento impugnato e di difetto di procura.

Sotto il primo profilo il controricorrente ritiene che, avendo il Tribunale dichiarato inammissibile la domanda, la relativa pronuncia non assumerebbe carattere di definitività poichè il ricorrente potrebbe riproporre la sua domanda secondo il rito corretto.

L’eccezione è infondata, posto che assume carattere di definitività qualsiasi pronuncia, in qualunque forma adottata, che sia potenzialmente idonea ad esaurire una specifica controversia giudiziaria, sia ov’essa concerna sul merito della pretesa dedotta in giudizio, sia invece quando affronti questioni procedurali idonee comunque a definire la causa. Nessuna rilevanza, al riguardo, riveste la circostanza che la parte possa, dopo la sentenza che dichiara l’inammissibilità della domanda, riproporre l’azione nella forma corretta, posto che questa facoltà non muta la capacità della pronuncia di esaurire la lite, ma attiene alla pretesa sostanziale fatta valere in giudizio, cioè al diritto, che è soggetto ad estinzione per decorso dei termini di prescrizione previsti dagli artt. 2034 c.c. e ss..

L’ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di procura è essa pure infondata, posto che la specificità del negozio di conferimento del mandato è assicurata dal fatto che essa acceda materialmente al ricorso in Cassazione, anche se nel testo manchi lo specifico riferimento al predetto giudizio. In proposito, cfr. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 1205 del 22/01/2015, Rv. 634038, secondo cui “Il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è, per sua natura, speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso od alla sentenza contro la quale si rivolge, poichè il carattere di specialità è deducibile dal fatto che la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso o il controricorso al quale essa si riferisce” (conf. Cass. Sez. 6-2, Sentenza n. 18468 del 01/09/2014, Rv. 632042; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26504 del 17/12/2009, Rv. 610998).

Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo di essi, non specificamente rubricato, il ricorrente lamenta la violazione della normativa di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011 e della L. n. 794 del 1942 perchè il Tribunale avrebbe dovuto procedere all’individuazione del rito corretto in base al contenuto della domanda e non facendo riferimento solo alla mera indicazione formale risultante dal ricorso introduttivo.

La censura è infondata, in quanto il giudice di merito ha correttamente ritenuto, proprio tenendo conto del contenuto della pretesa fatta valere dal professionista, che questa non potesse essere introdotta con il rito di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011. Ed in effetti il pagamento del compenso dell’avvocato che assiste l’indagato come difensore d’ufficio è soggetto da un lato all’art. 369-bis c.p.c., comma 2 – che alla lett. d) prevede l’obbligo del P.M. di informare la persona sottoposta a indagini, al compimento del primo atto al quale l’avvocato ha diritto di assistere, dell’obbligo di retribuire il difensore d’ufficio qualora non sia in condizioni di accedere al patrocinio a spese dello Stato – e dall’altro lato al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 116 che subordina il pagamento del difensore d’ufficio a carico dell’Erario al preventivo infruttuoso esperimento, da parte del professionista, di tutte le procedure preposte al recupero del proprio onorario presso il cliente. Non è invece applicabile il procedimento previsto dalla L. n. 794 del 1942, artt. 28 e ss. (oggi, dal D.Lgs. n. 150 del 2011) per la liquidazione degli onorari di avvocato, anche quando i compensi in materia penale siano chiesti nel medesimo giudizio cumulativamente a quelli civili, poichè in tale ipotesi il rito ordinario di cognizione, che è il solo consentito per le prestazioni penali, prevale su quello speciale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19025 del 27/09/2016, Rv.641561; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20293 del 14/10/2004, Rv.577705; cfr. anche Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 18070 del 25/07/2013, Rv.627310).

Nel caso di specie il Tribunale – cui spetta di qualificare la domanda – dà atto della sua proposizione L. n. 794 del 1942, ex art. 28 e ciò trova conferma nello stesso ricorso introduttivo, ove tra parentesi, nelle conclusioni, è contenuto il chiaro riferimento alla norma appena richiamata.

Da quanto precede deriva il rigetto della prima censura.

Con il secondo motivo, esso pure non specificamente rubricato, il ricorrente lamenta la violazione del principio in base al quale, in caso di rigetto del ricorso, la condanna alle spese non potrebbe superare l’importo richiesto dalla parte istante. Nel caso di specie il B. aveva invocato il riconoscimento di un compenso di Euro 450 e si è visto condannare alla refusione delle spese legali per il superiore importo di Euro 535.

Anche questa doglianza non è fondata.

Il principio al quale fa riferimento il ricorrente è quello secondo il quale la parte, in tutto o in parte vittoriosa, non può essere assoggettata ad un regime delle spese di lite tale da azzerare, o comunque grandemente ridurre, l’utilità che essa si è vista riconoscere per via giudiziaria. In proposito, si è affermato che il regolamento delle spese processuali “… che, ai sensi dell’art. 92 c.p.c. sia tale da lasciare a carico della parte, risultata in tutto o in parte vincitrice, gli oneri difensivi in misura tale da elidere, o addirittura superare, il valore del bene conseguito, si risolve nella sostanziale vanificazione del fondamentale diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti lesi, a ciascuno spettante ex art. 24 Cost., indipendentemente dal valore, più o meno rilevante, dei beni che ne formano oggetto, il cui apprezzamento di opportunità economica compete esclusivamente al soggetto titolare degli stessi” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5696 del 10/04/2012, Rv. 621788).

Il presupposto logico-giuridico per l’invocabilità del principio di cui anzidetto è che la parte sia risultata vittoriosa, cosa che nel caso concreto non è accaduto. Dal che deriva l’inconferenza del precedente appena richiamato ed il rigetto della censura.

In definitiva, il ricorso va rigettato, avendo il Tribunale correttamente applicato lo scaglione corrispondente al valore della controversia.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 600 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2019

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